Home Blog Pagina 618

Sono un pirata sono un signore

39

Sono un pirata sono un signore

A volte sono un bastardo e a volte un buono;
a volte non so neppure come io sono.
Mi piace qualunque cosa che è proibita,
ma vivo di cose semplici, vivo la vita.

Io donne ne ho avute tante che mi han capito
e altre che in malafede mi han ferito.
Ma è arrivato giusto per me il momento
per dire come io sono, come io sento.

Ti dirò:
impresto l’anima o il cuore;
sono un pirata ed un signore,
più amor proprio che pudore.

Ti dirò:
amo la luna e amo il sole;
sono un pirata ed un signore
professionista nell’amore.

C’è chi mi dice adesso che son più uomo
e là dove condannavo oggi perdono.
Non vado a un appuntamento senza un fiore,
ma non confondo il sesso con l’amore.

Non vado a un appuntamento senza un fiore,
ma non confondo il sesso con l’amore.

Ti dirò:
impresto l’anima o il cuore;
sono un pirata ed un signore,
più amor proprio che pudore…

Ti dirò:
amo la luna e amo il sole;
sono un pirata ed un signore
professionista nell’amore.

Sono un pirata sono un signore
[Soy un truhán, soy un señor – 1978]
Julio Iglesias – M. de la Calva – Ramón Arcusa – G. Belfiore

Perversioni

7

di Helena Janeczek

atari-cocktail-cardboard-bezel-black.jpg

Perché la violenza di Abu Ghraib e la violenza delle decapitazioni sembra coincidere come mai prima con la pornografia? Perché è fotografata e filmata. Questa è la prima risposta, quella che infatti hanno dato tutti.

Il documentario come ortopedia dello spirito

19

13612.jpg
Di Andrea Inglese

Come definire il lavoro di Michael Moore? Giornalismo situazionista? Documentario decostruzionista? Cinema-verità? O più semplicemente, controinformazione? Ma Fahrenheit 9/11 è un documentario, una registrazione della realtà o una sua forma di manifestazione? Certo, per alcuni snob di sinistra o di estrema sinistra, il problema non si pone neppure: la capacità di Moore di raggiungere con efficacia un vasto pubblico, già sancisce la sua irrilevanza. “Già lo sapevamo, già sapevamo tutto”, dicono. Il principio dello snobismo, anche in politica, è la capacità di distinguersi dagli altri, di possedere qualcosa di esclusivo (la verità degli eletti contro la menzogna delle maggioranze). Ma se tralasciamo questo tipo di atteggiamento, Fahrenheit 9/11 non può non sembrarci un prodotto raro, anomalo, proprio in virtù della sua naturale tendenza a valicare categorie e schemi.

Vi racconto di Marano e dei due compari.

5

Storia di camorra politica nell’Italia dimenticata.

di Roberto Saviano

salgado.jpg Trasite e’ pann’ ca chiove!

Marano è una città a Nord di Napoli. Una città di catrame e cemento, identica a mille altre, un luogo della periferia meridionale, nato a ridosso della grande città. Marano è una città ricca, densa di palazzi, ristoranti, alberghi per matrimoni. Agglomerati condominiali spuntati come funghi negli anni novanta troneggiano come corona alla periferia della periferia, condomini strozzati di cemento svettano ai lati di fastose ville a più piani con piscina in giardino, decine di mastini dietro i cancelli e le telecamere alla porta.

Niente scherzi: Si parla di Bacon

63

(Terzo e ultimo collage)

di Franz Krauspenhaar
bacon.jpg

Facciamo finta che Francis Bacon io l’abbia davvero conosciuto perché inviato a intervistarlo da una Nazione Indiana prenatale, in versione ovviamente cartacea, nei primi anni 90. Io, giovane (allora) scrittore di belle speranze; e dal nome difficile. Io, che amo da impazzire non solo la Guinness ma anche le uova al bacon, per l’appunto. E la pittura di quel genio senza pietà.

Perché son tristi

6

di Riccardo Ferrazzi
tel-aviv.jpg La città dove conobbi Judy ha un nome che significa “collina della primavera”, ma la collina chissà dov’è. La città è in riva al mare, ma non è un porto. Anche le strade ce la mettono tutta per incrociarsi ad angolo retto, ma finiscono sempre per confluire in qualche piazza sbilenca. In Medio Oriente le cose non sono mai come sembrano.

