Carlo Coccioli / Presenza dello scrittore assente

[In occasione dell’uscita di Davide si riprende il pezzo pubblicato in vibrisse]

a cura di Giulio Mozzi

Parla una composita pattuglia di lettori di Carlo Coccioli: Franco Buffoni, Antonella Cilento, Giancarlo De Cataldo, Mario Fortunato, Bruno Gambarotta, Massimiliano Governi, Giuseppe Lupo, Marino Magliani, Sergio Pent, Alcide Pierantozzi, Giacomo Sartori, Giorgio Vasta.

“Quello con Carlo Coccioli è stato un esemplare incontro mancato. Non siamo mai riusciti a stringerci la mano, eppure non potrei dire di non averlo conosciuto”. Comincia con queste parole il capitolo che dedica a Coccioli, nel suo bel libro Quelli che ami non muoiono mai, Mario Fortunato (Bompiani 2008). Mi ha colpito sentirmi ripetere più volte queste o simili parole – quasi un ritornello – quando ho provato a domandare a un po’ di scrittrici e scrittori d’Italia chi sia per loro Carlo Coccioli. E, in effetti, non l’ho mai conosciuto, ma è come se l’avessi conosciuto, lo dico anch’io.

Per molti più o meno della mia generazione, la via verso Carlo Coccioli è stata Pier Vittorio Tondelli. Che recensì con entusiasmo, nel 1987, Piccolo Karma; e inserì poi la recensione, ampliandola, in quel formidabile racconto degli anni Ottanta che è il volume Un week-end postmoderno (Bompiani 1987). “In nessun autore italiano contemporaneo”, scriveva Tondelli, “è presente una così grande tensione interiore, un’irrequietezza spirituale che poi si traduce in un nomadismo culturale e metafisico assolutamente originale, per non dire eccentrico”. Tuttavia “quello che si ama nell’opera di Carlo Coccioli non è solo, a ben guardare, l’incessante tormento teologico che lo ha spinto ora verso il cristianesimo ultraortodosso, poi verso l’ebraismo, quindi, fra gli Stati Uniti e il Messico, verso gli Hare Krishna della Casa di Tacubaya (1982), i riti indigeni, lo spiritismo, la psichedelia e gli Alcolisti Anonimi di Uomini in fuga (1973) e, finalmente, verso le filosofie e le religioni orientali, l’induismo e il buddhismo Zen […] ma anche lo stile di vita appartato, l’amore per gli umili e i reietti, l’assoluta fedeltà alle ragioni della propria ispirazione e della propria scrittura che altro non sono, poi, che la ricerca ossessiva di una risposta, mai definitiva, alle ragioni del Bene e, più ancora, del Male. E poi, finalmente, la sensualità di molte sue pagine, l’erotismo, la predilezione omosessuale”.

In quell’articolo di Tondelli c’era anche lo zampino di Mario Fortunato. “Faceva un gran caldo a Milano, nell’estate del 1987”, racconta. “Pier Vittorio Tondelli e io eravamo stati a una festa. A ora tarda […] Pier mi trascinò in uno dei bar che lui preferiva. Cominciammo a parlare fitto. […] Scoprimmo di avere appena letto entrambi un libro strano, misterioso, misteriosamente bello: Piccolo Karma, di Carlo Coccioli. […] Chiesi a Pier di scriverne per L’espresso e lui lo fece subito, […] con la grazia misurata che aveva in dono”.

