Home Blog Pagina 421

Frontiere erranti della letteratura

11

celati300

di Gianni Celati

Fine dell’umanesimo.

Un filosofo contemporaneo, Peter Sloterdijk, si è chiesto che ne è di tutto quello che l’umanesimo ci ha lasciato in eredità. (Regole del parco umano, in Non siamo ancora stati salvati, Bompiani, 2004). Questa eredità è soprattutto quella dei libri, della lettura, dello studio, come un vaccino contro la ferocia e la barbarie. Sloterdijk considera i grandi testi greci (Omero e Platone innanzi tutto) come lettere inviate ad amici ignoti: lettere che hanno prodotto nell’occidente latino una fioritura di comunità di pensiero, unite dall’amore per i grandi testi e orientate verso l’umanizzazione dell’homo inumanus. Questi aspetti resteranno alla base della forma scritta, dal Convivio di Dante (che è un manifesto per togliere l’uomo dal suo stato ferino) fino alle soglie della nostra epoca.

Donne di tutto il mondo, unitevi!

0

donne1
La Casa Internazionale delle Donne di Roma promuove una campagna di sottoscrizione straordinaria per saldare entro pochi mesi un debito che riguarda una parte dell’affitto pregresso verso il Comune di Roma e ottenere il rinnovo della convenzione fino al 2021.

Contribuire a saldare questo debito significa riaffermare la presenza operativa delle donne nella scena attuale del nostro paese e nel mondo, il loro impegno a modificarlo, la volontà di starci continuando a costruire occasioni di incontro, confronto e produzione di un punto di vista critico e femminista.

“Il corpo delle donne” o del fascismo estetico (2)

63

granhøj_458x306_338x226

di Andrea Inglese

(La discussione scaturita da questo post, grazie alle osservazioni e testimonianze emerse nei commenti, mi ha fornito materiale di ulteriore riflessione. E davvero diversi sarebbero i filoni di discussione possibili. Per conto mio proverò a metterne a fuoco uno, quello relativo alla formula suggestiva, ma per certi versi opaca, che mi si è imposta rievocando scene di Videocracy: il “fascismo estetico”.)

Vorrei cominciare con due citazioni tratte da un post di Lorella Zanardo, intitolato I corpi liberati. (La Zanardo è l’autrice del documentario-saggio Il corpo delle donne).

“E’ da sempre enorme il potere d’attrazione del corpo delle donne, oggi però ne abbiamo più consapevolezza e ne restiamo noi stesse sorprese.
In particolar modo le giovanissime, come Silvia, paiono godere di questa scoperta: la loro è forse la prima generazione a nascere e crescere dentro un corpo liberato che non ha dovuto lottare per uscire da costrizioni e sottomissioni millenarie.
Io credo ci sia qualcosa di vero e forte in questa scoperta.
Intendo che Silvia, Belen e molte altre si avvicinino ad una scoperta potentissima senza riuscire a portarla a compimento.”

“La televisione attrae proprio per la sua proposizione ossessiva di corpi, lontani però da ogni forma realmente espressiva perché imprigionati in gesti ripetitivi e costretti dalla finzione intrinseca al mezzo televisivo.”

La morte “per sbaglio” di Petru Birladeanu

26

agguato-napoli

di Carmen Pellegrino

Come si racconta una morte? E una morte tragica? E una morte “per sbaglio”? Come si portano in superficie trafitture, lacerazioni, smottamenti di coscienza che lasciano un irrimediabile senso di umiliazione e vergogna? C’è come un senso di straniamento sottile nel descrivere una morte, c’è come una resistenza emotiva da vincere, cercando segmenti narrativi che riducano lo iato profondissimo tra reticenza e condivisione. C’è questo nella breve storia della morte di Petru Birladeanu, un ragazzo di nazionalità romena che suonava l’organetto nella stazione Cumana di Napoli, quartiere Montesanto, una morte avvenuta “per sbaglio” e poi confinata nel campo della marginalità, della irrilevanza più ostinata.
Siamo a Napoli, il 26 maggio 2009, è un martedì, quasi verso sera, e fa già caldo. L’ultimo taglio di luce rimbalza sulle strade, attraversa il tufo dei vicoli porosi, immobili in un perpetuo andirivieni. Nei pressi della stazione cumana c’è sempre gente di passaggio, Montesanto è nel cuore antico della città, salgono lungo i muri, sulle facce le ombre della sera che viene.

