Da “La caduta occidentale”
Il tutto dentro (A Giordano Bruno e Sofia)
“Ciò soltanto, le ossa, le cuoia restano tra te e il tuo pan”
E. Pound
Immaginate ora la scena che la morte vi ha posto le uova dentro
ma senza icone né dagherrotipi in punto di fine
ma come una sorella come una morte venuta dalle origini
ma come un macchinario di letteratura in disuso
ma come un elettrodomestico che buca la ruggine
ma come una clessidra che fatale scuce i grani
dalla parte del cuore
ma senza muscoli che tengano
o come quella gallina che razzola laggiù
nell’aia d’anima
ma senza vultùre che si spengano sui confini delle casse di pollai
troppo sdruciti perché le porte cigolanti tengano
così come le ramaglie che accatasti in fasti di fuochi
in pire che navigano verso la consunzione
l’epilogo delle polveri che lascerai
in morbidi ossari di residui
nel camino senza braci.
Oppure immaginate ora l’ustione
che vi ha fatto all’orecchio quel geroglifico insensato del boato
quel dedalo che non si spiega di polveri d’acciaio piovute per nubi afgane
quello schiocco del televisore appeso alle immagini
là agli stornati altipiani che crollano
come un Tibet al tramonto delle ere
come torte franate di feste anni 70
con le madri preoccupate nei registri di previsione di crescita di figli
l’altopiano che si screma in fiotti di polveri
che ricadono dai solai affollati di suoni d’infanzie strepitosi
come boati in pozzo vuoto dell’essere prima delle ere
o da crolli affollato d’ali di rondini svinanti il celeste
in turrite primavere delle origini
le torri delle fiabe dei libri d’illustrazione
l’altopiano (Tibet per grattacieli) là per franato conclave disceso
con l’ustione al fondo
lo smarrimento immaginatelo
di pelandrane camicie bottoni giù nelle gravi,
con i re crollati nelle valli a scoscese cantine di terra
i profeti che cadono invece di salire
la lamina sedicesima lasciata al tavolo dell’azzardo
che cadono sfinendo il greto, i perimetri, le contrade di sartoria
genetica o d’architettura fallica
come fossero di Murge le icone che crollano dalle vertigini cristiche dei santi
che s’appollaiano dai barbieri romanici nei rosoni d’occhio
o dai sarti che scalfirono litiche giunture nei barocchi orecchi
fino a quelle staffe per sentire meglio
che risuona circolare boato
come una rete che la squadra imprime a quella avversaria
come del tuono che svagina i filari dei perimetri del mondo
adesso negli autunni che i rantoli affollano
comparendo nel fiotto imeneico delle carni del mondo
che il sangue teatrale svagina
come macellerie delle consutili ipotesi appese
al diorama socratico
che te lo dicevo me lo dicevi lo dicevamo.
Immaginate ora altro: che vivete invece,
magari, magari,
adesso qui, nel buio buono, con le famiglia in festa, a pic nic oltre porta,
con la radio accanto, i monitor delle iniziazioni,
le vostre spese a supermercati,
le discese dalle stazioni sciistiche.
O che morite immaginate – che è simile-
o che invece – che è simile – che noi siamo al crocicchio di negri neuroni dentro di noi
in pelle e astucci di derma
che ci siamo qui nelle nevi iniziatiche
che scendono di nervi i crolli della prima volta della scoperta dell’amore
che scendono i dirupi sinaptici, discese che sconnesse carni virano in sculture del risentire
senza confine che la sola morte
spirando nell’ora che esatta verrà
segna
come scardinando
come della vipera che le fibbie di muscoli scioglie nell’impianto dei denti
di ricurve clessidre lunari a falce
restando insomma scucendo insomma la clessidra degli anni
o i verdi teli di ragni che avevamo allestito
a raffermo brodo di tempo
come un tempo le biancherie a stesi terrazzi le madri
immaginate pertanto o ricordiamoci ora – qui nelle riserve del senso, in quelle limacciose risacche
nell’umano parire –
o nelle maree mentali del risentire
che ci siamo, ci siamo tuttavia,
in crocicchi, in quei caldi incroci come di ceppi a camini brucianti
come i velli cerchiati di sangue dei cinghiali alle alture presi
che ci siamo ricordiamocelo, qui resistiamo
abbiamo sufficenti congetture,
forse.
