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art aquarium

di Damiana De Gennaro

 

 

la fuga del rosa

Anche tu rincorri il rosa tra le rovine. Nel cafè dalle pareti in fiore, mentre ordiniamo due cappuccini e un croissant ai mirtilli, forse diamo l’impressione di essere una coppia. Quante volte sei stata a Roma? chiedi, mentre un pesce-gatto cade sul cimitero dei pesce-gatti in rovina. Così tante che ormai non le conto. Capisco di piacerti quando sul treno mi chiedi di sederti accanto. Capisco che mi piaci quando ti alzi per fotografare la fuga del rosa dai finestrini.

Le rovine, a Roma, ti sembrano qualcosa di sensato: la loro compostezza incontra le tue aspettative di turista in viaggio dal cuore dell’Europa. Napoli, invece, ti innervosisce. È paradossale, come i pesce-gatti. Abbiamo dormito sui divani sudici di una casa per studenti, dove avrei voluto essere baciata. In angoli come questi, scrive Benjamin, è difficile distinguere le parti dove si sta continuando a costruire da quelle ormai già in rovina.

Il mare della costiera inumidisce la luce del cambio di stagione. Non si vedono rovine, qui, ma sappiamo che è una questione di apparenze. I pesce-gatti solitamente si nascondono, ma proprio adesso uno di loro si è affacciato da un tuo occhio. È in quel momento che decido di baciarti. Tu inclini il viso, in imbarazzo, e dici, più tardi, prima di salutarci. Il rosa, tra le rovine, fugge senza lasciare alcuna traccia.

 

 

 

corridoio con pesci rossi

Si può entrare e uscire da un amore come da un centro commerciale? Prendi l’art acquarium a Ginza, per esempio. La prima volta che ci siamo andate insieme, non sospettavamo niente. Ridendo, abbiamo concordato sull’idea che i pesci rossi avessero qualcosa di ridicolo e geniale, e che la loro fosse un’estetica perfettamente a metà strada fra björk e un all you can eat. Nei centri commerciali le cose possono essere comprate o vendute: è più raro che qualcosa sia scambiato.

Ogni luce a led, ogni tuffo di colore suggerisce utopie vendute a basso prezzo. Quando entriamo nell’acquario, tu ami un ragazzo difficile; io, la donna cactus. Avanziamo fra le lampade, divertite e stralunate, e, senza accorgercene, i nostri amori vengono scambiati. Deve essere successo mentre ci chiedevamo se i pesci rossi fossero specie spontanee o ottenute attraverso stratagemmi di genetica.

La donna cactus accede all’acquario dell’ottavo piano del centro commerciale; quando il suo fermaglio verde entra nell’occhio del ryukin, capisci che è venuta lì per te. Il ragazzo che sognavi è scomparso tra le intercapedini dei palazzi vecchi in legno: adesso a te non va più di rincorrerlo. Si è smarrito: in qualche linea della metro smarrita di questa smarrita città-acquario. È sabato mattina – accendi skype e la donna cactus compare sul tuo schermo. È sabato mattina – mi risveglio accanto al tuo ragazzo difficile, che, tuttavia, non è proprio un ragazzo.

 

 

 

a skype kind of love

Seduta al tavolo di legno, mangiando un hamburger vegetale, ho pensato alla tua voce. Poi hanno preso forma le mani, gli zigomi, i capelli ondulati. Che cosa avresti cucinato tu? Mi parli su skype per un ora esatta, due volte a settimana. Ti ho portata con me ovunque. Tuo marito una volta ci ha interrotte, chiedendo la mia opinione su un libro che leggeva mentre tu e lui sorvolavate la Malesia.

Volevo chiederti scusa e, a mia discolpa, dirti che non sembra vera, a settembre, la spiaggia di Ostia. Ci arriviamo in macchina contro ogni aspettativa. Il lido è dei vecchi con le sedie di plastica e la musica alla radio, le ultime creme di caffè della stagione. Io avrei avuto il solito incontro con te su skype del lunedì, ma non riesco a collegarmi. Il ragazzo difficile si siede di fronte a me e mi chiede se sto bene, se voglio fare un tuffo a mare. Gli rispondo che più che altro vorrei correre. Lui scatta in avanti perché è agile e leggero. Io corro come se il mio corpo non avesse mai avuto peso.

Da quando io e lui dormiamo insieme, spesso ho sognato sciami di vespe. Saranno stati i morsi visibili a occhio nudo lasciati sulla carne? La scena mi aveva impressionato, così come il ragionare sulla vera natura delle vespe. C’è stato poi il sogno dei delfini appesi ancora vivi: usati come insegne di un centro commerciale. Adesso lui mi cinge i fianchi, dice di amare le nature morte dei Fiamminghi. La campane qui scandiscono il passaggio delle ore. Il tempo, a Bruxelles, è più sereno del previsto.

 

 

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Damiana De Gennaro (Vico Equense, 1995) sta svolgendo un dottorato di ricerca sulla poesia giapponese contemporanea presso l’Università di Stoccolma. Con la raccolta Idolâtrie si classifica al primo posto della X edizione del Premio Pagliarani (sezione inediti, 2025). Ha pubblicato Aspettare la rugiada (Raffaelli, 2017), Shibuya Crossing (Interno Poesia, 2019) e ha tradotto dal giapponese L’anniversario dell’insalata di Tawara Machi (Interno Poesia, 2024).

 

 

 

 

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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