di Raul Montanari
Se Riccardo Ferrazzi ha fatto fatica ad arrivare in fondo al discorso di Veronesi, io ho addirittura saltato qua e là perché proprio non ce la facevo.
Spero nessuno si offenda se dico che questo discorso è molto scombinato; ci sono scrittori bravi a scrivere romanzi – e Veronesi è sicuramente uno di questi – che però magari hanno qualche problema a teorizzare. Tralascio di commentare la stravaganza del fare un intervento critico sui corsi di scrittura all’interno di un corso di scrittura, e facendo riferimento alla propria esperienza di docente presso la Holden. Ma il discorso rimane divagante e qua e là contraddittorio, interessante soprattutto come contributo critico di Veronesi alla disamina della propria attività di scrittore (vedi il pezzo sulla ben nota “crisi del secondo romanzo”).
Il risultato è che, quanto a dibattito sui corsi di scrittura, la colonna di commenti al post “Il professionista e il dilettante”, anche se breve, è fin qui molto più interessante del pezzo che l’ha originata.
Dico la mia in due parole.



Conoscete il CERIT (Centro Riscossione Tributi)? Ne sentirete parlare parecchio negli anni a venire. Si tratta di recupero crediti, un titolo sicuro nella borsa del futuro.
Ma-ia-hii
Rispondo in ritardo alle reazioni suscitate (su l’Unità, 
Lello Voce ha aperto un bellissimo sito molto ricco (
Come è noto i Subaltern Studies – così come anche i Postcolonial Studies – sono nati in un preciso milieu geo-politico; a parte il caso di Edward Said, il quale risulta piuttosto esserne fra gli ispiratori, si tratta per la gran parte di intellettuali indiani – alcuni dei quali insegnano in università occidentali – che tra gli anni ’70 e ‘80 del secolo scorso hanno portato un attacco frontale alla tradizione storica nazionalista indiana e a quelli che erano e sono chiamati Area Studies, veri e propri studi governamentali dedicati all’analisi storico-antropologica di enormi aggregati di territori e popolazioni che, anche in tal modo, sono stati unificati/esotizzati dai poteri transnazionali.

(In questo articolo di Antonio Moresco pubblicato sull’”Unità” sono nominati i libri di Moresco, di Scarpa, miei e un libro collettivo firmato da alcuni collaboratori di Nazione Indiana. Nel postarlo ho avuto perciò qualche perplessità. Tra gli stili di comportamento che Nazione Indiana si è data c’è infatti anche quello di non lodarci e imbrodarci a vicenda, né di recensire libri di amici solo perché sono di amici. Dapprima avevo perciò pensato di tagliarne via un pezzo. Ma poi mi sono accorta che avrei alterato la natura dell’articolo, che è una risposta a ciò che altri ha detto. Ed è una risposta che si ribella al finto galateo di chi gioca con le carte truccate, di chi non fa che ripetere da un po’ di tempo a questa parte che non c’è più nessuno nella stanza, pretendendo che chi è nella stanza nemmeno ribatta qualcosa. “Ah, sì? Tu dici che ci sei? Ah, ti lodi da solo, narcisista!”. Come in quel film di Bunuel, “Abbasso la libertà!”, dove c’è una bambina che tutti danno per dispersa, che tutti cercano, e che continuamente zittiscono quando tenta di dire “Ma io sono qui”. Se quindi in questo pezzo si parla, tra le altre cose, anche di Nazione Indiana e dei suoi collaboratori, è perché altri li ha dati per inesistenti. Perciò mi prendo la responsabilità di pubblicarlo nella sua interezza. Carla Benedetti)