Le sale operatorie di esistenza

di Mariasole Ariot
*scritto in occasione della festa di Nazione Indiana 2025 per “La scena del tempo – tra passato e presente”
“Lei non voleva stare, la misero a gambe all’aria
con la baionetta e la squarciarono”
Costanza C. 1944
(Guerra Totale, Gribaudi)
Precipitano dai cieli come collassi, arterie che si tacciano a un futuro ancora incerto ma deciso:
le nubi che non sanno i temporali ci crollano dall’alto, di gambe spalancate per un bimbo già
morto solo morto già nel prima di arrivare a compimento.
Ai nomi è tolto un nome, strappato come vesti in ospedali senza porte senza tetti, persone con
le teste mutilate, l’elenco delle case a sparizione delle cose: tagliare una ferita a cielo aperto,
affinano le buche collinari di una donna, s’infettano del sangue già ammalato: non sono
baionette sono uncini. Che strappano i presenti dalle costole del tempo.
E dicono scavare proprie fosse, un ultimo dei letti che non porta che terriccio e sassi e nuche, le pietre si trasformano a giacigli, il fango nella bocca che prega le sementi: ma quanto è vuoto un mondo, ma quanti sono i mondi che sappiamo ricordare.
Rottami disperati si rifugiano alla notte, arrivano macerie di insepolti, rosicchiano per fare delle donne un fiorellino, profanano minuscole esistenze e le corolle, saccheggi massacri e bruciature, le masse non comportano una resa.
Elaborano le morti come albe già calate, i soli puntellati sono occhi – lo spreco di due cieli, le
piccole cellette in cui si attendono le corde. E quante corde non conoscono le teste, quante
teste nascondono una tomba.
Picchiate con la canna dei fucili già pronti forti eretti per violare. La terra si insinua a stringere le stelle che non fanno le stellate: esplose le scintille si salvano cordoni ombelicali, la pioggia incastonata nella sete non dice il perdonare: dice il giorno della morte di una presa: dice basta per bastare alla condanna: dannati sono gli altri che non siamo, le figlie non protette dalle scure, le madri che si prestano per fare dei collari un nuovo collo.
Hai visto lo straziare di uteri ammalati, hai visto dire prendimi non prenderla, giacere per dare un nuovo posto, al posto di una vergine che presta le sue buche.
Hai visto le sale operatorie di esistenze, ostetriche che avvisano gli aperti rovinati.
Hai detto che è impossibile parlare, silenzi ricuciti e poi slabbrati.
Hai detto che t’infrangono un sigillo: ti sfrangi come il resto di uno straccio.
Il cranio di un uccello e la sanguigna si schiudono alle ossa: è questa la domanda del passato: lo iato che si scuce, i corpi dilaniati da due tempi.
- fotogragia di Michal Jarmoluk
