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Urbanità 7

di Gianni Biondillo

[risposta inedita ad una lettera, recapitatami da una rivista, che mi chiedeva un’opinione sulla querelle di Brera. G.B.]

Gentilissima lettrice,
la verità è che Milano ha sempre avuto un rapporto, come dire, “infastidito” con la sua eredità storico-artistica. A conti fatti le emergenze monumentali di questa città non sono, facendo una gretta conta, inferiori a quelle di Firenze, però i milanesi pare se ne disinteressino. Non a caso m’è capitato spesso di dover spiegare ai turisti stranieri che il Cenacolo di Leonardo sta proprio qui, in questa città, mica a Firenze come molti di loro credono. Nessuna città può fare a meno della sua memoria, ovvio, ma Milano ha sempre buttato lo sguardo oltre, verso il futuro. È la sua più antica tradizione quella di cambiare continuamente pelle, per poi, magari, rimpiangere con lacrime di coccodrillo, quello che ha perduto. È quell’atteggiamento ben descritto da Manzoni nei Promessi Sposi: “adelante con juicio”. Correre, ma lentamente. Delle due polarità, però, è quella della lentezza che ha preso il sopravvento in questi ultimi decenni. Una lentezza che appare sempre più puro immobilismo, ammettiamolo. Oggi a dir la verità sembra che il vento stia cambiando, e noi stiamo qui, vigili, a capire se è solo un’impressione o è qualcosa di più concreto.

Dell’allargamento del Museo di Brera, tanto per capirci, io ne sento parlare fin da quando ero ragazzo. Mi ricordo pure che nei rampanti anni Ottanta del secolo scorso si arrivò pure a definire un progetto – Brera 2 – affidato a un famoso architetto inglese, James Stirling, che finì in un nulla di fatto. Un quarto di secolo dopo ancora se ne parla come qualcosa di imminente. Si sono succeduti governi nazionali di tutti i colori politici, tutti con la soluzione in tasca: chi più “gigantista”, chi più “terra terra”, poi, come al solito, non se ne è fatto nulla, lasciando Brera in una surreale decadenza (dal punto di vista del numero dei visitatori è il 40esimo museo nazionale. Un insulto, in pratica).

Diciamoci la verità: mette tristezza sapere che un patrimonio di tale levatura – per quello che possiede Brera è senza dubbio fra i primi musei al mondo – sia così sottoutilizzato. E non è certo chiedendo agli stilisti milanesi, come è stato proposto tempo fa, di rifare l’uniforme degli uscieri che risolveremmo i cronici problemi della pinacoteca: gli allestimenti museografici ormai obsoleti, i magazzini che traboccano di capolavori mai esposti, la totale assenza di multimedialità o, più semplicemente, il personale impiegato inadatto a ricevere turisti da tutto il mondo. Tutto ciò nella Milano che cerca di fare il grande salto con l’Expo 2015. Sembra l’ennesima occasione sprecata, in un paese che si vanta di possedere il più cospicuo patrimonio artistico del mondo.

L’ultima proposta, è cosa di questi giorni, cerca una mediazione: non si progetterà più una Accademia di Belle Arti ex novo in Bovisa – idea, tra l’altro, sensata, dato il nuovo polo universitario ormai ben saldo nel territorio e la presenza della sede distaccata della Triennale – ma, in ogni caso, si sposterà l’Accademia in una ex caserma ristrutturata ad hoc, liberando così il palazzo storico di Brera di un intero piano, raddoppiando di conseguenza lo spazio espositivo del museo. Bene. Trovo sia una soluzione decorosa. Non straordinaria, ma decorosa. Avremmo potuto avere un museo all’avanguardia nel mondo, forse avremo un museo, quanto meno, visitabile. Occorrerà vedere il progetto architettonico, ovviamente, per quanto io resti dell’idea che insistere a esporre in palazzi storici opere di tale levatura sia museograficamente errato. Però mi rendo conto quanto il legame simbolico col palazzo seicentesco e la collocazione centrale siano elementi da non sottovalutare.

Il vero problema è capire se, anche in questo caso, siamo nel mondo delle intenzioni o meno. Il Ministro della difesa ha promesso – a detta sua proprio per fare un favore, graziosamente, al Sindaco di Milano – che libererà al più presto la caserma di via Mascheroni. Vediamo cosa accadrà. Nel 2009 la pinacoteca festeggia il bicentenario, forse è la volta buona. Forse. Ma che si smetta di perdere tempo. Sempre per dirla con Manzoni:
– Giacché la cosa si deve fare, si farà presto.
– Presto, presto, padre molto reverendo: meglio oggi che domani.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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