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La triste confessione di un comico paranoico

di Gianni Biondillo

Mi confessi, padre, perché ho molto peccato. Quello che ho fatto, quello che voglio fare, è peccato, peccato mortale. Di che parlo, mi chiede? Oddio, e da dove comincio? Come faccio a dirle tutto? Ha tempo per me, per la mia anima?
Padre, lei conosce Il Male? Come? No, cos’ha capito? No, non intendo metaforicamente, no. Dalla sua voce mi rendo conto che lei è giovane, più giovane di me, non sa neppure di cosa stia parlando, probabilmente. No, non intendevo il Demonio, il Dolore, e tutte quelle cose che vi danno da campare da un paio di millenni, no… io parlavo del Male, la rivista di satira, quella pubblicata negli anni Settanta. Non la conosce… peccato. Ecco, sì questo è un peccato, vada a confessarsi, o quanto meno faccia un giro in qualche biblioteca, qualcuna forse ne ha ancora la raccolta completa. Va bene, mi perdoni per la battuta facile, sa, in fondo è il mio mestiere… Di che parlo? Aspetti, non si inquieti, non sono pazzo. È che per me tutto comincia da lì. Ero un ragazzino, giovane giovane, pensi che leggevo Il Male di straforo, lo rubavo a mio fratello maggiore. Era… era… liberatorio, irriverente, volgare, estremo. Era rivoluzionario. Tognazzi capo delle Brigate Rosse, l’invasione degli extraterrestri, papa Wojtyla che dubitava dell’esistenza di Dio.
Ora però non si inalberi, non sono qui per provocare, glielo assicuro, è che da qualche parte devo iniziare per spiegarle il mio dramma, la ragione che mi ha portato qui, in ginocchio da lei, io, che mai avrei pensato di farlo.
Il Male, le dicevo. La mia finestra verso il futuro. Sì, non esagero. Dopo Il Male tutto era possibile. Il potente era sbeffeggiabile, la libertà di espressione appurata, la rivoluzione dei costumi, delle abitudini, delle mentalità ad un passo. E io ero lì, un adolescente pieno di entusiasmo, deciso a fare il comico satirico nella vita, deciso a fare il fustigatore del potere. Pensi: la prima volta che votai -erano le elezioni europee- vinse per un decimale il Partito Comunista sulla Democrazia Cristiana. “Non moriremo democristiani”, titolò Il Manifesto. Non sapevano, non potevano sapere… E neppure io sapevo. All’università pubblicavo le mie fanzine satiriche, scrivevo i miei monologhi, facevo le mie prime uscite nei locali notturni. Era tutto in nuce, tutto allo stato nascente. Poi arrivò lui, il Prestigiatore. I miei vent’anni li ho passati così, vedendo nascere e morire -soprattutto morire- idee, riviste, entusiasmi. Ma io resistevo, padre. Non sapevo di essere lì, e allora, perché c’era un disegno, un disegno perverso; io ero la pedina di Dio, padre. No, non sto bestemmiando, ero la pedina di Dio nella scacchiera della Storia. Perché Dio, si sa, gioca sporco e vota a destra.
Il Prestigiatore, nel frattempo, quando io ormai ero un comico professionista e giravo lo stivale in lungo e in largo, vide colpire, abbattere, i suoi amici più intimi, li vide cadere come tessere di un domino. Per due soldi, una mazzetta di poco conto. Fu allora che iniziò tutto, ma ancora non lo sapevo. Pensavo fosse solo una coincidenza, capisce? No? Non sta capendo nulla? Mi dia tempo, padre, e comprenderà tutto. Ero in un teatrino di Roma, me lo ricordo ancora. Raccontai la storia di quel piccolo arraffone locale, a Milano, che lo beccarono a prendere soldi da una impresa di pulizie che cambiava i pappagalli in un ospizio. Faceva molto ridere tutta la parte dove parlavo di pulizia e denaro sporco. La gente rideva fino alle lacrime quando esplodevo nella gag del corrotto che gettava il denaro nel cesso e tirava lo sciacquone. “Un lavoretto pulito pulito”. Terminavo sempre così. Poi andavo a bermi una birra, meritatissima. Anche quella sera. E il giorno dopo, leggere sul giornale che a Milano davvero le cose erano andate così parve poco più di una curiosa coincidenza.
Non lo era, maledizione.
Non ha ancora capito? Ma insomma, davvero non sa chi sono io? Ha presente il Prestigiatore? Chi è che l’ha chiamato così? Io. Chi è che l’ha fatto diventare quello che è? Io! No, non sono un megalomane millantatore. È proprio così.