La casa giusta e le lotte partigiane

2

StenPM-B

Una casa per Paralup
di
Carlo Grande

Esistono luoghi che sembrano insignificanti, lontani da tutto, dimenticati, ma che possono dire ancora molto dal punto di vista esistenziale e “politico”, nel senso più alto del termine. Paralup è uno di questi: la mitica borgata alpina del Cuneese, tra Valle Stura e Valle Grana, dove il 20 settembre 1943 salirono i primi partigiani del Piemonte e probabilmente d’Italia, le sedici baite dove si rifugiò la dozzina d’uomini guidata da Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco (Nuto Revelli raggiungerà la banda pochi mesi più tardi), rinasce grazie alla Fondazione Nuto Revelli, all’abnegazione del figlio Marco e della moglie Antonella Tarpino, all’impegno di tanti, architetti, storici, maestranze, studiosi e amici come Andrea Cavallero, Daniele Regis, Livio Quaranta, Valeria Cottino, Dario Castellino e Giovanni Barberis.
Sabato a Rittana, a pochi minuti di marcia dal luogo-simbolo dove salì il gruppo di Italia Libera che avrebbe dato origine alla banda di Giustizia e Libertà, si terrà un convegno-laboratorio: la data non è casuale, il 12 settembre 1943 – poco prima della strage di Boves – Duccio Galimberti e i suoi uomini salirono a Madonna del Colletto, dall’altra parte della vallata, ribellandosi ai nazifascisti. Videro che la posizione era indifendibile e si spostarono a Paralup.

La cintura [Eracle #9]

3

wonder_woman21

di Ginevra Bompiani

Ma Zeus dov’era mentre il suo figlio prediletto
deviava così dalla propria strada?

La storia si potrebbe anche raccontare così. La figlia di Euristeo voleva il cinto di Ippolita. L’amazzone acconsente a donarlo a Eracle, ma nel momento in cui glielo consegna legge nel suo sguardo che ha deciso di tenerlo per sé. Allora pone le sue condizioni.

Di Stormy Six e di popoli fratelli

3

stormy-six-1974

di Gian Paolo Ragnoli

Era il ’73, io ero spesso a Milano, dove mia figlia Marta sarebbe nata l’anno dopo, gli Stormy Six stavano passando da Wooody Guthrie a Stalingrado, tutto sembrava in movimento. Era anche l’anno in cui nella mia città, La Spezia, conobbi Rudi Veo e Giovanni Sturmann, assieme ai quali avrei fondato un gruppo di folk “militante”, il Collettivo Franceschi, ispirato dal primo Dylan, da Guthrie e dagli stessi Stormy Six. Di lì a poco avremmo incrociato le nostre storie con tutti quelli che giravano nel microcosmo della sinistra alternativa, che in fondo tanto micro allora poi non era.

Post in translation: Régis Jauffret

20

da Microfictions
di
Régis Jauffret

Un volgare cancro da operaio
(traduzione di Francesco Forlani)

Sono arrivato a Roisssy con un quarto d’ora di ritardo. L’aereo era già decollato.
– Per fortuna, visto che si è schiantato al di sopra dell’Atlantico.
Preferivo mancare al mio appuntamento a New York piuttosto che perdere la vita. Mélanie, un’amante di vecchia data, congedata, non aveva perso tempo, quando sono rincasato aveva già svuotato casa con un semi rimorchio noleggiato da Kiloutou. Su questa cosa, crisi cardiaca. Un ospedale in sciopero, un dottore reclutato sul campo che detestava la cardiologia. Rene artificiale, preferiva di gran lunga la nefrologia. Morto, sepoltura ad opera di due imbranati che si sbagliano di tomba. Eternità in compagnia di bare nere, che non fanno altro che affossarmi il morale già basso.

OTTOBRE 1912: relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione al Congresso Americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti.

9

di Antonio Sparzani

Immigrati_italiani_usa1

Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.