Case editrici i cui nomi suggeriscono pratiche porcellone

14

di Tommaso Giartosio

All’insegna del pesce d’oro

E/o

Transeuropa

Sensibili alle foglie

Ponte alle Grazie

Olschki

Pendragon

Fabbri

Mazzotta

Rizzoli

Rapato a zero. Un ricordo di Carlo Coccioli

22

di Giorgio Vasta

coccioili_carlo_b.jpg

Poco meno di un anno fa, il 5 agosto del 2003, moriva a Città del Messico Carlo Coccioli, scrittore multilingue (scriveva e pubblicava in italiano, spagnolo e francese), intensissimo, silenziosissimo e silenziato (“il silenzio era tanto che lo si sentiva alitare”). Qualche notizia in breve sui giornali, qualche nota su internet, poi più niente. Coccioli, oltre a essere quasi del tutto ignoto in Italia (era nato a Livorno nel 1920), muore in estate, addirittura ad agosto, ovvero al centro del legittimo oblio. Evidentemente doveva andare così, permanere in questa condizione di autore amatissimo in Francia e nei paesi di lingua spagnola ma eterno outsider in Italia.

Coccioli – del quale tra bancarelle e librerie si riescono a recuperare i bellissimi libri – mi è tornato in mente in questi giorni, per il caldo e per qualche altra ragione. Ho ricordato un suo pezzo, “Rapato a zero“, che chiude la raccolta omonima edita da Vallecchi nel 1986, brevi editoriali che Coccioli dettava telefonicamente e che venivano poi pubblicati su La Nazione. Mi è tornato in mente e sono andato a rileggerlo. Mi è sembrato nuovamente bello – lo spettacolo asciutto di una lingua perentoria, l’italiano arcaico e straniero che affiora qua e là come una sbucciatura – mi fa piacere proporlo ai lettori di Nazione Indiana.

Conigli per gli acquisti

63

di Gianni Biondillo

coniglio.JPG
So già come andrà a finire. Ci saranno gli indignati che diranno: ecco, questa è pubblicità, neanche troppo occulta, vergogna!
Poi i precisetti, che diranno: In Sfiga all’OK Corral di Bartezzaghi sono state codificate delle regole precise che qui non vengono rispettate.
Gli snob: Comunque non fanno ridere.
I seriosi: Così si perde l’autentico spirito critico di Nazione Indiana. Questa è una calata di braghe, una spettacolarizzazione e volgarizzazione della cultura.

Mauro Curradi, scrittore d’Africa

4

di Roberto Saviano

curradi.jpgUna complessa stratificazione di percezioni ed immagini: vicoli magrebini, cristalli d’ambasciate, aule d’università africane, liti politiche in interni borghesi, compongono il profilo di Mauro Curradi. Fuggo dalle contraddizioni di un presente che amo, fuggo da una generazione che vive lontano, troppo lontano da me. Fuggo da un Europa dissacrata dall’idiozia, dalla criminalità della morte. Questa confessione m’appare più d’ogni altra capace di mostrare la forma letteraria e biografica di Curradi, autore rarissimo che ha passeggiato per vie letterarie inesplorate dagli scrittori italiani.

ARRIVANO I MOSTRI

3

di Sergio Baratto

bottletoss.jpg
“Seduto in soggiorno, cercava di leggere. Si era preparato un whisky e soda al suo piccolo mobile bar e teneva il bicchiere in mano mentre era immerso in un testo di fisiologia. Dall’altoparlante sopra la porta del disimpegno usciva a volume altissimo la musica di Schoenberg.
Ma non bastava. Riusciva comunque a sentirli, lì fuori, a sentire i loro bisbigli, i passi, le grida, il ringhio e le risse tra loro. (…)
Ed erano tutti lì per la stessa ragione.”

Richard Matheson, Io sono leggenda

Ma che orrore la faccenda dei 37 sudanesi imprigionati per giorni su una nave e ora imprigionati in terraferma.
E poi la farsa delle identificazioni: sono veri profughi in fuga dalla guerra (Darfur: oltre un milione di sfollati interni, 160.000 profughi, dai 10.000 ai 30.000 morti) o sono soltanto veri desperados? Ma se anche fossero solo 37 banalissimi ghanesi o nigeriani in fuga dalla miseria, dico, cambierebbe qualcosa? Comunque sia, a quanto pare 37 negretti assediano l’Europa. Pazzesco.