Il Prestigiatore era la sfida, la vera sfida per noi comici. Come era facile, in fondo, svillaneggiare i politici prima di lui. Erano così rigidi, grigi, seriosi… burocrati a modo -di destra, di sinistra- senza guizzi, imprevisti, fantasia. Qualcosa s’era mosso col Picconatore, e prima di lui con lo Squalo e la sua corte di nani e ballerine, ma nulla, nulla in confronto al Prestigiatore. Perché lui non faceva politica, non parlava di economia, di diritto, di società. Lui era il “sogno incarnato”. Era il mito. Era l’Italia nella sua più limpida rappresentazione. Era il luogo comune. Era un film di Alberto Sordi fatto corpo, era una Commedia di Natale fatta sangue. Perché lui era capace di dire cose come: “la realtà è una cosa, la verità un’altra”. Un vero filosofo patafisico.
Lui è stato per anni il bersaglio indignato delle mie stilettate pubbliche, il pane per i miei denti, che, per quanto continuassi a masticare, non veniva mai a noia. In fondo, diciamocelo, è quindici anni che mi dà da mangiare. Ma fra entrate e uscite non sono io quello che ci ha guadagnato in questa partita doppia; pensavo solo di essere un comico, non sapevo di essere un veggente premonitore.
La mia era – è, tutt’ora!- soprattutto una sfida intellettuale. Perché ogni cosa dicessi, lui rilanciava. Per deriderlo recitavo a teatro: “Manca solo che ora si inventi un modo per depositare i soldi degli evasori direttamente in banca, senza passare dal via: il Fisco”. Il mio pubblico rideva. E lui inventava lo scudo fiscale, cosicché i fondi nelle isole Cayman tornassero, zitti zitti, a casa.
Io mi scervellavo, di notte, per pensare la prossima cattiveria, il prossimo sberleffo. Dicevo: “Perché una persona sotto processo non può candidarsi alle politiche? Perché non potrebbe occuparsi del suo lavoro, essendo sempre in tribunale!” E il Prestigiatore, replicava: decine di persone già condannate, con sentenza passata in giudicato, elette nelle sue liste, ché così il tempo in tribunale non lo perdevano più. Come ti muovi con un genio dello spettacolo così? Come puoi anticiparlo?
“Con gli anni sto perdendo la vista, la prossima volta che vado a votare metto la X sul simbolo e lascio perdere di scrivere il nome del candidato.” E lui che fa? Una legge dove le segreterie di partito bloccano le liste. Il candidato che ho sempre votato ora è in fondo alla lista del partito. Non è stato più rieletto e mi odia. Così è stato, padre, così… “In America la tassa di successione è il modo che hanno i ricchi di entrare in società. Un regalo alla nazione.” E il Prestigiatore, giudizioso, la toglie per i redditi miliardari per poi cointestare le sue proprietà ai figli. Io ho reso ricco quell’uomo. Più assurda era la cosa che dicevo in pubblico e più lui assurdamente mi sopravanzava. A sinistra sono diventato una bandiera, a destra, probabilmente, facevano in segreto il tifo per me.
Lo sdoganamento degli exfascisti, la depenalizzazione del falso in bilancio, il buco nei conti dello stato, le leggi ad personam… io, io, io… Immaginarlo, scriverlo e poi recitarlo è bastato perché accadesse. Più lo prendevo in giro politicamente e più lui si ispirava alle mie intuizioni. E le realizzava.
Sono paranoico? No, se lo faccia dire, padre. Sono uno stupido. Io per anni ho voluto fare a pezzi l’immagine politica di un uomo che la politica non l’ha mai fatta. Ha sempre fatto televisione, ecco. Il suo è il più lungo reality show della storia televisiva e non me n’ero accorto. “La realtà è una cosa, la verità è un’altra”, ricorda? A lui non interessa la verità, vuole manipolare la realtà, farne un immenso parco giochi, il suo kinderheim. Povero vecchio bambinone. Quello che vedo, oggi, è un anziano gonfio di botulino, immerso nel fondotinta, con i capelli finti, operato alla prostata che, cappello di ferroviere calcato in testa afferma, di fronte agli astanti, patetico: “Volete un presidente ferroviere? Io preferisco un presidente puttaniere!” Quasi mi intenerisce vederlo crollare sotto i colpi di qualche prostituta tignosa. Mai fare incazzare le puttane. Sono persone serie, professioniste e, come è giusto, pretendono per ogni prestazione il giusto compenso, altrimenti si vendicano. Che pessimo comico sono.