OUTING E DIRITTI CIVILI

33

di Franco Buffoni

Un motivo di consolazione. Forse – grazie agli eventi degli ultimi mesi – siamo riusciti a scampare l’elezione di Silvio Berlusconi a prossimo Presidente della Repubblica. Non è poco. L’anomalia è che gli eventi non sono stati messi in moto dall’opposizione (come sarebbe logico) o dall’opposizione interna (es: Gordon Brown vs Tony Blair), ma dalla moglie del premier, dalla madre dei suoi figli. Accontentiamoci. L’opposizione interna (Gianfranco Fini) tuttavia si sta facendo sentire da posizioni di buon senso in particolare sui temi attinenti ai diritti civili. Il richiamo alle destre europee di Merkel e Sarkozy è appropriato. Se puntiamo al minimo sindacale nel campo dei diritti civili, quelle destre europee lo hanno concesso da tempo.
Se invece parliamo di destra italiana (clericali, leghisti, fascisti e quant’altro) la situazione è tragica e – ancora una volta – anomala.
Chi conosce il mondo anglosassone sa bene la durezza di certi outing scatenati da attivisti per i diritti civili (radicali, progressisti, dunque di “sinistra”) contro ipocriti vescovi e parlamentari conservatori. Il caso Feltri/Boffo invece si è giocato tutto all’interno della destra (quella leghista-berlusconiana vs quella clericale), o addirittura, una volta gettato il sasso – come sostengono acutamente alcuni – tutto all’interno del potentato cattolico (Cei vs Segreteria di stato).
Per chi non ha dimestichezza con il mondo anglosassone richiamo alcuni punti essenziali.

Gay è ok! Stop omofobia! Fiaccolata contro l’omofobia a Pistoia

12

Dopo tutti gli avvenimenti e azioni omofobe contro le persone e la comunità LGBT, un gruppo di persone e di associazioni ha deciso di organizzare in data Domenica 13 Settembre 2009 una fiaccolata a sostegno e ricordo di tutte le vittime per omofobia e per tutte quelle persone che hanno ricevuto attacchi solo perché ritenuti diversi, malati o semplicemente non conformi alla società.

Percorso

21.30
Ritrovo presso il Parterre di Piazza S.Francesco (Conosciuta come Piazza Mazzini)

Face & Book

5

Nota al libro di Marino Magliani
La tana degli Alberibelli ( ed Longanesi)
di
Francesco Forlani

shipinabottlebyominousbzr4

“Il movimento dignitoso di un iceberg è dovuto al fatto che soltanto un ottavo della sua mole sporge dall’acqua. Uno scrittore che omette le cose perché non le conosce, non fa che lasciare dei vuoti nel suo scritto”

Ernest Hemingway, Morte nel pomeriggio

Da qualche tempo sulle quarte di copertina o sul risvolto in terza, sorridono beate le facce degli scrittori. Una faccia può talvolta suggerire una poetica, talaltra no, come nel caso di Jack Kerouac la cui faccia d’angelo poco ricorda l’epica on the road che aveva cantato. Con questo non voglio assolutamente proporre una corrispondenza lombrosiana tra il chi è, che faccia ha, e cosa scrive. Però talvolta succede che una tale coincidenza si produca in letteratura, per esempio in Francisco Coloane o in Francesco Biamonti.

Loca IV: Qui riconosco tutto, e perciò penetra subito in me: in me è di casa. [ da “Bibliothèque Nationale” ]

4

©,\\’ Orsola Puecher

     di Rainer Maria Rilke
 
     Io seggo qui e leggo un poeta. Ci sono molte persone nella sala, ma uno non se ne accorge. Sono nei libri. Talvolta si muovono nei fogli, come uomini che dormono e si rigirano tra un sogno e l’altro. Oh, ma come si sta bene fra uomini che leggono! Perché non sono sempre così? Puoi avvicinarti a uno e toccarlo leggermente: non si accorge di nulla. E se alzandoti urti un poco il vicino e ti scusi, accenna col capo verso la parte da cui ode la voce, il suo volto si gira verso di te e non ti vede, e i suoi capelli sono come i capelli di un dormiente. Quanto fa bene, questo. E io seggo qui e ho un poeta. Com’è il destino! Ci sono forse nella sala trecento persone che leggono; ma è impossibile che ognuno di loro abbia un poeta. (Dio sa che cos’hanno.) Non ci sono trecento poeti.