Quell’articolo, anche grazie al fascino che emanava, ed emana tuttora, la figura di Tondelli, fu importante per molti di noi, della nostra generazione (io sono nato nel 1960). Marino Magliani, scrittore ligure mio coetaneo che da più di quindici anni vive in Olanda a IJmuiden, sulla costa del Mare del Nord, racconta: “Ho capito meglio chi ero leggendo un saggio di Pier Vittorio Tondelli su Carlo Coccioli, dove Tondelli definiva Coccioli un autore assente. Ecco, chi sei anche tu, mi son detto. Certo lo sapevo da sempre, ma non avevo mai trovato la parola secca. Cosí cominciai a informarmi su questo scrittore che era andato via dall’Italia molto prima di me, anzi prima che io nascessi, aveva vissuto a lungo a Parigi e poi in Messico, scriveva brillantemente in francese e spagnolo, e ogni volta che appariva qualcosa in rete – poiché altre cose era difficile trovarle – qualche racconto o qualcuno che ne parlava, mi ci fermavo, come ci si volta quando ci chiamano per nome o con un nome che ormai ci appartiene. Autore assente. Presto vidi che non ero il solo, anzi mi fu chiaro che stavo interessandomi a Coccioli esattamente perché altri l’avevano cercato prima di me e lo stavano cercando mentre lo cercavo io. Per ultimo, mi accorsi che tutti quanti stavamo cercando l’autore che forse più di ogni altro e ovunque aveva cercato Dio”.

Dal Nord al Sud. Anche Antonella Cilento, scrittrice napoletana, è arrivata a Coccioli via Tondelli: “Scrivendo la tesi di laurea su di lui e leggendo gli articoli che lo riguardavano o che aveva scritto sugli autori che lo appassionavano trovai più volte il nome di Coccioli e mi incuriosì il fatto che in biblioteca potevo trovare a stento Fabrizio Lupo“. Ma perché a uno scrittore che può suscitare tanto amore in chi lo legge è spettato un destino di assenza, di marginalità, addirittura di scomparsa dalle biblioteche? “Coccioli”, dice ancora Cilento, “dichiarò spesso di aver lasciato l’Italia perché esisteva un establishment culturale moraviano che impediva la rappresentazione di altre scritture. Leggendone le poche pagine che ho potuto rintracciare ho riconosciuto almeno uno dei temi, la creaturalità, l’infinito e ossessivo amore per gli animali e i piccoli della terra che lo avvicinano ad altri autori, per lo più donne, che in Italia hanno vissuto negli stessi anni di Coccioli una reductio di lettura critica e di pubblica”.

Massimiliano Governi, autore di pochi e non allineati libri (ricordiamo L’uomo che brucia, 2000; Parassiti, 2005, entrambi per Einaudi) è il più secco e diretto: “Coccioli per me è il più grande scrittore italiano del Novecento”, dichiarò ancora anni fa. Alla domanda: perché?, oggi risponde: “Perché mi ha insegnato a dire la verità, tutta la verità”.

E anch’io, a proposito del dire la verità, in un articolo del giugno 2004 scrivevo: “La ragione del fascino di Carlo Coccioli, nonché la buonissima ragione per cercare i suoi libri e leggerli, è tutta qui. Coccioli parla di Dio con la massima impudicizia. Lo desidera, lo vuole. Mettendo in ordine i libri sul mio scaffale potrei ricostruire “le fasi della ricerca spirituale” di Carlo Coccioli: prima cattolicissimo (ma curioso delle culture orientali e mediorientali), poi in conflitto con il cattolicesimo (perché la Chiesa respingeva lui, innamorato di Dio e omosessuale), poi, dopo la fuga in Messico, […] affascinato dal sincretismo messicano; poi fulminato da Sai Baba; poi folgorato a Disneyland (giuro: in Piccolo Karma, libro che andrebbe letto anche solo per questo, Coccioli vede Dio a Disneyland); poi quietato finalmente, credo, nell’immagine tenerissima e assurda del Dio-caramella: un Dio da tenere in bocca, da succhiare sempre, dolce, regressivo. Questa impudicizia è costata a Carlo Coccioli l’ostracismo”.

