L’ipotesi di un grido
di Lorenzo Pisaneschi
I.
Un’ombra di salotto e i parenti
acquisiti e i parenti da acquisire
non sa come, non sa cosa
voglia dire, se vuol dire.
Ma le pentole sul fuoco, le mani
estranee in casa sua così gentili,
e la pazienza, e non ho fatto
neanche un dolce, dice – un filo
di condiscendenza, sottile.
II.
Si sono sistemati nella casa,
e poi la convivenza stretta,
vergine, e l’affitto che lo pagano
i parenti, quelli già acquisiti.
Ceneranno stasera con i vivi
e nessuno sarà ricordato –
sarebbe un’idea l’invitare
qualcuno di morto, o solo
distante, Lorenzo, ad esempio,
ma le dura un secondo. Elisa
guarda la tavola e il vino,
i fuochi a sinistra, di fronte
ha il fidanzato e la sorella
del fidanzato, quello suo.
Stasera ceneranno tra di loro,
e le si allargano le braccia
e le va bene, e si sente
quasi bene. Ride con gli occhi
soltanto – questi vigliacchi.
III.
Che vigliacchi sono gli occhi
appena dopo il sonno, e di fronte
la tovaglia e la famiglia innumerevole
che la scruta e la carezza – la carcera
e perdona. Lui scuote la testa
ma l’afferra un po’ in disparte
e lei lo bacia – non infuria la battaglia
d’anime, ma ineluttabile è il singulto
dell’amore all’angolo, ed è bello
il baciarsi e ricordare qualche cosa
e rammendare qualche cosa.
IV.
(Trai nervi del legno c’è una goccia.
Trai nervi del legno c’è una briciola
che non mi è concessa – non la voglio.
Preferisco il muro schietto, la caserma.)
V.
Ha chiuso gli occhi – c’è una strada
butterata dalle buche, poche luci
e alberi sbilenchi e i profili, umidi,
dei vecchi, e i ragazzi della scuola
come foglie. E lei. C’è anche lei dietro
i segreti delle palpebre calate,
c’è lei con l’apparecchio, lo zaino
rosa sporco, nuvole a Palermo.
Dentro l’assopirsi c’è il mitra
del ricordo – lei contro il muro,
a braccia aperte, e lui che dice
t’amo, lui che le va incontro.
VI.
(Ma no ma no ma no –
sono stata ripagata.
La grazia è già calata
a farmi bella. Lo sento,
lo schianto! Questo breve
infinito appannamento)
VII.
Ha riaperto gli occhi – di fronte
il vino, gli spaghetti diminuiti.
Sempre più distinta la voce
dei vivi – un’evidenza semplice.
VIII.
(Lo sento lo schianto – mi riconosco.
Ero una ragazza brutta, mi dicevano
che ero una ragazza brutta e allora
ero una ragazza brutta, la ragazza
della scuola, la sua vita tiepida –
la ricordo breve, e tremenda.
C’era un senso come di cancro
nelle parole, negli sguardi, occhi
spalancati come quelli dei morti.
Ma adesso l’amore? persiste)
IX.
Si è scordata di aver sonno,
o è solo la fame – il fidanzato
mangia greve, come mangiano
i bambini, e parla piano ed Elisa
lo guarda, si pettina i capelli
con le dita, incerta. La sorella
pure parla, il suo ragazzo in una voglia
di silenzio che l’ascolta, e beve –
Elisa ci prova ad inserirsi nella bolla
senza farla evaporare. Chiude
il desiderio dentro un brindisi
improvviso, e gli altri, lo stupore,
quasi l’imbarazzo – e poi il vetro
sopra il vetro, felice.
X.
(E tutto quello che ristagna,
che rimane è l’ipotesi di un grido)
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Lorenzo Pisaneschi nasce a Pistoia nel 1993. Ha studiato Lettere a Firenze per proseguire gli studi in italianistica a Pisa, città dove ancora vive e lavora. Ha pubblicato su Il primo amore, Poetarum Silvae, Neutopia. Questo è un estratto dal suo primo libro, ancora inedito.