Tutto questo casino, il potere, la massoneria, la P2, le televisioni, la Presidenza del consiglio, i maneggi, gli imbrogli, per cosa? Per un pompino? Non le fa pena il suo pene, padre?
Avere pietà è sentimento cristiano, vero. Non è questo il mio peccato, cos’ha capito? Non sono mica qui per il Prestigiatore, padre. Avergli permesso, con le mie innocue intuizioni comiche, di farsi trastullare i genitali dal qualche sua futura parlamentare o ministra (fa ridere, no? Lo ammetta, è talmente surreale che pare incredibile. Inverosimile. Quindi reale), oggi, qui, in ginocchio di fronte a Dio Padre, mi sembra un peccato veniale.
Il peccato mortale è stato un altro. È stato non aver guardato dalla parte giusta. È stato aver sopportato la polverizzazione snob e deprimente della sinistra: Rifondazione, Comunisti italiani, Sinistra l’arcobaleno (impronunciabile!), Sinistra e libertà, Marxisti leninisti, Troskysti maoisti, e chi più ne ha più ne metta, col loro linguaggio vecchio di un secolo, con le loro micragnose guerre di posizione, col loro essere più a sinistra della sinistra, col loro – per dirla con Lenin – estremismo, vera malattia infantile del comunismo! È stato permettere che persone come Cicciobello, Baffettino, Mortadella, Ualterone, Erremoscia, Snobbettina, e tutta la cricca di smidollati ex democomunisti facessero a pezzi un patrimonio di solidarietà sociale, di idealità, di sogni condivisi, di senso del futuro che avevano ereditato dalla Storia per giocare ad essere moderni, concorrenziali col Prestigiatore. Come volessero vendere lo stesso prodotto, ma a un prezzo più conveniente. Ha presente la pubblicità? Lei cambierebbe due fustini di una imitazione per il fustino originale? Si tiene l’originale, giusto?
Non basta cambiare nome, no. PCI-PDS-DS-PD. È come se io mi facessi chiamare oggi Antonio e domani Luigi. Sono sempre io però, giusto? Eppure gliel’avevano detto: “Con questa classe dirigente non vinceremo mai!” (ascoltassero più spesso i comici. A destra lo fanno, a destra i comici li mandano in esilio!) Quanti anni sono passati da allora, sei, sette? Sono ancora lì, a tenere la posizione, su un’isola deserta, mentre l’oceano erode le coste, sbriciola le spiagge, giunge a lambire ciò che resta della boscaglia. Nessuno però che si metta, ascia in mano, a costruire una nuova imbarcazione, per esplorare il continente davanti all’orizzonte, nessuno che lascia spazio a chi ha più forza nelle braccia, più sangue nelle vene. Quella colonna di fumo che osservano dalla loro isola deserta dimostra che i barbari sono arrivati e stanno facendo razzia della popolazione civile. Perché andar lì, sul territorio, a spezzarsi le unghie laccate di fresco? Da qui, dall’isoletta, le voci indignate si possono alzare al cielo senza preoccuparsi di disturbare davvero i barbari invasori. Una opposizione giudiziosa, insomma.
Capito, padre? Capito il mio dramma? Sono colpevole. Colpevole di arrendevolezza, di complicità. Sono un comico colluso. Ma sono un comico. Vedo. Immagino. E mi voglio vendicare, padre. Questa sarà la mia redenzione.
Sarà l’ultima mia esternazione pubblica, poi entrerò in questo convento e pregherò con lei per il resto dei miei giorni. Non parlerò del Prestigiatore, no. Parlerò di loro. Del prossimo congresso del Partito. Immaginerò di mettere un potente lassativo nella cambusa del ristorante pariolino dove mangeranno a pranzo, prima dell’apertura dei lavori. Immaginerò, come nel più triviale medioevo popolare, il dolore di pancia, gli spasmi, le aerofagie incontrollate, vedrò – e lo vedo proprio come un profeta vede perfettamente il futuro che si realizza- salire il segretario sul palco, il volto madido di sudore, la mano calcata sulle viscere. E così i suoi nemici – prontissimi ad accoltellarlo alla prima occasione – e così i suoi amici – altrettanto prontissimi ad accoltellarlo, però alla schiena. “Compagni” dirà. E da lì il diluvio. Un’enorme liberatorio scorreggione, un profluvio di odori, di umori, di merda. Sì, di merda. Un mare di merda, li sommergerà tutti. Capace che finalmente qualcuno muovi quelle cazzo di braccia flaccide e impari a nuotare, fino a riva, qui, dove nella merda ci siamo tutti, grazie anche alla loro ignavia.
Amen, padre, e così sia.