È Giorgio Vasta, che lavora da anni nell’editoria e che ha appena esordito con il molto lodato romanzo Il tempo materiale (minimum fax 2008), a legare i temi dell’impudicizia e del nomadismo. “Prima di cominciare a leggere i libri di Carlo Coccioli”, racconta Vasta, “non conoscevo l’esistenza di una tonalità espressiva, e siccome quello che di un libro mi interessa di più è la tonalità generata dall’amalgama di lessico sintassi e figure della narrazione, avere conosciuto una tonalità che ignoravo è stato ed è ancora importante. Liberatorio. La tonalità che ho trovato dentro i libri di Coccioli che ho letto ha a che fare con il pudore, o meglio con il crinale tra pudore e spudoratezza. È un pudore del linguaggio e una spudoratezza delle immagini messe in scena, una frizione continua tra il desiderare di dire e il non poterlo fare del tutto. Questo contrasto, assunto e sviluppato, credo abbia dato luogo in Coccioli a una specie di santa oscenità dello stile. Leggo le pagine di Coccioli e ho a che fare con un italiano impressionante, una lingua all’interno della quale esistono ancora, e con vigore, espressioni perdute che in Coccioli non risultano mai museificate ma sempre vive presenti e intense e classiche e stranianti. È come se la sua lunga permanenza all’estero avesse funzionato da agente di contrasto, come se vivere per anni immerso in un paese nel quale si parla spagnolo avesse generato un’esaltazione dell’italiano più bello. Un italiano “santo”. Usato per costruire narrazioni serenamente oscene”.

Eppure, anche quando i suoi libri venivano pubblicati in mezzo mondo (e in quattordici lingue in tutto), Carlo Coccioli era una sorta di intoccabile. “Negli anni Settanta”, conferma Mario Fortunato, “quando lo scoprii per quell’istinto primario che illumina tante letture adolescenziali, era quasi una vergogna possedere i suoi libri. Coccioli era omosessuale, molto religioso e per giunta conservatore. I suoi romanzi li pubblicava Rusconi, un editore non proprio à la page. Lessi Fabrizio Lupo, un romanzone alluvionale, sovrattono, gremito di aneliti mistici che non mi appartenevano né punto né poco. Eppure quanta sincerità nella sua scrittura. Un’onestà intellettuale che rasentava l’autolesionismo. E poi: che meraviglia quella storia di un amore gay così melodrammatico. Per anni, divorai i libri di Coccioli quasi di nascosto. Di lui non sentivo parlare mai. Mai sui giornali. Mai da nessuna parte. Un fantasma”.

La parola “fantasma” torna anche sulla bocca di Bruno Gambarotta: “Io sono nato nel 1937. Da ragazzo, nel primo dopoguerra, leggevo dalla prima all’ultima pagina La Fiera Letteraria e Il Mondo. In quelle pagine compariva di tanto in tanto il fantasma di uno scrittore italiano che viveva in Messico ed era pubblicato in Italia da Longanesi”. Un altro editore non certo progressista. “Non c’erano mai sue foto. Era un irregolare, non classificabile sotto una delle etichette che predispongono i critici. Era uno come Antonio Delfini o Sergio Ferrero. Pare che scrivesse in un modo diverso dagli altri, che le sue storie non avessero niente in comune con quelle che circolavano in Italia”.

Ma oggi, finalmente, con la ripubblicazione di Davide, Carlo Coccioli comincia a tornare in libreria. Ovviamente ci auguriamo che sia possibile restituire al pubblico italiano non solo questo romanzo, ma almeno la parte più solida e sicura dell’opera di Coccioli. Ed è bello vedere che questo ritorno in libreria – dopo anni di ostracismo, di assenza, di vita fantasmatica – è salutato con favore da scrittori e scrittrici di tutte le specie e di tutte le età.