Con pelle vera, questa, che un perimetro di spazio ricopre per l’ombra che ti pertiene
o che ci siamo con peli che drenano le desinenze i rimasugli i ripostigli come dei fossili paleolitici, come la prima scena come noi, come te, di cui immagino odore, a nevi sparse come feromoni delle alture, lì a covoni vertiginosi e sangue sparso per le aie, per ora Sofia, per tutto il tempo, che la vigilia accende a falò vetrine d’ermetico afrore in combusto olio di stoppini ai tuoi capelli di cavalla, ma dei cieli, Sofia dei cieli, tu delle alture, di tutti i passi, di quelle vette, solo esatta oltresarta.
————-
E quel sangue? Tutto quel sangue?
Così tanto musicale nelle cicale delle tue vene
sbattuto in artigli d’arterie?
quel sangue che la macchinosità delle stalle
pure occidentali non avrebbe tracimato.
quel sangue
che non era zampillo di fontana
ma arcipelago di arene
fontana cardiaca che schizza
su i mocci
su le trame di linguti leucociti
come franati tori una volta
a macelli di corna
lì nei sud opachi
o a rostri infissi a ramaglie stanno
come fossero sete dello sfacelo
d’uccelli sbecchettanti
tele di porpora cantanti insomma
come un cartiglio d’odorosa infanzia
alla tua pelle che sfuma in indici
non dicibili di profumi
quel bruciante drappo di rete
quell’oppio d’antichi speziali orientali
che al cervice al tuo occulto
di botri di peli celi
con l’odore di bava lacustre
o di sete d’acque
che in limose oasi dreni
che fanno lascive trappole di vulve.
Quel sangue che era che sta
che disegnava
icone sonnamboliche
per me per te per tutto il tempo
della vigilia della durata
o che l’onde
o che i marosi di verdi foreste
degli abissi risalendo
come simboli di fioche ere
fino al sogno dei morti riposanti
fanno pasteggio
calde lenzuola di trasparenze vitree
come della tua pelle di diafane reti
rimanenze d’aquitrini che sfaldano ora
i bussolotti le ghiere tra tombe
dove salsedini ammucchiantesi
con cerume di licheni
o qualche catrame di plutonica discesa
faranno infine del sonno cablaggio
periferie del sentire
o masserie di sommerse draghe
parendo
sotto i cigli, i tuoi,
i sinuolenti carrigli
del sensorio lunare.
Quel sangue pure canta mi pare
– si Sofia
adesso vengo che sto che resto-
pure crollando oltre la fibbia del tempo
arruotando a pozzi di bassa acqua
svuotando all’unisono ancora
persistendo
svuotando in orecchi vulvari
che hai torniti come labbra
la mia bava
come che storna teorie sul cosmo
o come la mia bara faccio
per me che in ogni istante
mi ridico vivente
o che al canto resisto che pure filo
che brama che svuoto.
—————–
New York ora sei meno fittizia
città desolata che sole immagini
da nebulose stornate abitavano
gremendo come aquiloni del vuoto
d’oppio di vetrate vetrate vetrate
trucco zen
o vertici d’uffici di ingegneria
quanto al tuo somiglia quel barbaglio
di fumiganti soli stornati
da librerie di polverose accidie
degli incendi della primigenia Alessandria
la dove il Nilo sfocia in limosi grumi
di nero terriccio
come per un delta pubico del disastro
o un aranceto screziato al tramonto doppiante
della fine dell’Occidente
o quanto a quelle altre somiglia
spedizioni orientali
la dove tutta la terra era un immaginifica piana
che nei cartigli pareva un giardino del disastro
prima che un diluviante vento la sgominasse.
Così come Costantinopoli resti,
stai di distese di solo sale
a cerchi a virate
o come Napoli stai
resti a falciate mattanze del barocco
– trasfiguranti mascheroni ai doccioni dei portoni –
o come le Calabrie che un cocchio rigira in fango
in tutti gli atlanti dei pini che sfiocinano in aghi in pagliai
o come le Sicilie inzuccherate per reali paste
le Lucanie lampeggianti e bianche
o come Alessandro che ora viene, che ora muore
Alessandro che un morbo involse
nella stretta cistifellea
in un lungo pomeriggio d’agonia
– in infero viadotto di colesterina che non svelle il segreto di una fine-
– o forse fu per l’infezione della vittoria?-
in quegli esangui pasteggi
dopo le campagne
oppure come Napoli
o la sabbia d’Egitto che crema
in Nilo nero
mulinando su sarcofagi d’enigma
quella che non è domanda
che tu puoi porre
non cognizione
che pretenderai di accumulare.