E’ uscito “L’Ulisse” n° 12

5

L’Ulisse n.12Antonio Porta e noi

dall’editoriale di Stefano Salvi

Il nuovo numero de “L’Ulisse” raccoglie interventi, testimonianze e testi in omaggio dedicati ad Antonio Porta, di cui ricorrono quest’anno i vent’anni dalla morte […]. L’indagine su “Antonio Porta e noi” comprende anche un omaggio alla figura di Ermanno Krumm […].

Abbiamo voluto bipartire i materiali raccolti in “L’effetto Porta” (che riunisce i contributi saggistici o testimoniali) e “Omaggio in versi” (dove sono testi in memoria, di versi).

Predispone coordinate d’analisi (nell’opera, e nella figura intellettuale) la sezione “Antonio Porta e noi”. Raccoglie contributi di Gian Maria Annovi, di Vincenzo Bagnoli, di Eugenio Gazzola, di Elio Grasso, di Niva Lorenzini, di John Picchione, di Stefano Raimondi, di Alessandro Terreni, e di Adam Vaccaro. Con i testi di “Dossier Porta” si pone sguardo alla vicinanza – magari nell’esperienza dei versi, o personale – e amicizia, che idealmente prosegue qui con pagine di testimonianza diretta della figura di Antonio Porta: sono i contributi di Maria Corti, di Maurizio Cucchi, di Giuseppe Pontiggia, di Fabio Pusterla, di Maria Pia Quintavalla, di Giovanni Raboni, di Cesare Viviani, e (con materiali che documentano i momenti di una collaborazione tra due diverse arti) di William Xerra.

La manifestazione del 26

11

di Un solo gruppo, una sola voce

La manifestazione del 26 settembre porterà a Roma la protesta contro una politica omertosa e mafiosa che ha infettato i gangli dello stato. Ciò che avvenne nel 1992 non è dissimile da ciò che avviene adesso. Ancora oggi nei palazzi del potere si annidano fin troppi segreti e contiguità che rendono certi ambienti della politca una sorta di mostruoso Giano bifronte, rivolto verso le istituzioni e rivolto nel contempo verso l’interesse del crimine.

Il nostro amato premier, che da dietro le sue televisioni e i suoi sorrisi, ci sembra tanto innocuo, è un paradigma, se non un motore del processo di setticemia dello stato di diritto.
Quest’uomo è contiguo con la mafia dai tempi in cui la banca del suo paparino, LA BANCA RASINI…

…RICICLAVA IL DENARO DELLA MAFIA.

Casa di risonanza

2

archi

Il racconto dell’oggetto
di
Eugenio Tescione
Note scritte a proposito di una realizzazione dell’architetto Beniamino Servino

«Che io sia un oggetto della memoria è falso, almeno quanto è vero che la memoria sia fallace. Non sono neanche un oggetto di natura, sebbene alle sue implacabili leggi io sia sottoposto: essa infatti, implacabile e sospinta dal suo implacabile e lento connaturare, mi ha assorbito, mi ha trasformato.
Io sono un oggetto del pensiero che ha avuto la sorte di varcare la soglia dell’invisibilità e, diventato visibile e sensibile, è nato alle trasformazioni prodotte dall’area del vivente, quell’area che congiunge l’estremo della bassa probabilità a quello dell’assoluta certezza. In questa area della vita, ora, vedo rallentare il declinare verso l’estremo assoluto, poiché si sono presi cura di me.»

Che l’oggetto abbia parola è un fatto inscritto in quella categoria ampliata degli accadimenti che include la capacità d’ascolto del soggetto. La lingua dell’oggetto ha una grammatica e una costruzione sintattica legate da una fissità costituita, cioè interiore, nel soggetto che istituzionalizza, cioè rende esteriore, la certezza del legame significante-significato. L’oggetto ha parola poiché è e diventa contenitore di contenuti liberamente in esso riversati: i contenuti del soggetto che lo ha creato e del soggetto che lo ha usato, di quelli che lo vivono, lo riempiono immettendo in esso la loro vita individuale.