Antonella Cilento: “È giunto il momento che l’Italia lo recuperi”. Bruno Gambarotta: “Ho sempre desiderato conoscere la sua opera e finalmente si presenta l’occasione di colmare il vuoto. Farò il possibile per far circolare la notizia che il fiume carsico Coccioli ritorna finalmente in superficie”. Alcide Pierantozzi: “Quella dell’uscita di Davide è una notizia splendida”. Giuseppe Lupo, che ha annotato i carteggi raccolti in La storia dei “Gettoni” di Elio Vittorini (a cura di Vito Camerano, Raffaele Crovi e Giuseppe Grasso, Aragno 2007): “È un’operazione molto importante, l’idea di recuperare e rilanciare un autore come Coccioli”. Giacomo Sartori, altro scrittore che vive la maggior parte della vita fuori dall’Italia (a Parigi): “Adoro – letteralmente – Coccioli, che avevo scoperto già molti anni fa da solo”. Sergio Pent: “Concordo sull’importanza di riscoprire il Davide di Coccioli e anche le altre sue opere ormai da tempo introvabili”. Giancarlo De Cataldo si proclama lettore di Coccioli “da tempi immemorabili”. E così via, ormai la mia casella della posta è tutta un fiorire di incoraggiamenti.

Ma la gioia per il ritorno in libreria di un autore così paradossalmente amato e dimenticato, e l’apprezzamento per la sua opera, non possono trasformarsi in acritica lode. Trovo molto interessante quanto mi ha scritto il poeta romano Franco Buffoni: “Saluto con gioia l’uscita di Davide nelle edizioni Sironi. Anche per ragioni anagrafiche sono un coccioliano d’antan. Naturalmente ritengo superata la posizione di Coccioli nei confronti del mondo abramitico (salvezza, eternità, afflato), ma ammiro sempre il suo coraggio per avere affrontato – in anni difficilissimi – la tematica omosessuale. Per questo ti invito a ripubblicare anche, per esempio, Fabrizio Lupo. Erano quelli gli anni duri democristiani, in cui Coccioli lavorava e pubblicava in Francia, in Messico. Mentre il Coccioli di Davide nel 1978 già venne accolto in un clima diverso, come testimoniano l’attenzione critica e i premi ricevuti. Ricordo però il commento del rettore di un noto liceo cattolico milanese: “Peccato, è il libro che darei in mano a tutti i nostri allievi. Non fosse per quella esplicita carica erotica omosessuale”. Ecco – seguendo l’esempio coraggioso di Coccioli – noi oggi lottiamo anche perché un liceale possa innamorarsi del compagno di banco senza doversene vergognare. Ma paradossalmente l’ostacolo che incontriamo è proprio in quell”ordine del Creato’ tanto caro anche allo stesso Coccioli. Sono ormai convinto che una vera e profonda accettazione dell’omosessualità nelle nostre società non possa che conseguire all’affrancamento dal retaggio abramitico. Quel retaggio in virtù del quale si ritiene che un “creatore” abbia voluto generi e specie così come sono, immutabilmente. Da tale retaggio viene l’ottuso trincerarsi di molti dietro a un feticcio chiamato “diritto naturale”. Da qui i feroci attacchi da parte dei vari fondamentalismi abramitici – in primis quello vaticano – contro il movimento omosessuale. Dunque in Davide assistiamo a mio avviso a uno scontro paradossale: Coccioli vs Coccioli”.

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10 Commenti

  1. ho scoperto tante cose con Tondelli e con Mario Fortunato, anche.
    Scoprirò anche Coccioli, forse.
    Questo è un bell’articolo, molto pieno-zeppo di storie.

    Io di Pier Vittorio Tondelli e Mario Fortunato, mi fido sulla parola.

