di Christian Raimo e Nicola Lagioia
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Io e Nicola eravamo stati amici – molto amici, stretti, sodali, soprattutto nei due anni in cui le cose stavano andando talmente a scatafascio che potevamo passare le ore a fare battute sarcastiche sul fatto che non avevamo i soldi per comprarci una corda da agganciare al soffitto.
In un’Italia divorata dalla crisi economica, nel maggio assolato e ventoso in cui per un periodo ci dividemmo un appartamentino a San Giovanni, le cose erano andate più o meno in questo modo: io ero depresso perché ero depresso e Nicola era depresso perché – fuori tempo massimo, nevrotizzato dai sensi di colpa – si stava sputtanando i pochi soldi che gli passava una web-agency facendosi nelle vene. Io lo guardavo con gli occhi abbacinati, abbozzavo meraviglia: preparare tutta quella roba lì, le bustine di cellophane, i filtrini di ovatta, il cucchiaino… Tutti i pulpiti su cui sarei dovuto salire per contraddirlo o almeno biasimarlo mi sembravano troppo alti, e del resto ero convinto che lui ce l’avrebbe fatta perché aveva una fidanzata, Betta, che nonostante tutto gli voleva bene, come lui era convinto che io mi sarei salvato perché avevo una famiglia che mi avrebbe fatto in qualsiasi evenienza da materasso protettivo; ma questo, appunto, non ce lo dicevamo.


