Da “L’esercizio di Adam”
di Gianluca Garrapa
Il portafiori
Dopo avermi pulito, la donna giovane mi ha riempito d’acqua per metà, e dopo aver reciso il gambo alle anemoni, gettato via le parti di gambo tagliate in un foglio di giornale, e lasciato andare il pedale della pattumiera, le ha sistemate, viola, bianche, azzurre, e mi ha riportato qui. Prima di me c’era un portafiori in vetro che la tenda ha spinto sul pavimento fracassandolo. Lo so perché ne parlavano loro. Pure io ero un vaso rotto, ma il maestro dell’Ospedale, così lo chiamano, mi ha riparato con polvere d’oro mescolata alla lacca urushi, ha detto che si chiama kintsugi, significa riparare con l’oro, è una pratica giapponese, ha spiegato agli occhi che lo osservavano ripararmi.
La stanza è illuminata dalla luce che sta sbocciando lì fuori e il silenzio è interrotto dai suoni intermittenti delle macchine che tengono in vita il corpo dell’uomo che dorme sempre. Lei, la donna giovane che ha cambiato l’acqua ai fiori, è rientrata dopo che un’altra meno giovane, accompagnata da due ragazzi, ha lasciato la stanza.
La donna meno giovane è stata per tutto il tempo a fissare il pavimento mentre il ragazzo più alto entrava e usciva richiamato dall’andirivieni delle notifiche del cellulare. L’altro ragazzo, invece, più basso, è rimasto seduto accanto alla donna con lo sguardo appiccicato allo smartphone.
La donna, di tanto in tanto, solleva il capo e con gli occhi rossi di pianto e stanchezza carezza il corpo dell’uomo. Con molta probabilità è il marito e ho l’impressione che non si sveglierà mai più.
«Non si sveglierà più» è il sussurro della donna che mi fissa, annuendo, «sì, non si sveglierà più.»
Il ragazzo, immagino sia il figlio, perché ha detto che se papà si sveglia starà rincoglionito a vita, e la donna, a questo punto è certo che sia la moglie, lo ha fulminato con lo sguardo: «Guarda che i morti sentono tutto.» E il ragazzo ha ridacchiato, «e ci credi? credi a quello che ti raccontava nonna? Quando uno è morto, è morto e basta» sogghigna il ragazzo strafottente delle entità astratte, «e poi» ha aggiunto, «papà è ancora vivo», amareggiato e allo stesso tempo desideroso di vederlo morto piuttosto che in quello stato di vegetale.
In quella si è aperta la porta: «Mamma, su, andiamo, non è più tempo di visite» ha fatto il ragazzo alto avvicinandosi al corpo del padre, accanto al fratello, e sostando per un attimo, come in preghiera, e il ragazzo basso è uscito dalla stanza, richiamato là fuori da una forza invisibile, seguito dal fratello, mentre la donna, afferrando il borsello, si è avvicinata al corpo del marito, gli ha stretto la mano al disopra del lenzuolo blu.
Le labbra della donna sulla fronte del marito sussurrano qualcosa.
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Il regno di Tanàsia
Ciao a tutti mi chiamo Tanàsia e oggi vi racconto una storia. S’intitola Il regno di Tanàsia.
Un giorno avevo forse venti anni e mio padre era morto il giorno prima per via di quel suo inguaribile raffreddore da naso che si curava con una polvere bianca che distribuiva sul tavolo in strisce bianche parallele e poi arrotolava cinquanta euro come una cannuccia che invece nella bocca la infilava un foro nel naso e l’altro foro sulla striscia di rinazina e magicamente la polvere spariva papà diceva che usava i soldi perché l’effetto si arricchiva. Il giorno prima della sua morte papà aveva bevuto uno sciroppo insieme a dei suoi amici uno sciroppo che puzzava e se avvicinavi un fiammifero acceso prendeva fuoco e io ho fatto questo esperimento e lo sciroppo ha preso fuoco. Quella sera papà e i suoi amici avevano bevuto troppo sciroppo e si sono curati con tantissima rinazina e alla fine mi hanno chiesto di vestirmi da sposa per giocare insieme. Io l’ho fatto anche se non so perché a un certo punto eravamo tutti nudi. Però questo non mi va di raccontarvelo perché su quel gioco che facevo fin da quando ero piccola c’è un tappo1 insomma non è molto bello parlare dei cazzi propri figuriamoci dei cazzi degli altri quello di papà compreso che poi non erano come quelli che vedevo nei film. Insomma il giorno dopo papà ha preso talmente sciroppo e rinazina che è scoppiato di salute e alla fine è morto. Allora io non sapevo che fare. Ho chiamato mia mamma che mi ha risposto: e quindi?
Come e quindi? È morto tuo marito. Brutta stronza e tu mi dici e quindi?
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