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Resurrectio palermitana – Racconto breve di una video installazione

di Vito Chiaramonte

È il tramonto che è passato da un pezzo per essere buio. Arriviamo al parcheggio del deposito delle locomotive di Sant’Erasmo e biglietto alla mano, saputo che l’Enzo Venezia di cui si parla nel pieghevole elegante che ci viene fornito è il palermitano Enzo Venezia, l’architetto autore di memorabili allestimenti espositivi sulla pittura siciliana del Cinquecento, entriamo nel grande spazio schermato dalla luce che è il deposito: una specie di Museo della Storia Naturale di Parigi, in dimensioni minori, invaso da suoni bassi, all’inizio, e subito dopo da un gocciolio insistente. Non siamo ancora dentro, ma siamo già nel nero di un cortinaggio che si apre in una sala enorme in cui, prima impressione, galleggiano grandi immagini fiancheggiati da cubi e parallelepipedi neri come tutto il resto, seconda impressione, ma che recano scritte come incise, bianche, ma non luminose, niente è luminoso, terza impressione. Inizio a camminarci. Le immagini le proiettano dall’alto su delle lapidi perfette, grandi scatole grigie senza aperture, schermi delle deflagrazioni proiettate. Deflagra un muro di conci nudo e glabro, deflagra il Trionfo della Morte, l’affresco che si conserva a Palazzo Abatellis. Deflagra una cassata carica di tutto lo zucchero del mondo. Deflagra l’aquila simbolo di questa città, lu mezzu agneddu di la vucciria, deflagrano rossi e gialli e blu di una scena di pupi da carretto, deflagra la body art dei morti secchi dei cappuccini, deflagra il Genio di Palermo, nella versione della fontana di Villa Giulia. E brucia fra le fiamme l’Annunziata palermitana di Antonello da Messina, lentamente.
Tutto si consuma, allora, di Palermo. Fuor di metafora, tutto è perduto. Non lo ascolti ma lo senti lo stesso il pianto delle madri annunciate non della vita che arriva ma dalle pubbliche autorità dell’ineluttabile che ha avuto luogo in un vicolo, di fronte a un bar, in un parcheggio, sul basolato di ballarò. E allora non si parla di una generazione, ma del dolore e del pianto tutti interi. E allora non si parla di Palermo, ma della condizione di metafora di Palermo. Appaiono allora delle date, una data diversa in ciascuna delle proiezioni… 09 05 1990. Cos’è? È la sensazione di averla in mente che non ti lascia tranquillo. Arrivi a casa e cerchi su internet… Giovanni Bonsignore, funzionario della Regione ucciso per la sua autonomia dai poteri.
Ma l’immagine si ricostruisce senza che tu possa nemmeno dire in quale punto. E tutto ricomincia. È il mito dell’eterno ritorno, del ciclico rifarsi della vita, della resurrezione come speranza personale e come prospettiva sociale. Leggi l’Apocalisse di Giovanni, in una di queste epigrafi che ti ritrovi lungo il percorso, e capisci che è un’idea antica, e sacra; e mentre nel punto opposto del deposito tutto ricomincia farsi frammento vedi, nei tuoi compagni di viaggio che hanno già percorso una scala, che c’è un altro punto di vista, e che questo è la consapevolezza.

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5 Commenti

  1. Caro Vito,
    ho vissuto a Palermo dalla nascita fino all’età di venticinque anni e le tue parole mi ricordano in poche immagini le infinite e identiche viste, quelle di quando di ben poco, eppure di tanto, mi rendevo veramente conto. Così sia, mi son detta andando via da lì e lasciando, per quel che stava a me, il destino di quella signora di decadenza nelle mani di chi è rimasto. Grazie al tuo racconto, oltre a rivedere alcuni dei luoghi a me più cari dei quella città, so che laggiù l’arte è ancora viva e mostra ciò che deve una sentinella della coscienza.
    Tina

  2. Palermo, città degli eterni contrasti, tra arte e degrado, tra entusiasmo e miseria, tra vita e morte. Palermo come Napoli. Sì, forse è l’eterno ciclo, continuiamo a crederlo ogni giorno della nostra vita in queste maledette città, e forse, da questa ostinazione, nascerà qualcosa… Davvero un bel pezzo.

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