Per questo anche ti dico non chiedere non dire Sofia,
non dire ormai nulla,
ma soffia invece solo
brucia la ristoppia che arde tra noi
nel caldo delle buone braccia
che hai come i chiavistelli per aprire estati
anatomie o atlanti assoluti
con tunnel vaginici, con canali bronchiali
con piazze cardiache che fontane allagano
in bave di cocciuta risalita
o in discese nel letargo appiccante dove mi dimentico nascendo
che sono le labbra quando rivolte a clessidre solo lunari
bagnano di mestruo troppo gonfio il mio stesso sesso.
Così che la caduta dell’Occidente
mi pare ora una sorta di lapsus,
un respiro breve,
una figura della retorica.
* * * * * * * * * *
(Michelangelo Zizzi – elogiodelleccedenza@libero.it – ha pubblicato testi su: Poesia, Nuovi Argomenti, L’immaginazione, Versodove, La mosca, La clessidra, Atelier, YIP, Gradiva, eccetera.
E’ presente nel Terzo Quaderno Italiano (Guerini & Associati). Ha inoltre pubblicato La casa cantoniera (Stampa 2001) e La primavera ermetica (Manni 2002). Collabora all’Università di Lecce (teoria della letteratura) e ha pubblicato saggi e articoli critici intorno a figure della poesia italiana del Novecento. E’ medico omeopata.)
(immagine di Louise Bourgeois)
I commenti a questo post sono chiusi
Scusate, non è che adesso esageriamo ?
In effetti si esagera. Ma mi sembra in relazione alla complessione sintagmatica, alla forza di correlazione dell’immagine (vedi Rifaterre), e non al senso eterodosso, eteromorfo, eteroflesso del postmoderno, non in relazione al principio di casualità, di incastro casuale dell’immaginario, di ecolalia tipica della maggior parte dei poeti contemporanei. Difficile tenere questo ritmo serrato. Mi sembra che Zizzi ci riesca benissimo.
Benvenuto, Michelangelo.
Scusa, Riccardo, esagerare in che senso?
Elogio! Finalmente riappari a noi vecchi alabardieri di un mai troppo rimpianto forum transuranico…… come va? Procede bene la storia con Sofia, vedo…. ti ricordi Serenella? Il pallino lo ripassiamo a te, volentieri, magari si ricrea per un po’ la vecchia ganga.
Finalmente ho capito chi era il nick “Elogio dell’eccedenza” del forum Società delle menti che mi aveva chiamato pene vegetale. Vabe’ me l’ero cercata, il mio nick era assolutamente demenziale: “Carburo Fiore Verde” (non ricordo come mi fosse venuto) e poi non ero mai d’accordo con Zizzi, aggressivissimo su quel forum già aggressivo di suo (nella cartella preferiti l’avevo chiamato “Gli esaltati di Clarence”). La discussione in cui mi dava del pene vegetale era su Matteo Galiazzo che secondo me era (ora ha smesso di scrivere) tra i migliori talenti in Italia. Zizzi postava a ripetizione post cattivissimi e in fondo divertenti per demolire Galiazzo e chi lo sosteneva. Intervenne alla fine anche Galiazzo stesso e poi Dalia Oggero. Era una discussione abbastanza bella, Matteo spiegava perché voleva smettere di scrivere. Elogio sparava bordate demenziali, la Oggero diceva che non conosceva Elogio ma che comunque era molto intelligente, io dicevo che Elogio sapeva scrivere ma che questo non significa essere intelligenti o che comunque se quella era intelligenza chiudeva invece di aprire. L’intervento più bello fu di Matteo Galiazzo che raccontò come realizzare cose con le mani, costruire (programmi informatici), gli dava più soddisfazione della scrittura. Non era un giudizio assoluto, era una cosa che valeva per lui. Be’ comunque nessuno trovò quel discorso interessante, eppure da allora Matteo ha veramente smesso di scrivere.
Tutto questo non lo dico per sputtanare Elogio, che mi era simpatico, era un discolone divertente, ma più che altro per confrontare le cose che scriveva allora con queste poesie. Cavolo, ma la sua vena polemico-sarcastica dov’è finita? Sarà stato faticoso chiuderla nell’armadio per scrivere delle cose così leccate. Insomma Elogio/Zizzi perché questo ritorno all’ordine?
ehi, carburo floro verde, ma non eri anche hormiguero ugoloso?? :-))
E’ una poesia che trovo…come dire….stimolante.
