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Le telecamere seguono il denaro

intervista a Gary Shteyngart su “Absurdistan” di Alessandro Beretta

Un romanzo rocambolesco e satirico, dal ritmo serrato, ma che ti costringe a pensare sul contemporaneo: è così che “Absurdistan” (Guanda) di Gary Shteyngart fa correre il lettore. La storia narra le vicende di Misha Vainberg, enorme ebreo – «in sovrappeso imbarazzante» – figlio del 1238° uomo più ricco di Russia, improvvisamente rimasto senza visto nella regione dell’Absurdistan. Un paese immaginario ai confini – molto sottili – della nostra realtà: un paese povero, invaso da multinazionali in caccia di petrolio come la Halliburton – protagonista anche in Iraq – e diviso tra due etnie, gli Svanï e i Sevo, pronte a scannarsi per un’antica querelle teologica riguardo all’inclinazione del poggiapiedi del crocefisso di Cristo. Questa premessa spero serva da orientamento a quanto segue, ovvero un’intervista a Gary Shteyngart, 35enne ebreo russo, newyorkese d’adozione, realizzata per il Corriere della Sera-Milano e apparsa Domenica 14 Ottobre, per motivi redazionali, in una versione molto breve. Shteyngart è stato generoso di risposte, e quello che segue, avendo realizzato l’intervista per mail, è il suo «writer’s cut».

È stato difficile inventare un paese come l’Absurdistan e la sua storia?
Purtroppo no, perché esistono già molti Absurdistan lungo il Mar Caspio e in tante altre parti del mondo. Questo libro è tanto un atto di giornalismo quanto di immaginazione e molte scene – come le amorevoli prostitute della Halliburton, per esempio – sono basate sulla realtà. È interessante il fatto che molte persone sentono che anche l’America sta diventando un Absurdistan. Quando Dick Cheney ha visitato quella cleptocrazia che è il Kazakistan e ha lodato il dittatore Nazarbayev per il sistema economico e politico del paese ho sentito che il mio libro, in un certo senso, aveva fatto centro.
 
Il popolo dell’Absurdistan prova a raggiungere media e denaro facendo scoppiare una guerra civile, ma la guerra civile viene messa in ombra dal G8 di Genova. Siamo prima dell’11 settembre ed è uno dei pochi eventi reali che usi nel romanzo. Come mai l’hai scelto?
Ho vissuto vicino a Firenze e a Roma per circa un anno nel 2003-2004 e anche allora mi ricordo che la gente parlava in continuazione di Genova. In verità ho scritto quella scena – e gran parte del libro – mentre ero in Italia, forse la cosa mi stava influenzando. Certo scrivere un libro chiamato “Absurdistan” vedendo ore di Berlusconi che faceva il bullo in televisione è stato un regalo del cielo. Volevo far notare che a nessuno importa niente delle cose dell’ex-Unione Sovietica e di altri posti dove le persone muoiono come mosche. Ci sono centinaia di 11 settembre o peggio in diverse parti del globo, ma gli eventi in America – e in questo caso dell’Ovest europeo – rubano sempre i riflettori. Ci sarà più di una manciata di persone che sa o si interessa, per esempio, delle tragedie che accadono nella Georgia sovietica o del conflitto Azero-Armeno dopo il collasso dell’Unione Sovietica? Le telecamere seguono il denaro.

Il tuo eroe, Misha Vainberg, è una specie di nuovo Oblomov, pigrissimo e viziato, perché hai scelto un eroe fannullone per catturare l’atmosfera del nostro tempo?
Per me Misha è un simbolo del nostra nuova élite globale, i figli e le figlie dei milionari e dei miliardari che possono parcheggiare i loro pigri fondoschiena a Londra o a New York e starsene lì a far niente del mondo intorno a loro. Il peso di Misha può simboleggiare gli appetiti famelici sia dell’America che della Russia nel nuovo secolo. Misha è, se non altro, un consumatore – di cibo, di donne, di stupide idee politiche. Chi altro può trarre un poema in prosa dallo «Zagat’s Survey», la versione newyokese del Gambero Rosso? (come fa il protagonista dopo un’esilarante notte d’amore – ndr.)