Elogio dello stile reticente, disseccato, inorganizzato, ovvero dell’assenza di stile

17

di Mauro Baldrati

La questione dello stile è da sempre un elemento di pesatura rilevante per gli scrittori. Esistono pulsioni, risonanze, esiste, forse, il tempo; esistono concatenazioni di pensieri – siano essi coscienti, palesi, sinceri o menzogneri – che cercano di spiegare (ma anche di negare) la realtà. Scrivere produce un movimento forzato, più o meno lineare e indifferente ai mimetismi, alle reticenze, alle finzioni di chi scrive, che organizzando ordini e segnali cerca di mettere in contatto le concatenazioni, attraverso i flussi della narrazione. E produce verità, perché la natura della verità è di essere prodotta: la verità del canto, del conflitto, del segreto, del vuoto pneumatico. La verità del racconto. Questo movimento costituisce la condizione della sua comunicazione, attraverso la forma.

TORNA L’OCCHIO DI HUBBLE

18






 

[ click su ogni immagine per ingrandirla ]

 
Torna l’occhio di Hubble.

Specchi neri (incipit)

105


di Arno Schmidt

traduzione di Domenico Pinto

(Clicca sull’immagine per ingrandire)

specchio1

La visione di Arno Schmidt

7

specchineri

di Marco Rovelli

All’inizio sembra un sogno, uno di quei sipari che Schmidt alza nel corso della narrazione: un uomo solitario che vaga per boschi e strade di campagna deserti, solo scheletri umani a segnare il cammino. Dopo un certo numero di pagine, in cui sei “preso” nella fantasmagorica lingua di Schmidt, catturato nei suoi interstizi, nei suoi ritmi, ti accorgi che è invece tutto fantasticamente vero: una guerra, una bomba all’idrogeno, e l’ultimo uomo sulla terra, a osservare il disastro, a scrivere la fine. Un signor Nessuno, l’“Utys” omerico, vaga in una terra metamorfica, dove le vestigia scheletriche degli umani si confondono e trapassano in natura – senz’altro – dopo che “l’esperimento uomo, il fetente, è terminato”. Poi arriva una donna: ma non cambia nulla, ché in Schmidt non si trova la morale.

“Videocracy” o del fascismo estetico (1)

250

videocracy_2_us--400x300

di Andrea Inglese

[La seconda parte dell’intervento, qui]
La negligenza, e quasi la cecità, della sinistra e della sua intellighentsia dinanzi a questo fenomeno deriva dalla situazione con cui hanno guardato alla cultura delle masse, che è stata considerata sempre marginale rispetto al potere presunto vero, cioè alla dimensione politica ed economica. Raffaele Simone

Essere spettatori di Videocracy è un’esperienza profondamente sgradevole. Durante la proiezione del documentario è percepibile un diffuso imbarazzo, che ogni tanto è rotto da qualche risata liberatoria. Ma quelle risate, appena risuonano, più che liberare incatenano maggiormente alla propria vergogna. Poi c’è lo schifo. Uno schifo da tagliare col coltello. E quindi la nausea di nervi, veri e propri crampi. E quando ti alzi e vedi gli altri spettatori come te, e sai già fin d’ora che se ne andranno come se niente fosse, come si esce ogni sera da un cinema, un po’ stralunati e un po’ eccitati, ti piomba di nuovo addosso la vergogna, quasi fossimo tutti quanti testimoni passivi e docili di un crimine detestabile, concluso il quale ognuno se ne va solitario, omertoso e impotente a casa propria. Strano effetto, davvero. Ma come? Non avevo io letto Anders, Debord, Baudrillard, Bauman? Non avevo letto Barbaceto, Travaglio, Perniola, la Benedetti, Luperini? Non conoscevo già tutta questa vicenda a memoria? Non avrei dovuto essere immune dallo shock? Non ho forse letto analisi e ascoltato dibattiti sul genocidio culturale, sulla rivoluzione mediatica degli anni Ottanta? Sul grande smottamento antropologico, cominciato con Drive in?