John Berger: uno scrittore al suo specchio

disegno di John Berger

di Martina Panzavolta

Aveva quasi novant’anni, eppure il suo bisogno più impellente era quello di scrivere. È questa l’ultima
immagine che ha voluto lasciare ai posteri. Nella sua vita, John Berger ha fatto tante cose – è stato un critico d’arte, un disegnatore, uno sceneggiatore cinematografico e altro ancora – ma, in fondo, si sentiva uno scrittore. Del resto, non è un caso che la sua raccolta postuma, Confabulazioni (Neri Pozza, 2017), sia un’ultima e più intima riflessione interamente dedicata alla scrittura.

Nato a Londra il 5 novembre 1926, John Peter Berger è morto il 2 gennaio 2017. La sua curiosità nel leggere il mondo è stata la cifra della sua poliedricità. Come pensatore, egli era interessato alla visione in profondità.
Il suo programma televisivo Ways of Seeing, andato in onda sulla BBC nel 1972, rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per tutti coloro che cercano, attraverso l’arte, nuove prospettive sul mondo.

Di certo, in meno di dieci anni dalla sua morte, molti paradigmi umani sono cambiati, così come la
concezione dell’arte. Senza dubbio, la nostra intelligenza artificiale sarebbe per Berger una “way of seeing” ancora da studiare. A noi basta digitare qualche parola online per avere pronto, in pochi secondi, ogni genere di testo – dalla ricetta di una torta, alla email di lavoro, all’articolo di giornale. Chissà cosa potrebbe dirne Berger: forse che la sua amata scrittura sia destinata a scomparire?

Invero, egli non ha lasciato i posteri senza risposta. Autoritratto (2014), il primo saggio a figurare in
Confabulazioni, è precisamente il suo testamento da scrittore. Qui Berger ha indicato in modo provvidenziale come guardare alla parola se non avessimo più creduto nel suo potere.

L’intento generale dell’autore “autoritratto” è quello di risalire al germe della sua vocazione, dissotterrando il motivo per cui, da tutta una vita, scrive. Berger ha quindi bisogno di guardarsi di riflesso, ma sceglie uno specchio decisamente inedito e originale. Di fatto, non si osserva nella torsione narcisistica del sé, ma si studia da un modo di vedere “altro”, quello del traduttore. La scelta è di certo interessante e affatto banale – soprattutto, perché si può dire che Berger abbia fatto tante cose, fuorché traduzioni. Nondimeno, l’accostamento fra scrittura e traduzione sembra valido soprattutto oggi, nel mondo dell’AI: forse che anche la traduzione sia destinata a scomparire?

È chiaro che scrittura e traduzione sono due lati del medesimo edificio: chi scrive desidera che i propri testi siano letti, e per tale ragione è ovvio che ne desidera anche una traduzione – che implica un pubblico più numeroso. Eppure, a ben rifletterci, una traduzione è qualcosa di pericoloso: dopo aver tanto meditato su quell’unica parola giusta che possa dire ciò che si vuol dire, dopo aver scritto e riscritto per mesi o anni le stesse frasi, come si può accettare di leggersi in una lingua diversa che usa, per forza di cose, diverse espressioni?

Anche quando una traduzione è il più fedele possibile all’originale, il testo non è lo stesso. Non c’è da molto da spiegare, è un luogo comune. Si pensi alla parola per eccellenza, ovvero il logos degli antichi greci. Nel Faust goethiano l’omonimo protagonista si struggeva per tradurre il versetto giovanneo In principium erat Verbum – Ἐη ἀρχῇ ἦν ὁ λóγος, perché logos è l’intraducibile parola, pensiero, forza, atto. Come può una sola di queste espressioni rimandare a tutte le altre? Se, come è ovvio, non può, quale è in traduzione il termine più giusto fra tutti?