Sì, ma poi avevo cambiato nick. Elogio scrisse un post lunghissimo in cui massacrava uno per uno tutti quelli di Maltese. Drago per esempio era diventato Draghignazzo e gli capitavano le peggiori cose, io ero un benzinaio-pene vegetale, ecc. ecc.
Ma non è che Zizzi, così verboso, assomigli a Cortellessa, anche d’aspetto??!!
Ammorbante, peeesaaaante!!!
Questo poema ‘in fieri’, di cui un altro stralcio è apparso sull’ultimo numero di Nuovi argomenti, è una riflessione estetico-letteraria che Zizzi ha iniziato a intrecciare dal 2001, anno del crollo delle torri e dell’uscita di ‘Scrivere sul fronte occidentale’, un libro collettivo di cui Michelangelo non ha apprezzato tutto (anzi solo alcune e poche cose, a suo dire) ma che con ogni probabilità ha fornito una prima idea germinale al futuro lavoro. All’indomani dell’uscita di ‘Occidente per principianti’ di Lagioia, stimatissimo da Zizzi, e di altre scritture ‘occidentaliste’ (il Kamikaze di Scarpa, ad esempio), il poema si pone nel solco dell’elaborazione etico-letteraria di fine secolo, calamitata dallo scenario internazionale dominato dal (vero o presunto?) scontro tra civiltà.
Quanto a stile, nessun ritorno all’ordine, caro Andrea. Lo Zizzi polemista è tutt’altra cosa dallo Zizzi poeta, è una specie di realtà schizofrenica, quanto a modi e maniere naturalmente (altra cosa sono i contenuti), e ti auguro di non averci mai a che fare direttamente, visti i precedenti con Wu Ming 1 e 2, al limite della rissa, con Christian Raimo e, recentemente, il che francamente mi è anche un po’ dispiaciuto, date le cattive maniere del ‘carnefice’ e il fondo pacifico della ‘vittima’, con Livio Romano. Quanto allo stile, dicevo, nessun ritorno all’ordine. Siamo nel solco delle precedenti opere di Zizzi, soprattutto ‘La casa cantoniera’, arricchite di una più matura riflessione letteraria e dalla influenze del romanzo moderno (Moresco su tutti, se pensiamo alla densità materica, di una materia degradata, di cui si nutrono questi versi). Con Zizzi, insomma, siamo in pieno barocco. Due nomi su tutti: Vittorio Bodini (l’ultimo, soprattutto, quello ‘industriale’) e Dylan Thomas (e su Bodini, Zizzi ha preparato la sua tesi di laurea, su Thomas ha scritto alcuni articoli) . Le immagini rampollano, dunque, una sull’altra, per geminazione spontanea, attrazione visiva o fonica, in un crescendo vertiginoso, in estenuanti gorghi visivi e canori, in catene e festoni analogici di gusto, potremmo dire, quasi marinettiano. Pure, ma è questione di gusti, in alcuni punti l’intreccio è troppo spesso, lo gnommero (direbbe Gadda) infittisce, e allora mi sembra che lo Zizzi migliore lo si incontri nei passi più pacifici, lineari, dove sembra attingere a pozzi di ispirazione più pura e libera da certo gioco e arzigogolo un po’ intellettualistico (“Immaginate ora altro: che vivete invece, / magari, magari, /
adesso qui, nel buio buono, con le famiglia in festa, a pic nic oltre porta, / con la radio accanto, i monitor delle iniziazioni, / le vostre spese a supermercati, / le discese dalle stazioni sciistiche. // O che morite immaginate – che è simile”, “E quel sangue? Tutto quel sangue? / Così tanto musicale nelle cicale delle tue vene”, “New York ora sei meno fittizia / città desolata che sole immagini / da nebulose stornate abitavano / gremendo come aquiloni del vuoto / d’oppio di vetrate vetrate vetrate / trucco zen”, “Così che la caduta dell’Occidente / mi pare ora una sorta di lapsus, / un respiro breve, / una figura della retorica.”).
Dato lo stile e l’argomentare del commento, poi, non mi stupirebbe se colui che si firma Alfonso Berardinelli, fosse lo stesso Michelangelo, istriotico come non mai.
Benvenuto Michelangelo.
Con stima e affetto Emanuele.
Condivido molto questa tua analisi Graziano.
Mah, veramente… sentite la mia voce nasale? Come? Devo parlare più forte?? Datemi un microfono migliore, perdindirindina!!
