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Giochi di potere

hoc3(prima della fiction americana c’è stata la serie tv britannica. E prima della serie ci sono stati i romanzi di Michael Dobbs. Fra pochi giorni esce il terzo e ultimo della serie, House of Cards 3 – Atto finale, traduzione di Stefano Tummolini e Giacomo Cuva. Qui di seguito un estratto regalato dalla casa editrice Fazi, che ringrazio. G.B.)

di Michael Dobbs

Il posto di un uomo nella storia non è nient’altro che questo: un posto, un singolo punto in un universo infinito, una gemma che, per quanto possa essere lucidata e fatta brillare, comunque si perderà in un mare di ricchezze.

Un granello di sabbia nella clessidra.

Per Urquhart quello era un luogo venerabile: lo scranno di pelle lucida graffiata dall’affondo di unghie ansiose, il casellario di bronzo e antico legno di Puriri levigato dal passaggio di migliaia di palmi sudati, travi e pilastri finemente decorati che, a un orecchio attento e allenato, rimandavano ancora gli echi delle grida dei grandi leader fatti a pezzi e trascinati verso l’oblio. Sembrava che ogni carriera politica dovesse finire in disfatta, il verdetto di quel tribunale gotico non cambiava mai. Colpevole. Condannato. Un luogo di arringhe, fugaci approvazioni ed esecuzioni inevitabili.

Ultimamente, ogni volta che si allontanava dalla ribalta, delle voci dall’ombra gli sussurravano che il giorno della sua caduta sarebbe arrivato, era solo questione di tempo. Mentre se ne stava seduto sullo scranno, i sussurri erano ricominciati, sempre più imperiosi, insolenti, quasi estenuanti. E in mezzo a quel brusio, sentì la voce di Thomas Makepeace.

«Il mio onorevole collega è consapevole», la finzione istituzionale dell’amicizia scivolò dalle labbra di Makepeace come fiele, «del fatto che la comunità greco cipriota residente in questo paese è profondamente turbata dall’esistenza di luoghi di sepoltura occultati dai tempi della guerra di liberazione, negli anni Cinquanta?».

Vecchi ricordi si ravvivarono come braci, guizzando e avvampando fino a che il crepitio delle fiamme non ebbe cancellato le parole con cui Makepeace stava chiedendo che il governo britannico aprisse i propri archivi, che rivelasse tutte le morti e le tombe non segnalate, «in modo che si possa finalmente mettere una pietra sopra le tragedie di quegli anni lontani?».

Per qualche istante, l’aula rimase a guardare l’insolito spettacolo del primo ministro rigidamente seduto al suo posto, apparentemente impassibile, impietrito, perso in un altro mondo, fin quando un brusio d’impazienza non lo riscosse. Si alzò con movimenti legnosi, come se l’età gli avesse saldato le giunture.

«Non mi risulta», cominciò a dire con inconsueta incertezza, «che vi siano elementi che lascino supporre l’esistenza di tombe occultate dai britannici…».

Makepeace protestava, agitando un foglio di carta che, urlò, proveniva dall’Archivio di Stato.

Altre voci gli fecero eco. Nella sua testa risuonavano battibecchi e confusione, discorsi su tombe, su segreti che sarebbero stati inevitabilmente riesumati insieme alle ossa, su faccende che dovevano restare sepolte per sempre.

Poi un’altra voce, più familiare. «Combatti!», gli intimò. «Non farti vedere vulnerabile. Menti, urla, dimenati, insulta, colpisci basso e dove fa più male: qualsiasi cosa, basta che combatti!». E che preghi, avrebbe potuto aggiungere quella voce. Francis Urquhart non sapeva pregare, ma Cristo se sapeva combattere.

«Credo sia estremamente pericoloso andare per armadi a curiosare, a infilare il naso in atmosfere ormai stantie e insalubri», cominciò a dire. «Dovremmo piuttosto guardare al futuro, con le grandi speranze che ci riserva, anziché rimuginare sul lontano passato. Qualsiasi cosa sia accaduta durante quella vecchissima, tragica guerra, lasciamola sepolta, insieme alle eventuali malvagità compiute, probabilmente da entrambe le parti. Concentriamoci sull’amicizia incontaminata che da allora abbiamo costruito insieme».

Makepeace stava cercando di ribattere, protestando ancora, aggrappato a quel suo foglio di carta. Urquhart lo mise a tacere col più spietato dei sorrisi.

«Naturalmente, se l’onorevole collega ha in mente qualcosa in particolare, oltre a fare irruzione in un archivio polveroso, mi darò pena di esaminare la questione per lui. Non dovrà far altro che scrivermi con tutte le specifiche del caso».

Makepeace si acquietò e, con estrema gratitudine, Urquhart sentì che lo Speaker stava annunciando il successivo punto all’ordine del giorno. Nella sua testa rimbombava un caos di voci, grida, esplosioni e proiettili che rimbalzavano. Non ci vedeva più, accecato dal ricordo del sole del Mediterraneo che si riflette sulla roccia antica, mentre le sue narici dilatate si riempivano dell’olezzo dolciastro della carne che brucia.

Francis Urquhart si sentì improvvisamente decrepito. La clessidra della storia si era capovolta.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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