di Giacomo Sartori
In questo posto e in questo momento, sotto questo cielo ancora invernale di vetro soffiato, vi chiedo di uccidermi. Non subito, quando ce ne sarà bisogno. Quando me lo meriterò. Quando sarò trafitto da tubicini e non risponderò alle vostre domande. Quando paragoneranno la mia esistenza a quella di un vegetale. Quando qualcuno vorrà a tutti i costi farmi del bene o del male, o anche solo prendermi come ostaggio della sua petulante (vanagloriosa?) coscienza. Quando la legislazione in vigore farà decidere i medici o i cammelli. Ve lo chiedo nel pieno possesso delle mie facoltà cerebrali. Insomma, così mi sembra. Certo potrei essere schizofrenico, o vittima di una primaticcia demenza senile, o anche solo ubriaco, ma non mi pare. Mi osservo nel riflesso della porta a vetri del bagno, e mi vedo come mi sono sempre visto, solo un po’ invecchiato. Arriva il momento in cui bisogna fidarsi di se stessi, nonostante le tante delusioni che ci si è dati. Attribuite insomma a queste mie parole l’affidabilità di tutti i chiacchiericci umani, che mentono sempre, ma alitano pur sempre atomi di vero. Uccidetemi, dunque.










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