Se Alfonso fosse Zizzi, come io credo – siamo una goccia d’acqua con michelangelo!-, allora, più che un istrione, il mio amico, che paura! ma tanto so’ grosso!!! è un proprio un buffone.
Scusate ho digerito male er cacciucco alla liburnese!! Sgurp, blorp, prrrruuuuuu!!!!
Qui c’è gente che fuma roba tagliata male. Malissimo.
A proposito di critici, da Alice:
Il canone oscillante
La letteratura italiana negli ultimi trent’anni
Fondazione Banco di Sicilia, Villa Zito, Viale della Libertà 52 – Palermo
24-26 novembre 2004
Un convegno che si occupi del canone letterario degli ultimi trent’anni, dei suoi cambiamenti e delle modifiche del suo statuto, è importante per chiudere, almeno provvisoriamente, il Novecento. Questi ultimi trent’anni hanno operato mutamenti macroscopici nella definizione, emersione, ricezione del fatto letterario: è nata l’editoria di massa, ha vacillato l’autorevolezza della critica letteraria, l’invasione mediatica ha trasformato la scena culturale nazionale e internazionale, e sono emersi autori di altri continenti che hanno reso più provinciale l’Europa, tutto questo sul filo di un grande cambiamento epocale, storico e sociale.
In questi trent’anni il Premio Mondello ha promosso nuove visibilità, autori nuovi e autori che venivano da molto lontano, dando modo anche al canone italiano di mobilitarsi in vista di nuove ipotesi critiche. Ricordiamo che, in assoluto anticipo con la loro consacrazione, il Premio è stato attribuito negli anni ad autori come da Milan Kundera, Seamus Heaney, Josè Saramago, V.S. Naipaul, Kenzaburo Oe e Wole Sojnka.
Il convegno sarà un’occasione per discutere la famosa definizione di Harold Bloom, secondo la quale “uno dentro il canone irrompe solo per forza estetica” e cioè per “padronanza del linguaggio figurativo, originalità, capacità cognitiva, sapere, esuberanza espressiva”. E sarà la sede giusta per approfondire questioni di carattere teorico, per discutere gli aspetti legislativi del canone, se esso presupponga ancora una “lotta per la sopravvivenza” o se sia compatibile con l’idea stessa di democrazia: e qui torna centrale il rapporto tra canone e costellazione, tra canone e best-sellers, tra permanenza e evoluzione dell’opera letteraria. Non sfuggirà, a molti relatori, la complessa questione dell’“autorità” del testo e della sua relazione con l’esistenza di quella comunità di lettori utile a definire la forza di un autore canonico. Se questa comunità sia, oggi, una pura congettura sarà argomento di discussione.
Infine attraverso gli esiti del convegno sarà possibile scrivere una mappa degli ultimi trent’anni, nella quale appariranno nomi nuovi e nella quale perderanno centralità nomi che sembravano sicuri. Di sicuro, vista la qualità e l’eterogeneità degli invitati, il Novecento sembrerà un secolo ancora tutto in movimento, ancora oscillante, e questa data palermitana sarà una tappa importante del processo, lentissimo, di assestamento del canone.
Alba Donati
Il programma
IL CANONE OSCILLANTE
La letteratura italiana negli ultimi trent’anni
Convegno 24-26 novembre
Fondazione Banco di Sicilia, VILLA ZITO, Viale della Libertà 52
Mercoledì 24, ore 16
Saluto del Sindaco di Palermo, Diego Cammarata
Introduzione del Presidente della Giuria del Premio Mondello, Gianni Puglisi
Presentazione, Alba Donati
Relazioni:
Cesare Segre, Le prospettive del canone
Giulio Ferroni, Decanonizzazioni
Giorgio Ficara, Il canone salvato dai ragazzini?
Presiede Gianni Puglisi
Giovedì 25, ore 10
Alfonso Berardinelli, Postmodernità canonica
Remo Ceserani, Le antologie come strumenti di canonizzazione
Filippo La Porta, La dispersione dei canoni. Fine dell’autorità e rilancio dell’argomentazione
Marino Biondi Il canone feudale. A ognuno il suo.
Presiede Franco Cordelli
Giovedì 25, ore 16
Walter Siti, Il canone per chi?
