di Christian Raimo
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Nel maggio di qualche anno fa alle nove di mattina stavo sognando di passeggiare a via dei Salè a Frascati, dove all’uscita di un bar m’imbattevo in Mathias Rust, il tizio che nell’85 atterrò con un Cessna sulla Piazza Rossa. Lui mi riraccontava tutta la storia e poi si buttava ai miei piedi piangendo: mi confessava che non poteva più essere il mio eroe, perché quel gesto l’aveva compiuto soltanto per via di una scommessa segreta che Gorbaciov aveva fatto con Reagan. Che scommessa?, chiedevo, ma immediatamente nel sogno ero richiamato dal suono di una sirena da fabbrica che era nella realtà lo squillo del mio telefono di casa che mi restituiva testa e corpo al mondo. Una ragazza dell’istituto di pedagogia della Sapienza stava seguendo una ricerca statistica sulla dispersione universitaria e mi chiedeva d’amblè se ero felice di quello che facevo, che aspettative avevo per il futuro, e come mi sarebbe piaciuto riorganizzare l’università se avessi potuto. Avevo ventidue anni e mi trascinavo da mesi l’esame di Storia della Filosofia Morale, dovevo consegnare una tesina su On Liberty di Mill, che mi ero convinto di scrivere in terzine dantesche.

Per parlare di un libro bellissimo e anomalo come
A proposito di Giorgio Caproni e del suo Il franco cacciatore (1982), Luigi Baldacci ha scritto che «la poesia che non consola è anche quella che potrebbe renderci più responsabili», sottolineando come l’Apocalisse si addica al nostro tempo: «Nessun tribunale. / Niente. // Assassino o innocente, / agli occhi di nessuno un cranio / varrà l’altro, come / varrà l’altro un sasso o un nome / perso fra l’erba. // La morte / (il dopo) non privilegia / nessuno» (Dies illa).
1. Leggo un articolo di giornale (“La Repubblica”, 5 maggio 2004) sulle sevizie compiute dai militari americani in Iraq.
Tarantino non è il primo a dirci che la vendetta è un fuoco che arde senza mai spegnersi. Che non si ferma di fronte a nulla, non ascolta nessun refolo di vento e nemmeno l’umido delle lacrime. Questo ce l’ha insegnato il cinema prima di lui e ancor prima la letteratura.
Ieri pomeriggio ho partecipato a una conversazione con Michele Mari e Valeria Montaldi all’Università Statale di Milano, facoltà di Scienze delle Comunicazioni, in un corso sull’uso della lingua nella narrativa italiana degli ultimi vent’anni. Il corso è tenuto dalla professoressa Ilaria Bonomi. Ho trascritto molte delle frasi pronunciate da Michele Mari. I titoli dei paragrafi sono miei, benché a volte siano perifrasi di ciò che ha detto Mari. In qualche caso riprendono le domande e i temi di discussione proposti dalla professoressa Bonomi. (T.S.)
Aspetta un attimo prima di compierlo. Non credo di aver capito bene la questione della probabilità. Mi stai dicendo che c’è una contraddizione nella descrizione degli stati macroscopici come equiprobabili? Puoi spiegarmi meglio? Sono Simplicio, qui dentro!

Le poesie di Nero Luci sono poesie gnostico-punk. Gnostico-punk nel senso assoluto che emerge dal mescolare profetismo biblico e street culture con percussiva volontà, con un ritmo che affonda nella carne e nella storia dell’uomo. Poesie perché sono un canto che produce incantamento, incantesimo per l’abisso e la resurrezione. Stringhe di parole evocative ed evocattive, e cioè presenti e lucide al proprio tempo in misura sempre maggiore al papa e agli ufo.
Sono quasi le due di domenica, sono contento perché sto a pagina 201 del nuovo romanzo (fin qui non mi piace, ma questa è una sensazione che mi accompagna sempre quando scrivo, salvo venire poi confermata dai lettori), ho appena mangiato un’insalata col tonno e un ottimo parmigiano della Standa. Giro sul TG4 perché al TG1 parlano della liquefazione del sangue di S. Gennaro, che a me fa vomitare anche gli occhi, specie quando sono a tavola.
La funzione di Israele, popolo fiero al servizio dell’impero, o dell’impero a servizio di Israele sulla minuscola, riarsa e desertica Palestina mandataria non è più utilizzabile rispetto all’equilibrio regionale. L’unico ruolo di Israele, dunque, sembra risiedere nella creazione di un prototipo di guerra urbana di periferia, priva di prospettive di pace ma in grado di delimitare perimetri di sicurezza in stile apartheid, modello che potrebbe servire a livello globale nella maggior parte delle metropoli del Sud del mondo e tecnicamente interessante per i militari statunitensi. L’asservimento di Israele a un simile interesse imperiale è ormai del tutto suicida.
IL MIO AMICO FILOSOFO: Del Siero della vanità, il film di Alex Infascelli, mi è piaciuto che il mago illusionista rapisca gli altri ospiti, e non la conduttrice del talk show, una specie di algida e antipaticissima Maria De Filippi. Eppure è lei la vera orchessa, la responsabile delle illusioni fatte a pezzi, quella che decide i destini delle persone che invita alle sue trasmissioni, crea personaggi e li distrugge…