ESCLUSIVO: KRAUSPENHAAR INVITATO A CASA MAZZANTINI

67

di Franz Krauspenhaar

zorromazzantini.jpg
Eccomi arrivato. L’emozione è tanta. Ho l’anima sudata. Ebbene si, rubo un’espressione di lei, la padrona di casa, un’espressione del suo “Non ti muovere”.
Mi manda Nazione Indiana. Mi hanno inviato. Mi ci hanno mandato. Sono un invitato speciale. Ce l’ho fatta. Potrò assistere all’intervista della giornalista Stella Pende di Panorama alla scrittrice. Unica ma tassativa condizione posta dalla Pende: dovrò tacere. Ce la farò?

La lista di Natale

7

di Marco Candida

Seguo da svariati anni ciò che fa, dice, scrive il giovane Marco Candida. Ieri ha pubblicato nel suo estroso blog un pezzo assai interessante; che ha l’aspetto di un racconto ma non è un racconto (è però letteratura); che è in sostanza l’ennesima formulazione di una domanda semplice, semplice: una di quelle domande che un narratore dovrebbe scriversi sul muro, e contemplare tutti i giorni; e pur essendo l’ennesima formulazione, mi è sembrata così elegante e utile (fare bene le domande, è un’attività utile) da meritare di essere letta da più persone. Così mi permetto, con il suo consenso, di riprendere il pezzo qui in Nazione Indiana. [giulio mozzi]

Ballarò o della Sindrome di Stoccolma

0

di Simone Ciaruffoli

floris.jpgLa politica corre dietro ai suoi tempi, dimostrando che se esiste un concetto primario di identificazione tra messaggio e ricezione dello stesso, quello risiede nella priorità dell’immagine. L’identità politica dunque è oggi un complesso mostro sociale che prende forma dallo “stimolo” televisivo promosso dalle nostre trasmissioni. Il mezzo televisivo acquisisce la sua caratteristica e soggettività, come pure l’idea di società e di politica che proietta, non (solo) attraverso il suo palinsesto, per via delle sue trasmissioni, ma (anche) grazie al rapporto economico dettato dalla compagnia proprietaria dell’emittente televisiva stessa.

THE RAY AND MARIA STATA CENTER DI FRANK O. GEHRY

0

di Gianni Biondillo
stata.bmpNon è difficile voler bene alle architetture di Frank Owen Gehry. Non ostante lo stile “terremotato”, l’accartocciarsi e il frantumarsi dei suoi volumi edilizi, non ostante l’insistente sensazione di perdita dell’equilibrio, il disprezzo per le regole base della statica e della “buona educazione” urbana, le opere di Gehry, canadese di nascita ma statunitense d’adozione, sono per loro natura amichevoli. Lo sono per l’insita spettacolarità barocca, certo, ma questo non basterebbe, lo sono perché hanno, caso non unico ma di certo raro in tutta la storia dell’architettura, un gran senso dell’umorismo.

Rabelais, illustratore del nuovo mondo

0

Giuliano Della Casa illustratore di Rabelais
di Elena Volpato

giuliano.jpgSguazzavano nel sangue fino alle ginocchia, i cavalli nel Tempio. Anche questa era stata un’immagine di Medioevo, quello europeo, delle croci infuocate sui manti bianchi, resi immacolati dalla benedizione del Papa, partiti per sollevar polvere a Gerusalemme. Quel Medioevo, però, lucidato e rimpennacchiato, giungeva nei lieti palazzi in scrigni di libri, illuminati e ingentiliti da cornici, come i chiostri da ombrose e istoriate fontanelle. Quei libri portavano immagini d’amore e galanteria, nelle ore pomeridiane, con misurata grazia, e Orlando, e Artù, e il più romantico tra loro, Lancillotto, tracciarono con le loro lance, quasi fossero i lunghi pennelli del vecchio elegante Degas, merletti, e vesti di vaghi colori per le dame, perché potessero sorridere un po’, e un po’ potessero piangere delle scure trine purpuree con cui la morte, talvolta vincitrice, miniava i fregi gotici delle loro corazze.

