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Il mulino di San Gregorio (600 giorni per dimenticare L’Aquila)

di Maria Angela Spitella

Non ci sono ricorrenze particolari, ma crediamo che non ci sia bisogno di una ricorrenza per ricordare una tragedia come il terremoto d’Abruzzo che ha colpito L’Aquila ed alcuni piccoli centri. Il 6 aprile 2009 per molti è un ricordo lontano, per altri è un ricordo costante che preme nella testa e nel cuore. Per chi ha perso i propri cari, per chi ha perso la casa, per chi ha perso tutto. E’ un ricordo che accompagna come una spina nel fianco la vita di ogni giorno, un ricordo che non si può scrollare di dosso. L’Aquila è una città immobile. Non tutti i palazzi sono stati messi in sicurezza. Ci sono appartamenti sventrati con i loro interni esposti alla vista di chi passa, come corpi mutilati che giacciono sull’asfalto. Si cerca di non guardare, fa male quella nudità, i brandelli delle pareti con ancora appesi i quadri stanno in piedi per inerzia, quando ci si passa davanti si cerca di abbassare gli occhi, come a non voler violare un dolore scritto sulle mura. Gli oggetti rimasti sono oramai deteriorati, ciò che rimane delle vite vi avevano vissuto, è niente. Vite che si sono sfracellate alle 3.32 del 6 aprile 2009. Sono crollate le case a L’Aquila, una città bombardata, rimasta tale da allora, sono crollati molti paesi intorno alla città, in alcuni di essi sono visibili i cumuli di macerie, immobili come tombe, rimasti dalla notte del 6 aprile. La rabbia è stratificata, è da quasi due anni che i cittadini stanno aspettando. Hanno avuto il tempo di seppellire i loro morti, e di andare a trovarli nei cimiteri; hanno avuto il tempo di aspettare che qualcuno facesse qualcosa per loro, che le case venissero messe in sicurezza, che la città e i paesi venissero lentamente ma inesorabilmente riaperti, hanno creduto alle promesse, hanno ceduto alle lusinghe di una vita migliore nelle nuove case del piano C.A.S.E e dei M.A.P, storditi e disperati a causa di un dolore non previsto ma prevedibile.

Promesse del Governo che non sono state mantenute. Tra i cittadini la rabbia serpeggia, è sotto pelle, non si riesce a venire a capo di nulla, perché ancora non si è fatto o deciso niente, ci sono imprese edili che hanno avviato i lavori, ma se lo Stato non manda i soldi promessi, nessuno le pagherà. Imprenditori che si sono esposti in prima persona, cittadini che non sanno se mai vedranno ricostruita la propria casa. E intanto cala il freddo e il silenzio sull’Abruzzo; l’Abruzzo come un’isola, sempre più lontana dall’Italia, una regione dimenticato, dopo i clamori delle prime notti televisive, degli scoop, del dolore lanciato nelle case dell’Italia intera. La televisione fa dimenticare presto, le immagini, pur se reali, diventano film di una quotidianità che allontaniamo da noi, il dolore prende le forme e i colori dello schermo, per poi spegnersi insieme ad esso. Il dolore di chi è rimasto, di chi è sopravvissuto, di chi ha sentito insieme alla casa che si sgretolava sulla sua testa anche il silenzio della morte che ha portato via i suoi cari, quello non si spegne con un interruttore, rimane intrappolato nella testa, nelle ferite, nelle pieghe di un’esistenza che non potrà mai essere più la stessa. Il dolore si amplifica quando si è perso tutto. Il dolore si attutisce quando c’è uno spiraglio nel futuro che si ha davanti. Monica non ha vergogna nel raccontare il proprio dolore, Monica non ha difficoltà a tornarci dentro, perché da quel 6 aprile 2009, è il dolore che non l’abbandona un istante. Quella di Monica è una delle 308 storie scritte dal terremoto dell’ L’Aquila, che ha rivisitato forzatamente le vite di molti. San Gregorio è una piccola frazione dell’Aquila colpita pesantemente dal terremoto del 6 aprile 2009. I segni sono ben visibili, ma anche l’immobilismo in cui è intrappolata. Nella campagna di San Gregorio, al limitare del paese, c’era un antico Mulino, di fianco all’antico Mulino c’era una casa, nella casa abitava una famiglia da 4 generazioni. Il terremoto ha portato via tutto. Ha distrutto la casa, e sotto le macerie della casa ha sepolto tre persone.