Riguardo alla tua swiftiana «Modesta Proposta» – un capitolo in cui Misha Vainberg propone il progetto per una specie di terribile parco giochi dove insegnare l’orrore del genocidio favorendo l’accoppiamento tra ebrei – è una critica alla tradizione dell’immagine dell’Olocausto?
Penso sia una critica al modo in cui l’Olocausto è stato usato per accelerare alcune agende. Quando Misha pensa a un modo trendy per vendere le sventure del popolo Sevo si rivolge per primo alla sua tragica eredità – e questo significa usare l’Olocausto nel peggiore e nel più trendy dei modi possibili.

Hai scritto parte del romanzo in Italia, alla Fondazione Santa Maddalena, vicino a Donnini, in Toscana, com’è stato lavorarci e quando ci sei stato?
Ci sono stato nell’Ottobre del 2003, prima di andare a Roma. Alcune delle parti migliori del libro, così come sono, sono state scritte mentre ero lì. È un posto di un’incredibile bellezza e la padrona di casa, Beatrice Monti della Corte von Rezzori, è deliziosa, una vera amica degli scrittori e un sostegno al loro difficile obiettivo. Gli aspetti facili e sensuali della vita romana, invece, mi ricordavano Misha e mentre ci vivevo ho incontrato molti piacevoli “Misha junior”.

Due amori – quello per Rouenna, ragazza del Bronx, e per Nana, figlia del leader dell’Absurdistan – , una guerra civile, un grande ritmo e alcune scene che sembrano sbucare dai musical. Qual è il tuo immaginario letterario e cinematografico?
Le mie influenze letterarie sono sia russe – Turgenev e Checkov, per esempio – che legate alle opere umoristiche e melodiche degli ebrei nord-americani, nello specifico Mordecai Richler, Philip Roth e Saul Bellow. Per quanto riguarda il cinema non ho un background così ricco. Ho visto almeno dieci volte “Blade Runner” e sono sempre ipnotizzato dai film di Andrei Tarkovsky, tuttavia dopo avermi ipnotizzato i suoi film tendono a farmi addormentare nella maniera più dolce. Un film di Tarkovsky e una buona grappa, per quanto mi riguarda, batteranno sempre il valium.
 
Il tuo romanzo è ambientato nel 2001, ma che ne pensi dell’America di oggi? In “Absurdistan” il classico sogno americano è tinto d’ironia, è anche la tua impressione?
Ho iniziato a scrivere il libro prima dell’11 settembre e l’ho finito prima che la debacle in Iraq diventasse abbastanza chiara, così, in un certo senso – soprattutto nel modo in cui il libro racconta le politiche della Halliburton e la sete per il petrolio – alcuni eventi reali sono tristemente diventati uno specchio dei miei temi. Attualmente sto lavorando a un romanzo sul collasso dell’America in un futuro vicino, ma spero che almeno quello non si realizzi. È un tema difficile, e per aiutarmi a riflettere sto scrivendo il libro a Berlino, una città che ha già visto in passato una parte del collasso.

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2 Commenti

  1. Il Kazakistan è senz’altro una “cleptocrazia” ma quando verrà giù Nazarbayev, che oltre ad essere un dittatore è anche un fiorfior di mediatore, è probabile che scoppi un’altra guerra. Shteyngart fa benissimo a ricordarci la partita del Caucaso, visto che la Russia sta lì, viva e vegeta, dal Kosovo al Mar Nero.

    Oltre alla sempre presente Halliburton – una sicurezza per ogni fantaromanzo che voglia ispirarsi a “24” – per stare all’attualità citerei anche Gazprom, e la nostra beneamata Eni, che in Kazakistan stanno facendo letteralmente furore.

    Nell’Absurdistan ci sono per caso anche inaudite querelle sulla inclinazione tenuta a letto dalla terza moglie di Maometto?

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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