Nantonaku

2

di Fabio Viola

1700090.jpg

Scrive il critico Kato Shuichi della letteratura contemporanea giapponese: “Un fenomeno singolare degli anni Ottanta fu senza dubbio l’emergere di un nuovo tipo di romanzo best-seller, come Nantonaku kurisutaru (Quasi simile a cristallo, 1980) di Tanaka Yasuo, Noruwei no mori (La foresta norvegese, 1987, noto in Italia come Tokyo blues) di Murakami Haruki, Kicchin e Shirakawa yofune (Kitchen, 1987, e Sonno profondo, 1989) di Yoshimoto Banana. Questi libri acquistati da milioni di persone hanno dei tratti comuni. Diversi dai personaggi dei precedenti romanzi popolari, i protagonisti sono tutti giovani, non hanno legami familiari né preoccupazioni economiche, si muovono in uno spazio astratto, quasi artificiale, senza sentimentalismi, senza restare coinvolti con il destino di altri (questo corsivo è mio). Uomini e donne egocentrici, spesso intelligenti, spesso emotivi, e quasi sempre melanconici, che vivono una vita senza scopo. Si appassionano alle novità, alle cose che vanno di moda: vestiti, musica, vitto, località, e infine il rapporto tra uomo e donna; non fanno che andare a far spese, telefonare, incontrare gli amici, e andare a letto assieme. Né passione d’amore, né odio, né una forte personalità. I personaggi fanno questo, fanno quello, a casaccio, ‘nantonaku’, senza sapere perché, come l’ha definito Tanaka Yasuo. Sono ‘nantonaku storie’. […] Sembra proprio che, dovunque, la società consumistica porti le masse a ciò che una volta Carlos Fuentes chiamò ‘un torpore spirituale mascherato da beatitudine’”.

Scusi, è qui l’Europa?

1

di Helena Janeczek

europa-02-ob-08.jpg Il 15 febbraio 2003 l’Europa sembrava qualcosa che stava per nascere, per nascere letteralmente, un fiume sgorgato da tutte gambe che si univano in manifestazione, una fioritura che si schiudeva nelle bandiere arcobaleno che comparivano persino alle finestre dei palazzi patrizi, delle villette isolate, dei casermoni periferici.

GLI UCCELLINI MIGRATORI #2

24

di Antonio Moresco

flock 3.jpgAnche nel giochino della “letteratura” succede la stessa cosa. Anche qui ci sono griglie interpretative e piccoli sistemi che tengono fuori tutto il resto, autorappresentazioni antropocentriche che vorrebbero stabilire ciò che “sta dentro” e ciò che “sta fuori”, anche se, a ben vedere, quello che sta fuori sembra proprio la parte più grossa. Nelle settimane scorse, ad esempio, c’è stato un articolo scritto da un umano scrittore di nome Covacich e apparso su “L’espresso”. Il solito refrain sugli scrittori italiani che non sarebbero in grado di parlare della realtà e di fare quello che fanno invece gli scrittori umani di altri paesi, che abbiamo letto già tante volte – declinato in modi e forme diverse – sui nostri giornali. «Ragazzi, perché non riusciamo a suonare?» si domanda Covacich. «Perché la musica ci resta sempre lì, sul tavolo della pizzeria?» Ecc… «Parla per te!» verrebbe da rispondere, e la cosa sarebbe finita lì. Invece c’è qualcos’altro da dire. Sulla “realtà”, per esempio.

GLI UCCELLINI MIGRATORI #1

0

di Antonio Moresco

flock 2.jpgFra qualche giorno partirò di nuovo. Riattraverserò di nuovo l’oceano assieme a Giovanni, tornerò a Buenos Aires, dove ci sono già Laura e Nic. Da lì scenderemo nella Patagonia, quella argentina o forse quella cilena, non lo so ancora, ma sempre più a sud, sempre più a sud, sulla curvatura della terra, fino alla fine del mundo.

Ho cominciato bene quest’anno, perché l’ho cominciato leggendo l’autobiografia di Billie Holiday, uno di quei libri che da molto volevo leggere e per il quale non trovavo mai il tempo, di quelli che si comperano e si leggono per puro amore. Il suo titolo è La signora canta il blues e si trova nell’economica Feltrinelli. È un libro che fa venire i brividi, emoziona, fa piangere. Non solo per le cose terribili che lei racconta (il riformatorio, il bordello a 14 anni, la disperazione, la fame, la droga, la galera, il razzismo, la lotta per l’esistenza, il riscatto, la storia di quella meravigliosa vocina che tiene testa al mondo…) ma anche e soprattutto per la crudezza, l’inermità, il modo orgoglioso e indomito con cui racconta.

LA NASSA

5

Intercalare 3

I giochi non sono mai del tutto fatti

I giochi non sono mai del tutto fatti.
Perfino durante il regime nazista, Bertold Brecht
si chiedeva come sarebbe stato possibile dire
la verità in Germania. Nel suo saggio del 1935,

Le cinque difficoltà di scrivere la verità,
egli diede una lista di ciò che è necessario per scrivere la verità:
1. Il coraggio di scriverla.
2. L’intelligenza di discernerla.
3. L’arte d’impiegarla come arma.
4. Il buon senso di scegliere quelli nelle mani dei quali essa sarà efficace.
5. L’astuzia di divulgarla a molta gente
(1)