  2. i libri di carlo coccioli sono pressochè introvabili, non sarebbe una cattiva idea metterli in rete.
    e poi si parla di pirateria e diritti d’autore, ma se non si stampano più che fare?
    semplice, chi li ha li mette in rete, tanto, se non si stampano nessuno li può comprare e leggere, di conseguenza nè la casa editrice nè l’autore perdono soldi, ma almeno le idee circolano.
    la circolazione delle idee dovrebbe essere il fine ultimo dei libri, o sbaglio?

    matteo

  3. Ho scoperto Carlo Coccioli grazie agli articoli entusiasti dell’amico Dario Bellezza (“Paese sera”, “Tempo” settimanale, etc.) una vita fa, nel 1976. Ho letto via via :”Manuel il messicano”, “Fabrizio Lupo”, “La difficile speranza”, “L’erede di Montezuma”, Il cielo e la terra”, “Il Migliore e l’Ultimo”, “Davide”, “Requiem per un cane”, “Uno e un altro amore”, “La casa di Tacubaya”, “Piccolo karma”, “Budda e il suo glorioso mondo” (cito solo libri letti e che possiedo ancora), un decennio prima che lo “scoprisse” Carolina Tondelli, pardòn PierVittorio Invernizio. Ho avuto una lunghissima corrispondenza con Carlo (litigavamo anche, spesso, per i suoi articoli (piccole gemme) su un quotidianaccio milanese, lui stesso votò “Porca Italia”) e oggi qualcuno riscopre l’acqua calda. Meno male. Invece di perder tempo con i tondellismi frivoli, inutili e di plastica e le sue storielle da “Grandhotel”, “Bolero”, “Sogno”, “Intimità”, “Confidenze” etc. ho sempre cercato (e trovato fortunatamente!) scrittori veri, autentici, essenziali, utili, unici… Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Perfino qui, su uno scoglio abbandonato, al di fuori dalla storia… Meglio tardi che mai… Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!

  4. @Di Costanzo: ‘tondellismi frivoli, inutili e di plastica’ ? Sono nato negli anno ‘sessanta, per me come per molti della mia generazione Pier è stato un maestro, certamente non di frivolezze… quelle accuse che muovi nei suoi confronti noi le indirizzavamo agli Arbasini mondani, ai Moravia, ai Bevilacqua. Per me Pier era lo spirito libertario, e il superamento dei sensi di colpa. Era un’avventura nella vita e nel linguaggio esperiti in barba ai tromboni e ai trombati dall’ideologia

  5. Caro manuel cohen, per tondellismi frivoli, inutili e di plastica intendevo quei romanzini abortiti del tipo bigliettino Baci Perugina (“Rimini”, “Camere separate”). Come documento sociologico di un’epoca, i nostri vent’anni nel 1977, “Altri libertini” e in parte “Pao pao” potrebbero andar bene; una testimonianza del momento etc. Da gettare nel cestino la parte “saggistica”: “Un weekend postmoderno” e “L’abbandono”. E quel numero di “Panta”, il libretto da Theoria curato da Panzeri e Picone. Quante esagerazioni! Gli studi di Spadaro ed altri. Hanno catalogato e sezionato, analizzato e commentato perfino le liste della spesa e gli scontrini fiscali, senza alcun senso delle proporzioni e del ridicolo! A proposito del “superamento dei sensi di colpi”che attribuisci a Carolina Tondelli, pardòn PierVittorio Invernizio, non scherziamo affatto: non intendo infierire ma non è neanche il caso di sottolinearlo. Tondelli ci avrebbe “liberato” dai sensi di colpa: con il suo cattolicesimo, novene, preghierine e l’aver affrontato l’uscita di scena in quel modo? E con quelle rivelazioni pettegole postume di tale Dario Sfortunato con tanto di copertina sull’Espresso?…

    P.S. Ho nel mio archivio centinaia di articoli, recensioni, interviste, polemiche, articoli su e di PierVittorio Invernizio: vorrei liberarmene (per motivi di spazio) e volentieri te li spedirei. Fammi sapere…