[pubblicato su Satyricon, la satira politica in Italia, un anno fa. Non è cambiato nulla.]

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19 Commenti

  1. Riso amaro sulle mie labbra.

    “Un mare di merda, li sommergerà tutti”

    E’ così assurdo/rischioso/vecchio pensare che solo un atto forte e di pancia (sì, di pancia, nel senso di masse e folle che agiscono, non di intellettuali e politici che, diciamo, teorizzano all’estremo) possa essere la risposta a questo stato delle cose e quindi portare al vero cambiamento?
    Per riemergere da un mare di merda, forse paletta e secchiello non bastano e ci vuole qualcosa di più netto ed efficace?

    Non so. (Mi) domando…

  2. Sai, Gianni: il guaio è che il mare di merda li ha davvero sommersi, e loro non hanno imparato a nuotare e sono andati a fondo. Ma come i protagonisti di “Lost” non lo sanno, e continuano ad arrabattarsi.

  3. bello l’articolo che mette in fila tutti i bocconi amari che ci siamo dovuti ingoiare in questi anni.
    Il piu’ grande: la sinistra tutta (e tanto piu’ estrema tanto piu’ cieca), non aveva capito niente, non ha fatto quello che poteva e doveva fare.

    Vorrei solo precisare una cosa: la tormenta di merda non avrà riguardi per nessuno.
    l’unica cosa decente del secolo scorso, che ha dato dignità è stata la resistenza. E’ ora dicominciare a fare la resistenza ognuno di noi la faccia. Non c’e’ piu’ tempo per le denunci, le satire e le ironie.

  4. In effeti, Carmelo, è quello che dicevamo io e Belpoliti alla presentazione del volume, con Dario Fo, Robecchi, Genna, etc. lo scorso anno.
    Non c’è più niente da ridere.
    Questa non è una satira, è una patetica invettiva.

  5. Toccante, una cosa che va dal riso alle lacrime.
    Col Male anche si rideva, ma non solo.
    Chi si ricorda il fotomontaggio di Andreotti intitolato “I vantaggi della gobba?”
    L’Uroboro che si congiunge a se stesso, il potere che si autogenera.
    Una profezia più che una barzelletta.

  6. mi dispiace che un intellettuale come gianni biondillo prende in giro un progetto nuovo come il pd avendo capito che è un articolo di satira. il pd è un partito che sta cercando di portare alcune novità nel mondo della politica uscendo dagli vecchi schemi affiancando ai vecchi maestri della politica dei volti nuovi come quella giovane che adesso si vede sempre oppure il sindaco di firenze oppure richi vendola che sdogana anche il discorso dei gays dei trans e di tutti gli handicappati. chiaramente non fanno parte di un progetto come il pd quelle persone che li contestano tirandogli le sedie addosso gli estintori o sputando o dicendogli frasi come pezzi di merda. io credo che noi dovremo avere fiducia nel pd e nel suo lider weltroni ossia lasciandolo lavorare come lasciammo berlusconi che però ci portò a questa situazione. a me il pd piace perché è molto democratico e moderato e quindi è completamente diverso da berlusconi che invece ha fatto tutte le cose negative alla quale la satira di gianni si riferisce nella prima parte dell’articolo.

  7. anche se lavoro nella stessa scuderia di immondizie riunite non sono daccordo perché il pd purtroppo anche se è vero che è molto democratico e infatti c’è scritto democratico anche nel titolo del partito non riuscirà mai a cambiare le cose come non ci riuscì l’unione. io credo che solo un casini con la sua serietà potrebbe cambiare un po’ le cose ma comunque è da vedere. grazie e scusate

  8. Perché implorate la rivolta delle masse se nessuno ascolta? Vedo solo utopie nel futuro dell’Italia: sbaracciarci del Prestigiatore prima che muoia (non sopporto l’idea dei funerali di stato per lui) e allontanare una classe dirigente affogata nella merda (che però ci dice che fa bene alla pelle). Il problema per i comici satirici, invece, è grave. Tutto quello che dicono non è più divertente perché coincide con la realtà. E, scusate il francesismo, la realtà non fa un cazzo ridere.

  9. Su questa quistione penso che la satira è un genere inferiore di umorismo, che qualche volta neanche ci ha a che fare, con l’umorismo. Onestamente, l’architetto Biondillo parla di invettiva, una forma del discorso autoritaria, concessa solo a chi ha potere, o fa parte della classe che ne difende le prerogative dall’assalto dei barbari. Nel mondo nel quale vivo la satira è da un po’ di tempo vietata ai maggiori di 25 anni. Nessuno del resto si sogna di scrivere invettive.

  10. Ho la netta sensazione che il curioso sistema in cui viviamo uccida i distratti rubando loro il tempo. Arriveranno a novant’anni, ma saranno novant’anni buttati via e riempiti di idiozie, passatempi e cure mediche.
    Rubare il tempo non è furto, ma letteralmente omicidio poiché il tempo è un bene che mai potrà essere restituito.
    Spiace dirlo, ma ho quasi sempre la stessa sensazione con la satira, specie quando è prolissa. Forse per questo non viene proscritta, perché con maggiore o minore arte, contribuirsce a tenere occupati i distratti. A distrarre (rubare) l’ultima mezz’ora utile della giornata.

  11. “Questa non è una satira, ma una patetica invettiva” (che anticipa i tempi, aggiungo io). Si, Gianni Biondillo ha ragione. E perchè sia completo il panorama della merda in cui si naviga, mettiamoci anche il resto, anche a prova che non è vero che non c’è più chi scriva invettive. Mi dispiace autocitarmi, ma questa qua sotto l’ho scritta più di un anno fa, di ritorno dalle urne per le elezioni politiche….. ero bello carico carico… Satira e pochade, invettiva e…profezia politica (quante cose si sono poi appene verificate!)….Si, L’ha detto Binaghi, ridere e piangere…… e …”honni soit qui mal y pense!” :

    AD URNE APERTE…(E SUBITO RICHIUSE!)

    (POCHADE SATIRICO – CAMBRONNIANA IN DISTICI MARTELLIANI)

    Un’invettiva

    di

    Saldan

    I. INTRO

    In quel di Villa Certosa – il Sàtrapo s’indigna –
    furto d’immagine è violata la sacra vigna !

    E subito all’unisono scatta la canea
    pubblica e privata – a cantar la panacea

    del Grande Imbonitore : vespe, retròscenisti,
    lacché, maggiordomi, sedicenti giornalisti

    tutti a sviare il nòccciolo vero del problema,
    a gridare al complotto, al grande teorema

    d’una sinistra morta, che rema all’incontrario
    ora che persino i treni! viaggiano in orario..

    Fiato alle trombe dunque : che la solfa solita
    venga infin suonata dalla trista accolita

    dei feltri dei gasparri dei bondi dei belpietri,
    ch’abbàino convinti, ch’annientino i di pietri!

    L’onorevole niccolò mavalà ghedini
    spari querele come fossero bruscolini!

    Poi giù a cascata con le truppe da riporto,
    i cicchitto, i capezzone, fino al porto

    escondido: i caldarola , pigi, minzolini
    ah, riformisti del re, i nuovi cagnolini!

