[Questo testo, seguito da una breve antologia di poesie di Giuliano Mesa, è apparso sul n° 3 di “Atti impuri“. Su NI è stata pubblicato il 23/8/2011. Lo ripresento oggi, perché il 15 e il 16 giugno si terrà a Bologna il primo convegno universitario su di lui. È quindi un’occasione per ricordarlo, ma sopratutto è un invito a leggerlo, anche se la sua opera, nonostante le mie ottimistiche affermazioni in questo pezzo è difficilmente disponibile, se non in rete.]
di Andrea Inglese
Quali prove ho, che Giuliano Mesa sia uno dei maggiori poeti italiani viventi?
Dico questo perché, in poesia, la confusione dei valori è più evidente che altrove. Qualsiasi titolo e trofeo, vanno vagliati con cautela. Nella narrativa, almeno, il successo commerciale permette di squadernare evidenze, che possono poi essere confutate da evidenze d’altro genere, quali il giudizio del critico. In poesia tutto si decide tra pochi, endogamicamente, con grande rischio. A volte, persino, non si decide un bel niente: ognuno nutre semplicemente, nel cantuccio proprio, nella chiesuola d’appartenenza, le proprie chimere. L’opera di un poeta può esserci, straordinaria, ma risulta magari invisibile o dispersa dal punto di vista editoriale, mentre altri libri di nessun pregio, per ragioni estrinseche, girano per librerie, biblioteche e premi.