  6. @Di Costanza Ischitella:premesso che non è questa la sede adatta per una polemica fuori luogo,visto che qui si parla di Carlo Coccioli, intanto, non capisco perché perseveri nel cattivo gusto chiamando Tondelli, Carolina. Non eri di certo suo amico, né hai idea della sobrietà, la riservatezza e l’educazione che animavano Pier. Se si è rasentato il ridicolo nell’esegesi, questo non è che sintomatico di come egli sia, da un lato, diventato ‘oggetto di culto’, e dall’altro, di quanto abbia influito almeno sulla mia generazione(ma pure sulla precedente: vatti a rileggere due critici non codini come Massimo Raffaeli e Guido Mazzoni, ad esempio; sicuramente laici, e sicuramente non in debito con lui). Sei ingiusto e offensivo poi quando non rispetti l’uomo (che lo scrittore non ti piaccia, o che tu muova delle perplessità, questo è inoppugnabile: anche per me Rimini non ‘vale molto’, mentre il giudizio su ‘Un weekend postmoderno’ e ‘Camere separate’ è diametralmente opposto a quello che dai tu). Per quanto attiene il suo ‘cattolicesimo’, come lo chiami tu, bè, Pier se lo teneva per sé, non lo esibiva di certo: e cosa avresti da dire sulla sua fine? Se ne è andato in punta di piedi, nel silenzio più totale, con molto riserbo e pudore.Ognuno se ne va come meglio crede, non sta a te giudicare i silenzi o le piazzate. Della sua malattia non era trapelato nulla, fino alla fine, perché lui così aveva richiesto. E comunque, ‘le rivelazioni pettegole postume’, non le avrà fatte lui dalla tomba, o sbaglio. D’altro canto, è proprio di un certo cattivo gusto andare a sbirciare sotto le lenzuola: mi pare che la Maraini abbia con più volgarità e indecorosamente raccontato di certe abitudini sessuali di Pasolini: nessuno gliele aveva chieste, lei avrà fatto un po’ di …calcoli…Se il tenore o livello del tuo archivio è questo, tra scandalismo e mondanità, regalalo a Maurizio Costanzo. Chiacchiere e pettegolezzi li lascio alla acque termali isolane

  7. Non ho la tv, da sempre. Immagino ti riferisca a Maurizio Costanzo (che intervistò Coccioli e mi piacerebbe vederne la registrazione su “youtube”).

    Il gioco di parole era tra affini (letterariamente parlando) Tondelli/Invernizio.

    “e cosa avresti da dire sulla sua fine?”: Nulla, proprio nulla. Ognuno si sceglie il modo per uscire di scena. Ma un “libertario”, aiuta a superare i sensi di colpa altrui, e nel momento (difficile e doloroso) del distacco “insegna” con l’esempio e non si nasconde!

    Non è Dacia ad aver rivelato “certe abitudini sessuali” di Pasolini ma il cugino Nico Naldini (cfr. “Il treno del buon appettito”).

    A proposito di inciuci (pettegolezzi) il mio archivio è composto anche dalla corrispondenza con i miei cari amici e MAESTRI: Anna Maria Ortese, Elsa Morante, Amelia Rosselli, Emilio Villa, Patrizia Vicinelli, Laura Betti, Elio Pecora, Mariella Bettarini, Carlo Coccioli, Franco Cavallo, Attilio Lolini, Dario Bellezza, Fabrizia Ramondino, Luca Clerici, Franco Capasso, Ciro Vitiello, Franz Haas, Goffredo Fofi, Giorgio Vigolo…

    Comunque torniamo a Carlo: è necessario e utile leggere i suoi testi.
    Anche se con trent’anni e oltre di ritardo, per qualcuno.
    Meglio tardi che mai!

  8. Fu la Maraini, non molti anni or sono a raccontare di certe abitudini sessuali pasoliniane. Ci hanno evidentemente ‘mangiato ‘ in molti. Non è questo il punto: resta il tuo cattivo gusto nel pensare e scrivere ciò che un uomo in punto di morte avrebbe dovuto fare o meno. Ognuno ha i suoi maestri e le sue corrispondenze: il fatto di possedere in archivio la corrispondenza con chi so io, non mi autorizza a vantarmene o a esporla come tante medaglie al valore

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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