    Il Gran Prestigiatore s’avanza sulla scena,
    lasciamolo parlare di sua favella oscena…

    II. IL NUOVO SANFEDISTA

    Me pirla! Che v’ho portato a fare in parlamento
    se non orchestrate bene il fronte, sacramento!

    E voi dei rotocalchi, forza con quelle corna,
    con veronica e gli sghei il conto non mi torna!

    Tu fini, giuda infame! smarcato dai coristi,
    vuoi fare futuro associato ai comunisti!

    La tua Camera sarà una camera di sangue
    dove il berty intrepido sfiorì –ed ancor langue!

    Questa è cosa certa, andrai fuori dai coglioni
    tradito sì, dai tuoi servi, servi dei padroni!

    C’è chi s’è già smarcato, ahi come quel casini
    dimentico dei miei tanti cari bruscolini!

    Invidiosi traditori infami complottardi,
    gridate catarrosi lanciandomi petardi!

    Flaccidi sudati d’ antica sguaiataggine
    che ne sapete voi, potenza dell’immagine!

    Il popolo m’adora, mi bagno nella folla
    guardate, m’inneggiano, vivo in una bolla!

    Vedete si? Sono il loro specchio di narciso!
    Son così contenti, mai nessun ne resta ucciso!

    E dunque, che sarà mai un po’ di lavanderia:
    riassesto, ripulisco, è pur sempre economia!

    Il soldo gira, riciclo sì, e piango e fotto,
    giudici carogne, v’imbrago e me ne fotto!

    Immune, impunito anche dentro al cesso,
    non lo farete mai quel vostro bel processo!

    Insultate pure comunisti impenitenti,
    siete vecchi, sfatti, aggressivi ed impotenti!

    “Dittatore d’operetta, nuovo napoloni!”*
    Governo, comando di carota e di bastoni,

    canto, mi riposo, mi sollazzo : apicella
    è il mio ruffiano embè? lui ha sempre la più bella!

    mara, la noemi! il viagra – miei cari scemi –
    mi tiene a galla, mi dimentico i problemi

    La morte mi fa un baffo – lifting! – e non olezza,
    corpo del capo elisir d’eterna giovinezza!

    Chi l’ha detto, la fedigrafa che non sto bene?
    Guardate quanto sangue mi scorre nelle vene!

    Faccio le corna ed il cucù, sorrido, attizzo
    la Merkel e la Regina, rido e poi m’appizzo.

    Mister Obama! grido allegro, senza ritegno,
    mi metto in mostra ogni volta c’è un convegno

    Foto di gruppo, teleobiettivo, che ritardo!
    li frego tutti con nonchalance o con lo sguardo

    Con il Putin – oh sì! – sono un mitra che sventaglia,
    gloria alla mia immagine, prestigio dell’ itaglia!

    Se non fosse per quel bossi coi suoi nègher, oh, can!
    tutto consuonerebbe, gentilini ed il galan!

    Sì, la moratti o la gelmini, la brambilla,
    brunetta ed il sacconi, voila! tutto brilla :

    veline, formigoni, i fanti ed i milioni,
    sono consonante, sono santo berlusconi!

    Tutta d’oro riluce l’ Italia di cemento
    di nuovi ricchi travestiti in cinquecento,

    d’evasori, caste, voci bianche ed estortori,
    tutta d’argento è quest’ Italia degli untori!

    Operai, sfigati, abusivi e ricottari
    con me tutto s’aggiusta miei cari comprimari.

    Restiling! riciclaggio, avanti all’arrembaggio,
    è così semplice, non ci vuol tanto coraggio!

    E poi c’è quagliariello, guardate quant’ è bello
    il nuovo torquemada del mio gran bordello :

    ringhia, aizza, sbava, sbianca con laico furore
    il nuovo gran crociato dell’unto del signore!

    Per tutti ho un dono, un fiore, una carezza,
    per kakà, il milan, gli appestati da monnezza.

    Mai nessun scoperchierà l’olezzo di regime,
    manco Topolanek con le belle palle opime!

