Marina Jarre, una scrittrice da riscoprire in occasione del suo centenario
di Anna Toscano
I libri di Marina Jarre, scrittrice il cui centenario dalla nascita cade il 21 agosto, hanno avuto nei decenni quella fortuna alterna che spesso riguarda i libri scritti da donne: molto pubblico, molte lettrici e lettori, e poi la polvere sull’opera. Per Jarre è ancor più strano questo movimento editoriale in quanto ha scritto molto, almeno sedici titoli dagli anni Sessanta al 2011 con editori diversi, da Einaudi a Bollati, solo per citarne alcuni. Un poco alla volta queste prime edizioni hanno iniziato a circolare nelle bancherelle e nelle librerie dell’usato andando a comporre sotto la “J” di Jarre file sempre più lunghe.
Ho incontrato Jarre per la prima volta con Ascanio e Margherita, uscito nel ‘91 per Bollati Boringhieri, un romanzo storico che gira attorno a una storia d’amore dentro una vicenda ampia e dolorosa per la storia del nostro Paese: l’epopea dei valdesi nel Piemonte ducale. Un romanzo storico, misto di storia e di invenzione, non privo di crudeltà e ferocia, in cui emerge poca umanità e rara felicità: narra la decimazione di una minoranza religiosa. Il quadro d’epoca vivo e potente che ne emerge è grazie anche alla scrittura di Jarre, così ordita e composta, come se avesse affondato le mani dentro la storia per testimoniarla, non dimenticarla.
La sua scrittura è, soprattutto per gli anni in cui andava scrivendo e pubblicando i suoi primi romanzi, originalissima e complessa, una scrittura narrativa composta di una incredibile varietà di registri espressivi. Una parte dei suoi libri sono opere miste tra memoir, autobiografia e romanzo, un’altra parte sono romanzi storici: in entrambi c’è una matrice, quella religiosa prim’ancora di quella linguistica.
La questione religiosa è di grande importanza in Jarre: nasce in Lettonia il 21 agosto 1925 da madre valdese italiana e da padre ebreo lettone. Per i primi dieci anni vive a Riga con la sorella e con i genitori, sempre sul piede di guerra tra di loro, e con i nonni; nel ’35 la madre scapperà dalla casa del marito con entrambe le figlie per rifugiarsi prima dai nonni materni e poi a Torino, dove Marina completa le scuole e farà l’insegnante. Superata la guerra e i traumi familiari, il cambio di lingua e di affetti, bisognerebbe dire sopravvissuta a tutto ciò, la sua vita cede il passo all’eternità con figli e nipoti. Rimane sempre aperta la ferita religiosa, non rivedrà infatti mai più il padre e i nonni, e gli amici di Riga, tutti uccisi nella Shoah, e avrà una presenza dominante della madre nella sua vita. La questione religiosa, padre ebreo e madre valdese, diviene la questione principale nella ricostruzione della sua memoria: il padre e i nonni uccisi per la loro religione e lei e la madre salve perché valdesi, ma solo qualche decennio prima sarebbero morte negli scontri in Piemonte.
Il padre assenza e la madre presenza, il padre allontanato nella memoria anche dalle parole della madre e dei nonni materni, un padre sciagurato, e col tempo un padre assolutamente da recuperare dall’ordito di memoria proprie e di altri.
Nel 1987, sempre per Bollati Boringhieri, esce una raccolta di racconti dal titolo Galambra. Quattro storie con fantasmi in cui, con uno stile molto classico e poetico, mette in scena le assenze che divengono presenze nella scena del quotidiano. Questi due libri, molto composti e narrativamente classici aprono la strada a un focalizzare la narrazione, in alcuni dei libri seguenti, sulla sua vicenda familiare. Nell’87 esce per Einaudi I padri lontani in cui pian piano Jarre si addentra nell’autobiografia, come se fino a quel momento fosse stata a guardare il suo passato e basta: “Stavo ferma sulla soglia di me stessa”. Un libro privo di nostalgie o rimpianti, quasi una classificazione dei fatti del passato, dei suoi anni a Riga: un rivedere la madre, il padre, la sorella e i nonni come alla moviola, per ricordarli per fissarli. Una scrittura distacca e ferma la sua, lontana dall’autocommiserazione, talvolta ironica e non priva di freddezze: una scrittura che pone una giusta distanza tra sé e il mondo che si va a rivangare dal passato.
Sarà poi nel 2004 con Einaudi, poi ristampato da Bompiani nel 2023, con Ritorno in Lettonia che affonda nella sua biografia e racconta del viaggio fatto col figlio a Riga per cercare i luoghi che non ci sono più, le persone che sono state fucilate, tra cui il padre con figlioletta seienne a mano, ma soprattutto una riflessione sull’Olocausto, sulla lingua che divide e unisce e sul silenzio che spesso uccide.
Jarre come Edith Bruck nel suo viaggio tra l’Ungheria e l’Italia, la sopravvivenza ai campi di sterminio, l’identità ebraica; o come Ingeborg Bachmann, dall’Austria all’Italia, anche lei in esilio in fuga dalla Guerra, in bilico tra più lingue.
Donne che con la loro scrittura hanno affrontato frontiere, lingue diverse, religione, identità. Claudio Magris diceva di Jarre a inizio Duemila “Con un posto ormai indiscutibile nella letteratura italiana”, ma le luci su di lei si sono affievolite fino al 2021 quando Bompiani ha iniziato a riproporre i suoi libri con la supervisione di Marta Barone.