Articolo precedente
Articolo successivo

Note da Gerusalemme: Lucia D’Anna

Vedran Smailović, primo violoncello dell’Orchestra Filarmonica di Sarajevo, durante l’assedio.

 

Avvolti nel regno del silenzio

di

Lucia D’Anna

Qualche giorno fa mi trovavo a Varese a casa dei miei genitori con la mia famiglia per le vacanze e per tirare un po’ il fiato da questi mesi di guerra. Ci siamo ritrovati anche noi nell’ansia della minaccia da parte dell’Iran e nel tentativo di comprare dei biglietti per tornare a casa, per quanto molti ci abbiano considerato dei pazzi. Tornando all’aeroporto di Tel Aviv, vuoto, fila dei passaporti stranieri deserta, ero l’unica in piedi davanti allo sportello, ho visto i volti di tutti i passeggeri dell’aereo da sorridenti trasformarsi in sguardi fugaci e con occhi che guardavano più in basso che in alto.

Tutti erano consapevoli di dove stavano tornando, forse tutti spaventati di quello che potrebbe succedere o no in questi giorni, ma con il bisogno di tornare a casa, anche se con religioni, idee, estremismi diversi, ancora tanti essere umani molto lontani tra loro hanno in questa terra la loro casa e tutti alla fine sentono la necessità di tornarci, minacciati o no. Quello che mi ha più colpito, che non avevo compreso nel soggiorno in Italia, è il regno del silenzio che ormai ci avvolge da mesi.In vacanza più volte mi è capitato di chiedere a chi era intorno di abbassare la voce, di parlare uno alla volta, come se fossi stordita infastidita da tutti quei suoni felici, rimanendone estranea quasi ferita. Non nascondo che il mio problema verso tutta quella cascata di suoni abbia fatto storcere il naso a chi mi era intorno, ma ne ho capito la causa solo una volta che sono riatterrata a Tel Aviv.

Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. A volte l’assenza di rumori ci dà pace, tranquillità, ci rilassa. Tanti cercano in montagna questa assenza di onde sonore a volte fastidiose, ma non riflettiamo su una cosa. I suoni sono la vita, l’allegria, la presenza di tanti esseri umani insieme. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.

Ci siamo abituati alla mancanza di musica, di tante persone che parlino assieme, di risate fragorose, di umani che cercano di parlare uno sull’altro, di voglia di comunicare, ballare, cantare, suonare. Qui la mancanza di suoni è solo il risultato della paura, della stanchezza, della perdita dei propri cari, delle restrizioni, dell’economia che inizia a zoppicare per tutti quelli che ci abitano. Siamo attenti a tutto, a chi si parla, a cosa si dice, a non festeggiare troppo per rispetto, non ci vediamo mai con troppe persone. Tutti ne stanno pagando il prezzo. Quindi stiamo dentro al silenzio di questa terra, rimaniamo storditi dalla vita e dai suoni che e esistono fuori da qui.

Purtroppo non è la pausa d’effetto di Beethoven, ma sono le vite di tutti i presenti nel lembo di terra che hanno interrotto le loro esistenze più o meno normali da mesi. Qualche segno di vita ancora c’è, un movimento misto di israeliani e palestinesi, si chiama Standing Together, stanno cercando di mostrare il lato buono di questo posto con tutte le loro forze, un ragazzo a Gaza sta cercando di riattivare una specie di scuola per tenere impegnati i piccoli. Sono fiori timidi che escono dalle crepe di una terra ormai arida, in cui regna solo una cosa, il silenzio. Aspettiamo con ansia una nota, anche solo una che ridia la vita a tutti quanti.

Articolo pubblicato dalla Prealpina 12.8.24

2 Commenti

  1. Buongiorno, ho vissuto in questo bilocale lager-gulag per tre anni nel silenzio assoluto. Qui la musica non arrivava.
    Non sapevo fosse il silenzio della morte apparente. Capisco, posso immaginare chi vive sotto la minaccia costante, nella tortura mentale, nella strategia della tensione della guerra, in momenti che a volte diventano, se non terrore, paura. La paura è umana, fa parte di noi come la fame o il sonno. Ma non abbandonare la musica, Lucia, dà forza e coraggio. Tu citi Beethoven, quale titano migliore per non arrendersi? Certo, il silenzio. Ma vivo il silenzio quando ne sento il bisogno, come ora che ti sto scrivendo. Un abbraccio.

    • Grazie Rossana, si sono d’accordo. Il silenzio che però descrivo è l’assenza di suoni in una città di solito molto rumorosa. Non abbandonerò la musica è solo molto difficile dedicarsi alla bellezza in un posto dove purtroppo c’è troppa morte

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

➨ AzioneAtzeni – Discanto Quattordicesimo: Elvio Carrieri

di Elvio Carrieri
Ti dico che l’uomo di cui mi chiedi ha causato la rovina di un chitarrista e la fortuna di un trombettista. Gli hanno sgranulato il femore. Menato, venti contro tre, gli hanno fatto il cappotto.

I poeti appartati: Massimiliano Gusmaroli

di Massimiliano Gusmaroli
Ma il mio volto è anche per la vita, il tutto che si para intorno, paesaggi di alberi muri scorci d'orizzonte pianeta che lo sguardo raccoglie nei suoi viaggi

➨ AzioneAtzeni – Discanto tredicesimo: Lisa Ginzburg

di Lisa Ginzburg
Che fosse brava a leggere le carte ora lo sapevamo tutti. Si era sparsa la voce: tornata dalla Francia (da Tolosa), ai Casoni adesso ci viveva con quel suo lavoro strambo, ma un lavoro – e chi lo avrebbe mai detto, cinque anni prima quando se n’era andata via, raminga e senza pace, che si sarebbe saputa reinventare così, con tanta forza e stranezza.

➨ AzioneAtzeni – Discanto Dodicesimo: Carlo Lucarelli

di Carlo Lucarelli
Appoggiato a uno scaffale di quella libreria nuova di zecca c’è un ragazzo e ha letto i miei libri. Mi dice che gli sono piaciuti e vengo a sapere che è sardo. Gli dico che c’è un autore Sellerio di Cagliari che mi piace molto, chissà se lo conosce. Si chiama Sergio Atzeni. Lui sorride e dice: “sono io Sergio Atzeni”.

Overbooking: Mota e Antonio Moresco

di Miriam Corongiu
Se la favola antica e moderna de “La lucina” arriva al nostro inconscio quasi esotericamente, sottilmente, rispolverando il fine ultimo della favola stessa, ne “La luce inversa” è l’ipotesi di un futuro salvifico, concretizzato dall’invenzione tecnologica, a polverizzare tutte le nostre fortezze interiori.

➨ AzioneAtzeni – Discanto Undicesimo: Gianni Usai (lettura di Giovanni Carroni)

di Gianni Usai
Non avrà vent’anni. All’uomo riporta alla mente fantasie contorte e pervicaci mal di pancia che si fanno parole; sogni e incubi dimenticati o mai ricordati che riaffiorano tra le righe e si propagano in vite aliene, da vivere per interposta persona fintanto che gli si dà forma.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: