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Olè

palladi Mirfet Piccolo

Marinella è casa da sola ed è tutto tranquillo, come piace a lei.
La partita sta per iniziare e deve sbrigarsi con il pranzo. Sbuccia e taglia velocemente, non vuole perdere neppure una battuta. Una banana, una pera, una mela, e Marinella è contenta. Non le pare vero. Si vede che al mercato la davano in offerta, tutta quella frutta, e non fa niente se è ammaccata e se le banane sono nere e molli. Così la frutta è più dolce, si sente di più. Marinella raccoglie la ciotola su una mano, mentre con l’altra trascina la sedia sul balcone della cucina. La buccia rimane abbandonata sul tavolo; la butto giù dopo, pensa Marinella, prima che mamma torni. Perchè anche a 10 anni si hanno delle responsabilità, la mamma lo dice sempre, anche se Marinella ha paura degli scarafaggi che sbucano dal pozzo di scarico e che di notte vanno in giro per casa. Prima di sedersi da un’occhiata veloce allo scarico della pattumiera, che sia ben chiuso con il pezzo di legno incastrato sotto la leva di apertura e che non ci siano scarafaggi in uscita. Chissà com’è che arrivano fino a qui, si chiede, chissà perché.
Dal nono piano, i palazzi marroni e scrostati di Gratosoglio quasi scompaiono di fronte alla linea pura dell’orizzonte, così bella che certe sere a guardarla Marinella si emoziona e le vengono le lacrime agli occhi. E certe mattine, quando non c’è troppa nebbia, a Marinella sembra persino di vedere la Madonnina che luccica con tutto quel suo oro addosso. Bella da togliere il fiato.
Il balcone è piccolo e sottile; metà della ringhiera è tutta ruggine mente nell’altra metà la ruggine si fa strada sfondando uno strato di vernice bianca. Sua mamma aveva iniziato a ridipingere la ringhiera l’estate scorsa; noi viviamo bene anche senza di loro, aveva detto. Ma poi a metà si era fermata. Sono stanca Marinè, aveva detto, troppo stanca. E i suoi occhi erano diventati tristi e lucidi come la vernice, e Marinella aveva sentito un dolore rosicchiarle il cuore, salire in gola come un ago, ed era amaro. Non fa niente, pensa Marinella. Quella è una vera tribuna d’onore: da lì Marinella riesce a vedere tutto il campo di pallavolo dell’oratorio San Barnaba e le ragazze del Gratosoglio, quelle che vivono nella case belle della Gratosoglio Nuova, mica dove abita Marinella. Le due squadre sono ai bordi del campo, verdi da una parte e viola dall’altra, Gratosoglio VS Rozzano. Si gioca tutto qui, pensa Marinella, e non come quando c’erano gli scontri in piazza sotto casa, lungo tutta via Baroni. Adesso non è più come quando la gente di Gratosoglio, con Olmo The Kid in testa, stava a destra (dal Bar Sport fino alla cartoleria del Signor Piero) e Rozzano, capeggiata da Pizzo, stava a sinistra (dal Bar Sport fino al palazzo del Marinaio). Tutti con mazze, coltelli, e qualche pistola. Marinella era piccola e scivolava tra la folla, annaspava nell’aria pregna di rabbia e correva su in casa, e da lì sopra a Marinella tutti palazzi sembravano sul punto di implodere.
Ora gli scontri in piazza non ci sono più, c’è stato l’accordo e si vive tutti più tranquilli. Marinella vede Pizzo e Olmo al Bar Sport, quando va a comprare le sigarette per Carlo. Pizzo e Olmo siedono su tavolo riservato a loro, giocano a carte, tengono a bada il quartiere. A Marinella un po’ fanno paura, però gli sorride lo stesso e fa quello che le dicono: si siede sulle loro ginocchia e li accompagna pure nel retrobottega a prendere altre birre, perché pensa che magari un giorno possono sistemare la faccenda di suo fratello Carlo. Magari possono fare qualcosa anche per gli scarafaggi. Domani glielo chiedo, pensa.
Mangia piano, Marinella, succhia i pezzi di frutta uno ad uno, così il piacere dura più a lungo.
La partita tarda a iniziare, ma a Marinella la giornata di oggi sta piacendo lo stesso. La mamma è andata a far visita a San Vittore; e poi lavora di secondo, fino a mezzanotte, e non sarà a casa prima dell’una e trenta. Carlo invece manca di casa da tre giorni. Ogni tanto Marinella si volta a dare un’occhiata allo scarico della pattumiera e si accerta che tutto sia immobile. Poi torna a succhiare un pezzo di frutta, a guardare il campo dell’oratorio, la rete alta e tesa che sfida il cielo. Pensa che a settembre anche lei sarà una di loro, anche se ha dovuto rinunciare alla mancia settimanale di 2 Euro per tutto l’anno. Perché tutto ha un prezzo, le ha detto la madre. Mancano ancora 3 mesi, ma Marinella già si allena per conto suo; con la palla che le ha dato Olmo palleggia contro le pareti di casa, e quando può guarda le partite in TV per studiare la tecnica e gli schemi. Battuta, ricezione e schiacciata. Tre mosse, se le fai bene vinci. Marinella pensa che dalla TV si possono imparare tante cose. La mamma però non vuole che si usi la TV nella sua camera, perciò Marinella guarda quella in sala dove c’è il letto di Carlo, che tanto non c’è mai, e quando c’è è quasi sempre mezzo addormentato.
Marinella posa la ciotola della frutta e va in bagno. Deve fare in fretta perché non vuole perdere la battuta d’inizio. L’odore della pipì del gatto è forte, insopportabile. Con una mano si abbassa i pantaloni e con l’altra si tappa il naso. Pulire la terra del gatto è compito di Marinella, sa che deve farlo, ma a Marinella viene da vomitare al solo pensiero. E poi non capisce perché per il gatto c’è sempre da mangiare e per loro no e devono fare tutti quei di sacrifici. Non è giusto, pensa. E poi se il gatto muore sono fatti suoi, del gatto.

La ciotola ora è vuota tra le sue mani e il primo set sta per finire; dalla sua tribuna Marinella non riesce a vedere i cartelli con i rispettivi punteggi, ma ha tenuto il conto, palla più palla meno. Le maglie viola di Rozzano si muovono bene in campo, schiacciano; le verdi faticano a ricevere. Coraggio, pensa Marinella, questa non farla cadere, pollici tesi che si baciano, mani chiuse a pugno uno dentro l’altro, gomiti stretti e gambe giù. E poi la fai rimbalzare sulle braccia, così, e se brucia stringi i denti, che anche il bruciore è allenamento e poi magari a schiacciare tocca a te. Marinella guarda la palla ricevuta roteare; l’aria è leggera eppure sostiene la palla, l’accarezza e la spinge e le fa fare le capriole. E se la palla scomparisse, si chiede Marinella, dove andrebbe? Dove la porterebbe l’aria? Magari in mezzo al mare, e danzerebbero sulle onde, palla e aria insieme, e si amerebbero. La schiacciata va fuori, anche se di poco. Le maglie viola saltano, alzano le braccia al cielo, urlano olé. È solo il primo set, pensa Marinella, è ancora tutta da giocare.
Marinella ha sete. L’acqua del rubinetto odora di marcio. Sul portone un cartello annunciava dei lavori alle fognature e disagi per 2 giorni. Sono passate due settimane, sul cartello ora qualcuno ha scritto parolacce e l’acqua è ancora marcia. La prima settimana Marinella aveva succhiato il ghiaccio del freezer. Poi sua madre le aveva fatto vedere come fare: ti tappi il naso con due dita e mandi giù, le aveva detto, perché questa è l’acqua che c’è, perché senza muori.
Marinella si tappa il naso, china la testa e beve dalla cascata. Mentre si asciuga la bocca con la mano, la porta di casa si apre. È Carlo; è sporco e sulla guancia ha un taglio. Il sangue ha fatto la crosta attorno alla ferita. Piattola, dice. Ha 17 anni ma a Marinella sembra vecchio, forse perché ha già perso tanti denti. Carlo getta la giacca sul tavolo della cucina. Che hai da guardare, piattola? Poi esce, si butta sul letto, accende la TV.
Marinella torna piano sul balcone. Si siede rigida sulla sedia e incrocia la dita delle mani. Ti prego Signore voglio vedere la partita poi farò quello che devo fare ti prego Signore. La partita è ricominciata e Marinella ha fiducia. Siamo a metà del secondo set, e adesso le verdi di Gratosoglio sembrano più organizzate in campo, più connesse le une alle altre e schiacciano forte. Ogni tanto anche loro saltano, alzano le braccia al cielo, urlano olé.

-Piattola!
Marinella stringe i pugni, fissa il campo in maniera assoluta.
-Muoviti!
Marinella deve andare, anche se ogni scelta le sembra quella sbagliata.
Carlo è disteso sul letto. Alla TV la Carrà sorride a denti pieni.
-Questa non muore mai – dice Carlo. – Nella mia giacca, piattola, và e prendi la bustina.
Marinella corre in cucina e porta la bustina a Carlo.
-Sai cos’è questa?
Marinella scuote la testa.
-Posso tornare alla partita?
Carlo stringe forte le dita magre attorno al braccio di Marinella, la tira a sé – Tu non dovevi nascere, – le alita sul viso, le preme la bustina sul naso – guarda questa e dimmi cos’è.
-È sabbia. Marinella ha un filo di voce, ma resiste.
Carlo ride con il suo riso bucato.
– Sei proprio inutile – dice – portami un cucchiaino e vammi a comprare le sigarette.
Marinella corre all’ascensore. Non piangere, si ripete, ma l’ascensore si è appena chiuso alle sue spalle che le lacrime già le sente salire, galleggiare e sospendersi dentro agli occhi. Deve fare in fretta, così può tornarne a vedere la partita. Ma si è dimenticata del cucchiaino, Marinella, e adesso sì che saranno guai. Carlo la legherà ancora alla lavatrice e poi se ne andrà, e quando sua madre tornerà lei sarà ancora lì e non avrà buttato la pattumiera né avrà pulito la terra del gatto, e sua madre la picchierà sulle gambe con l’appendiabiti. Deve correre più veloce, Marinella.
Al Bar Sport guardano la partita di calcio, ma Olmo e Pizzo non ci sono, e da laggiù Marinella non sente più le urla delle ragazze.
-Mio fratello dice se mi dai le sigarette che poi fate come al solito.
Con le sigarette in pugno, Marinella corre veloce. L’ascensore è occupato e il terzo set sta per iniziare, allora decide di fare le scale a piedi. Perché Marinella deve essere forte. E poi non fa niente se non vedo il terzo set, che tanto a settembre ci gioco anch’io. Perché Marinella deve essere coraggiosa. Le scale sono tante e adesso Marinella piange e corre più forte. E non fa niente se brucia perché questo è come un allenamento, e poi anch’io salterò e farò le schiacciate e urlerò olé.

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1 commento

  1. Che sorpresa e che piacere leggere un tuo racconto qui! Come sempre i tuoi racconti lasciano il segno. Questa bambina, la cui vita è piena di scarafaggi trova la sua via di fuga sul balcone, un balcone mangiato dalla ruggine ma che le permette di guardare al di là, di sollevarsi dietro a un pallone. Tutta la pesantezza della sua vita, pesantezza che poi è dolore e violenza, racchiusa nella palla ha la capacità di trasformarsi in qualcosa d’altro che è appunto il volo, quell’alzarsi al di sopra, in un certo senso diventare leggerezza. Ciao Lucia

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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