di Christian Raimo
La letteratura e la matematica sono due insiemi che oggi sempre più raramente si intersecano, e a dire il vero, se guardiamo all’Italia, è ancora più difficile che anche semplicemente si tocchino o si avvicinino. Gli scrittori, i letterati e gli intellettuali umanisti nel loro complesso hanno in genere una preparazione matematica che non supera quella di un mediocre liceo, non si vergognano di considerarsi degli incolti nelle scienze esatte o manifestano al massimo un interesse da adolescenti, una sorta di fandom reverenziale. E qualcosa di simile accade all’interno dei libri, i personaggi dei matematici vengono in genere ritratti come dei pazzi assolutamente chiusi in se stessi e fuori dal tempo, capaci di pronunciare qualche boutade strampalata, di essere protagonisti di qualche aneddoto paradossale, che li fa sembrare dei geni iper-razionali o iper-irrazionali (tanto che differenza fa?), difficilmente assimilabili alle nostre categorie di comprensione umana. Del resto i romanzi parlano di emozioni e sentimenti, quindi che c’entra la matematica?