Di certo, il medesimo problema affligge tutte le traduttrici e tutti i traduttori. Diversamente da un’intelligenza artificiale, queste e questi non lavorano con un algoritmo e si trovano continuamente di fronte a questo genere di scelta. Similmente a scrittrici e scrittori, anche loro trascorrono ore e giorni sull’unica parola, sull’unica frase, a scrivere e riscrivere.

D’altronde, sono i momenti di ricerca e di scelta a riunire scrittura e traduzione nella costante tensione verso la lingua in quanto tale. «Se si guarda alla faccenda in modo convenzionale – scrive Berger – [le traduttrici] e i traduttori non devono far altro che studiare certe parole scritte su una pagina, per poi renderle in una lingua diversa su un’altra pagina. Il procedimento implica dunque una cosiddetta traduzione parola per parola, una successiva rielaborazione che rispetti e incorpori la traduzione e le regole della seconda lingua […]. Molte delle traduzioni seguono questo metodo e i risultati sono validi, ma di seconda qualità. Perché? Perché la vera traduzione non è una relazione binaria fra due lingue, ma una storia a tre. Il terzo punto del triangolo è ciò che sta dietro le parole del testo originale prima che venisse scritto. La vera traduzione esige che si ritorni al pre-verbale» (p. 7).

Quando il tradurre è sentito come un compito, le parole del testo originale vengono lette e rilette non tanto per ragioni stilistiche quanto per toccare l’esperienza da cui sono scaturite. In seguito, se la si trova, la si raccoglie nel suo essere tremante e quasi muto e si tenta di collocarla dietro la lingua in cui deve essere tradotta. A quel punto, il lavoro principale di traduttrici e traduttori «è convincere la lingua ospitante ad accettare e accogliere la “cosa” che aspetta di essere articolata». Precisamente per questa postura, la traduzione mostra alla scrittura un qualcosa che appartiene a entrambe, ovvero la dimensione della lingua parlata. Quest’ultima è un vero e proprio corpo, una creatura vivente o, meglio, più corpi e più creature viventi: sono tante, del resto, le lingue che si generano nel medesimo «inarticolato oltre l’articolato» (p. 8).

Del resto, come spiega Berger, “lingua materna” in russo si dice rodnoi-jazyk, che significa la lingua “più cara” o “più vicina”. L’autore afferma che la si potrebbe chiamare la “lingua amata”. La lingua materna è la prima lingua di ciascuno e, per Berger, «è senz’altro femminile», e il suo centro è «un utero fonetico» capace di generare imparentato con tutte le altre lingue materne capaci di generare – fra queste anche i linguaggi non verbali come la lingua dei segni, la pittura, e così via (pp. 8-9). È precisamene per questa fitta rete di sorelle che ogni testo sente di trovare «il proprio posto, indescrivibile ma sicuro», in ogni altra lingua (p. 9).

La traduzione mostra al Berger scrittore che esiste una creatura lingua, assicurandogli di riflesso che ciò che ha sempre tentato di fermare sulla pagina è una sensazione viva, che ha valore. Un’esperienza preverbale che un’intelligenza artificiale non potrà mai cogliere. Lo stesso autore autoritratto può infatti fermarsi a guardare, a quasi novant’anni, la sua relazione d’amore quella creatura-lingua che si muove sotto l’allitterazione e il ritmo delle parole; la osserva e la ascolta confabulare. Talvolta, gli sembra che contesti certe parole scelte e che metta in discussione il ruolo che l’autore ha loro assegnato. «Perciò modifico le battute – scrive Berger – cambio una parola o due, […] finché non c’è un lieve mormorio di provvisorio assenso. Allora procedo al paragrafo successivo». Nel suo ultimo e più maturo ritratto, Berger si dipinge quindi nella sottomissione alla lingua amata, a tal punto che ammette di essere, di mestiere, più che uno scrittore «un figlio di puttana – e potete immaginare chi è la puttana, no?» (p. 10)




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Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
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