Monica Pezzopane è uscita viva dall’inferno di pietre che le è caduto addosso. E’ stata salvata grazie all’intervento del suo amico Walter che dopo la violenta scossa delle 3.32 ha pensato bene di correre a vedere cosa fosse accaduto al Mulino e alla casa che si trovano in una zona isolata di San Gregorio. I genitori di Monica quella notte hanno perso la vita, i genitori di Monica hanno lasciato la loro vita sotto le macerie della casa che avrebbe dovuto proteggerli. E pensare che la sera del terremoto, come molti altri aquilani, avevano scherzato sul sisma. Come accade quando si vuole esorcizzare una paura strisciante, nata da mesi e mesi di scosse sismiche. Monica Pezzopane, ricorda nitidamente quei momenti, lo scambio di battute con i genitori, la buona notte, una sera normale in una famiglia normale. Monica Pezzopane ricorda però anche il boato del terremoto, sente ancora sulle ossa il peso delle macerie, nella testa continua a risuonare la sua voce che chiamava ininterrottamente i genitori per verificare che fossero vivi. Non possiamo sapere cosa accade nel cuore e nella mente di una persona schiacciata dalle macerie, con addosso la paura di morire, quando insieme al terrore di perdere la propria vita si accorge di aver perso entrambi i genitori. Oggi Monica ricorda quasi con distacco quella tragedia. Un distacco necessario per non venire risucchiata dal buco nero del dolore. Dolore che con il tempo diventa sempre più costante. Monica è una ragazza minuta, ma forte, lo sguardo è malinconico, non una lacrima le esce dagli occhi quando racconta la sua storia. Ha 27 anni. Parla sotto voce, con la voce ferma, è una ragazza rigorosa, che desidera far rivivere i luoghi della sua infanzia distrutti dal terremoto, il Mulino, di cui tutti parlano, e che era un punto di riferimento per il paese, ma anche per L’Aquila e per i paesi intorno, dove chi aveva il grano lo portava a macinare. Monica parlando si cala nella sua vita che appena un anno fa si sarebbe definita normale, e ora è tutta nelle sue mani. Mentre prosegue con il racconto il Mulino di San Gregorio ci appare davanti. E’ sempre lì, al suo posto, ma coperto con dei teli di plastica bianca in attesa di essere demolito, la casa invece, è un cumulo di macerie.

La facciata del Mulino non esiste più, sono visibili nei muri spessi le crepe, come ferite di un corpo martoriato. Monica ha da sempre vissuto in questo luogo di pace, un luogo altro, ad un chilometro da San Gregorio, immerso nei campi. “ L’unico rumore che si sentiva – ci racconta- era quello dell’acqua che scorreva, ricordo mio padre che macinava il grano con la macina ad acqua”. “ Il Mulino di San Gregorio è stato un punto di riferimento per molte generazioni di contadini, venivano a portarci il grano, e qui lo macinavano. Inoltre quando pioveva la gente correva dai campi a ripararsi da noi”. Il valore affettivo del Mulino per Monica è assai importante, insieme a questo si unisce però anche il valore storico del Mulino di San Gregorio. Monica vorrebbe che il Mulino della sua famiglia almeno venisse ricostruito E’ tutto ciò che le rimane nella sua vita. Quello che la tiene legata con un filo rosso al ricordo dei suoi genitori e della sua infanzia, al ricordo di ciò che era e che non sarà più. “Subito dopo il terremoto – racconta Monica – molti si sono offerti di darmi una mano per ricostruire il Mulino che ha un profondo valore storico, risale al 1400 e il mio bisnonno lo comprò a metà dell’800. E da allora la nostra famiglia ha vissuto lì”. Il Mulino venne già colpito dal terremoto del 1703, e venne distrutto, ci vollero allora 100 anni per farlo ripartire. Da allora sono passati 307 anni, e Monica ha la speranza che il Mulino venga ricostruito. Ma sono passati quasi 600 giorni dal terremoto del 6 aprile e il Mulino Monica ora lo guarda dalla sua casa dei M.A.P. Moduli abitativi provvisori. Le case prefabbricate costruite per sostituire momentaneamente quelle distrutte dal sisma. “Certo io sono stata fortunata, perché mi hanno assegnato una casa proprio nel mio paese”, solo che la porta non si chiude più, e gli interni iniziano a cadere a pezzi. Per ricostruire il Mulino sono necessari 500 mila euro, le persone e le aziende che inizialmente si erano offerte di aiutarci chi per un motivo chi per un altro si sono defilate. Monica è rimasta con un pugno di mosche in mano. In tutto ha raccolto 20.000 euro. 17 mila euro li ha donati un’ associazione bresciana e 3000 euro sono state le donazioni da parte dei cittadini che hanno preso a cuore la storia di Monica. Ma per arrivare a 500 mila euro ce ne vuole. Monica è andata a bussare ancora alle porte che le si erano spalancate subito dopo il terremoto, ma molte le si sono chiuse in faccia. Con garbo, ma anche con molta fermezza. I beni culturali , pur avendo riconosciuto il carattere storico del Mulino, lo hanno soltanto messo in sicurezza. Da allora nessuno si è più occupato del Mulino di San Gregorio. Monica testarda come è, ha aperto un blog, e un suo giovane amico architetto ha lavorato su quello che potrebbe essere il progetto per un nuovo Mulino. Ma tutto rimane immobile. Il sogno di Monica, che è un legittimo desiderio si avvererà forse fra 30 anni, ci dice con molto rammarico. “Io vorrei che il Mulino ricominciasse a vivere come un tempo. Vorrei farne una fattoria didattica. Se qualche grande azienda mi aiutasse”, si parla di Barilla, e non solo, anche pastifici come Divella. Io non avrei problemi a mettere il loro logo sul Mulino. Monica, ora è stanca, ha ripercorso la sua tragedia, lo sguardo è sempre malinconico, ma gli occhi sono asciutti. “Non voglio dire che io ho più diritto di altri a vedere ricostruito il Mulino, ma è importante per la comunità di San Gregorio, è un pezzo di storia che si sgretola. Non riuscirci è una cosa – chiosa Monica – ma non provarci nemmeno è un vero peccato”. Ritorna il freddo tra i campi di San Gregorio, il Mulino giace con le sue crepe e la sua facciata crollata coperta con dei teli di plastica, il rumore che si sente è quello dell’acqua che scorre, quella che un tempo faceva girare la macina, scritta su di essa c’è la storia di un Mulino che andrebbe ricostruito.