Salvatore Silvano Nigro, Il caso Camilleri
Giuseppe Conte, Il deserto e il giardino, il nulla e l’anima
Niva Lorenzini, “Piccoli indizi” e “vaste ombre”: corsi, ricorsi, trascorsi critici
Presiede Walter Pedullà
Venerdì 26, ore 10
Romano Luperini, Postmoderni e neomoderni. Intrecci, generazioni a confronto, fasi storiche
Andrea Cortellessa, Un canone ‘per’ la contemporaneità
Michele Rak, La società letteraria e la rete Internet
Intervento di Les Murray
Presiede Franco Marenco
Venerdì 26, ore 16,30
Giuseppe Leonelli, Tre poeti: Penna, Bertolucci, Caproni
Renato Nisticò, Dal Canone alla Biblioteca: per una critica antropologicamente sostenibile
Intervento di George Steiner
Presiede Silvio Ramat
Conclusioni dell’Assessore alla Cultura del Comune di Palermo, Gianni Puglisi.
Il convegno è a cura di Alba Donati
Premio Mondello
oh biondì, come se quel che tu ti fumi, sia tagliato bene!! solo tu in questa riserva puoi sparare cazzate! càlmate e fai silenzio na vorta ogni tanto, nvece di lasciare le solite cacatine di piccione!!
Graziano, sì che in queste poesie “Le immagini rampollano, dunque, una sull’altra, per geminazione spontanea, attrazione visiva o fonica, in un crescendo vertiginoso…” però Moresco è un’altra cosa, con Moresco spegni la luce e comincia il film, sei proprio in un altro mondo, mica immagini che rampollano: nei Canti del caos c’è sistema e Moresco non è matto. Poi nel suo film ci entri facilmente e ci rimani, niente parole strane al massimo un “cascomaschera”, le parole ti scordi che sono parole (non sono similitudini, Moresco non ha bisogno di dire “come”), mentre in Zizzi le parole sono dei cartelli stradali per indicare un’immagine, sempre slegata da quella precedente, come se il proiettore saltasse.
ho un figlio ribelle. Sarà per la roba che fumo, che non gliela offro mai.
Caro Andrea, non ho detto che Zizzi è Moresco. Ho detto che la densità materica (“i velli cerchiati di sangue”, “trappole di vulve”, “anatomie o atlanti assoluti / con tunnel vaginici, con canali bronchiali”) fa pensare a Moresco. Zizzi, in un certo senso, si ‘serve’ di Moresco, cioè fa ‘cortocircuitare’ la materia degradata moreschiana con picchi orfici e metafisici, che gli sono propri. Insomma, quel cocktail di concreto e astratto, di basso e alto, che trovi in Rebora o, perché no?, nel Ferrari de “La franca sostanza del degrado”. Cocktail che era già nella linea poetica zizziana, fin dai tempi della Casa cantoniera, ma in cui il versante del concreto attingeva allora a una materia ancora nobile, non bassa, vile.
Zizzi, in ogni caso, è un enciclocefalo (o riddocerebro o bolgiadimenti)
Sì, Andrea (Inglese), condivido. E’ una bellissima mente, Michelangelo.
Per Andrea Barbieri: che nel poema di Michelangelo non ci sia “sistema” penso non si possa dire davanti a dei ‘frammenti’ (che di questo, qui, si tratta) e, se ho capito l’idea poematica di volute, ritorni, richiami, ramificazioni ecc. che ha Michelangelo, penso proprio che, a opera compiuta, ‘sistema’ ci sarà…
Papà Biondì, quella roba tientela tu, non ne ho bisogno! Già da piccolo, a traviarmi!! E poi ti lamenti dei pariniani, uffa!! :-1)
Eh, Michelangelo, ci siam conosciuti di sbieco nei corridoi d’università, qualche settimana fa, ricordi?, e il giorno dopo mi hai anche beccato nella sala multimediale, che sbirciavo proprio Nazione Indiana. Coincidenze della vita…
oh, che bella discussione! complimenti a tutti, questa si che è vita! per un supertrombone come me siete fantastici! continuate così, passerete alla storia!
Mich sei molto, molto arrapante.
Davanti a un pezzo di poesia così, cosa si deve dire?
A me sembra uno dei momenti poetici più alti che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni.
Mi dite dove posso trovare la caduta dell’occidente per intero? Da chi è pubblicata?
aiutooooooooooooooooooooooooo!!!
flusso anarchico. sgovernato. sgovernante. Come di Rivelazione prossima. Di Segreto millenario che si apre. sottrazione tirannica alla banalità, all’ovvio, che promette ipotesi alte altre di poesia. superbo Zizzi
Sono versi che frangono le partenze, immettono nella simultaneità dei mondi. Forti, passionali, veri. Oltre il doverselo dire.
ma no, ditevelo. scopiamo, orsu!