    Sì, tutto è perfetto, i comunisti all’inferno!
    Piano di rinascita** il mio slogan di governo!

    dell’utri fede letta e i miei cari prestanomi,
    estero su estero, scambiatevi i cognomi!…

    Basta, sono stanco, ritiriamoci a far festa,
    avvisate i suonatori e tutti lancia in resta!

    Suona, suona carmagnola, suona li consigli!
    Viva il grande silvio, viva o’ rré cu li famigli!..

    ………………………………………………………………………
    ……………………………………………………………………..
    ……………………………………………………………………..

    (segue musica de IL CANTO DEI SANFEDISTI)

    III. CONGEDO

    (Dante – a papa vivente – pose Bonifacio
    nella merda: io questo canto – e mi “confacio”.)

    Sì, dorme l’Italia ad urne aperte, dorme, sogna
    d’un tempo andato che non torna. Non ha vergogna

    chi ha pianto ed imprecato, niente più lacrime
    su strade d’una rabbia già passata, lacrime

    di chi più non crede a niente, sconvolto da farsa
    impudente, figlia di normalità scomparsa,

    sommersa nelle fogne del potere. Cambronne
    col suo bel dire merde!, son queste le colonne…

    Vorrei un kamikaze a snidare il presidente:
    olezzanti, grossi – da oriente ad occidente –

    candelotti non di dinamite! ma di merda
    della più pura – ché manco un grammo ne disperda!

    Orsù, allora vieni, amico kamikaze,
    liberaci dunque tu da quest’assurdo ukaze

    tal che silvio con corte d’omuncoli e vaiasse
    ne fosse attinto alfin e di merda si smerdasse

    con merde colorate, compresse forti e buone,
    a reti unificate…. e a plurima visïone

    7 – 9. 6. 2009

    Note :
    *

    Napoloni è l’uomo di stato (parodia di Mussolini) in visita a Hitler-Chaplin ne Il Grande Dittatore (1940), che dà vita all’irresistibile gag dei saluti alla stazione. Se il Grande Silvio l’avesse visto, forse ci avrebbe pensato due volte prima di dar vita alle sue gag in campo internazionale. Ma ne dubito, vista l’overdose di narcisismo che lo domina.

    **

    Il Piano di Rinascita, ritrovato tra le carte di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, era la piattaforma politico-complottarda per ridisegnare l’Italia attraverso un nuovo assetto istituzionale, attraverso il controllo assoluto dei media, che dovevano essere orchestrati da un unico Direttore, la divisione dei sindacati, per isolare la cgil e la liquidazione del Pci, da mettere ai margini della scena politica. Il tutto attraverso un gruppo di fedelissimi, iscritti alla loggia P2, annidati nei gangli dei poteri forti. Guardate gli elenchi degli iscritti alla P2, reperibili in rete, notate quanti scherani sono nell’attuale governo (a partire da Berlusconi e Cicchitto) e/o nell’entourage dei media e dei poteri forti controllati dal blocco berlusconian pidiellista. Ma soprattutto confrontate le linee del Piano di Rinascita (anch’esso consultabile in rete) con il programma dell’attuale governo: se li sovrapponete come in un lucido, combaciano quasi perfettamente…

  12. Io non ho letto il post ma mi pare ti capire l’orientamento.
    Bisogna sapere che a chi è stato sottratto il tempo, come a noi, che non viviamo piu’ in una democrazia reale, non rimane che elaborare il disagio prodotto dal sentirsi fuori da qualsiasi civiltà attraverso il sorriso e l’ironia benchè amari. Sono lapiu’ alta elaborazione del malessere.
    Queste sono persone che da almeno 30 anni mettono in scena l’Italia che non c’è e ci sarà mai finchè non ci sarà un governo e un’opposizione normali.

  13. dalle mie parti si dice:” ci sei o ci fai?” se il pd c’è,con la grinta di un passato di verdure che si ritrova,ogni commento è impietoso. Se invece ci fa se ne deduce che rappresentano quella parte delle cosche del Potere i quali ritengono + utile usare un minimo di vaselina. e noi?ci siamo o ci facciamo?

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A Clarissa non importa di uscire bene in foto e la giornalista è preoccupata, molto preoccupata: con questo atteggiamento menefreghista non andrà da nessuna parte.
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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