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6 Commenti

  1. Eppure L’Aquila da tanta gente non è stata dimenticata, non da chi ha lo sguardo sulla società, non da chi cerca strade per aiutare e/o informare. Ma certo siamo sommersi da scandali che tolgono visibilità a tragedie come questa. E fa rabbia vedere il menefreghismo dei politicanti, la presa in giro di una città e di gente di grande dignità, lo sottolineo:di grande dignità.

  2. La storia del mulino di San Gregorio è davvero toccante ma è solo una goccia nel mare di problemi che sta facendo affondare la nostra città. Ogni giorno un estimabile patrimonio artistico si sgretola sotto le intemperie e sarà sempre così fin quando, per lo meno, ci si accorgerà (come mi sembra che abbia fatto questa giornalista) che quel patrimonio non è solo di noi aquilani ma è un tesoro che l’Italia intera dovrebbe tutelare. Tuttavia vi sono al contempo problemi “pratici” molto gravi: c’è infatti chi, oltre ad aver perso la casa, ha perso anche il lavoro e ci tengo a precisarlo perchè spesso è un fattore che viene trascurato. Una città non puo’ ripartire se lo Stato non si impegna a dare un aiuto concreto in questo senso. Per questi e per molti altri motivi, invito tutti a unirsi alla MANIFESTAZIONE CHE SI TERRA’ IL GIORNO 20 A L’AQUILA e spero che tutti i giornalisti si impegneranno per divulgare, finalmente, la verità. Perchè di verità ce ne è una sola (al contrario di quello che vogliono far emergere alcuni media, tg 1 in primis) ed è che tutto affonda ma gli aquilani resistono.

  3. Sottoscrivo l’invito di Silvia. Speriamo che la manifestazione del 20 novembre prossimo venturo possa avere un senso, perchè di senso c’è bisogno qui all’Aquila per ricominciare a sperare. Senza senso non c’è speranza, e senza speranza non si vive.

  4. L’Aquila non è paese dell’oblio, per chi i paesi del silenzio sono la risposta poetica al nostro mondo, per chi ama la solitudine e la riflessione, il tempo della neve, quello del tempo lungo, per chi ama tornare lo sguardo verso il cielo, per chi ha l’anima del vento come solo compagno.
    L’Aquila è tornato al silenzio, ma è una bocca muta del dolore, come racconta il testo bellissimo di Maria Angela Spitella, dopo il fragore dell’attualità del terremoto, la fragilità del passato si vede negli occhi di quelli hanno sempre vissuto con la familiarità di un mulino o di una casa.
    E molto importante che il vento entrato nelle rovine sia il passaparola di tanti voci, che quelle parole diventino assordanti al punto di mettere a disagio i venditori di speranza.

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