Strade Bianche

di Gianni Biondillo

Enrico Remmert, Strade Bianche, Marsilio, 2010, 221 pag.

Da qualche anno a questa parte gli scrittori italiani sono tornati “sulla strada”, abbandonando gli angusti appartamenti borghesi dove tutto quello che narravano era la loro poco interessante vita. Si sono rimessi in viaggio lungo lo stivale e ce lo vogliono raccontare, rivolgendo lo sguardo a scenari e paesaggi che sembrava non ci appartenessero più.

Così come ha fatto Enrico Remmert, in Strade Bianche. Un viaggio fuori dagli itinerari scontati e veloci delle autostrade, che parte a Torino e termina a Bari, fatto da tre protagonisti, Vittorio, un violoncellista terrorizzato dalla vita stessa, Francesca, la sua ragazza intenzionata a lasciarlo proprio durante questo ultimo viaggio e Manu, una comune amica portatrice sana di vitalità e inquietudine. Tre personaggi e tre voci differenti, che Remmert decide di mettere in scena attraverso una scrittura frammentata che cambia di continuo il punto di vista del – anzi – dei narratori. Pochi e impalpabili i comprimari, dato che questo in un certo senso è un dramma claustrofobico en plein air.

Personaggi muti, ma non cose inanimate, sono il violoncello, il cellulare e l’automobile, corrispettivi oggettivi dei legittimi proprietari e spesso deus ex machina (appunto) di molti snodi narrativi. Ne esce fuori un romanzo allo stesso tempo picaresco e intimo. Avventure piccine, nulla di estremo, di “romanzesco”, ma che sanno essere anche surreali, comiche e a tratti poetiche. I tre protagonisti, come ogni romanzo on the road che si rispetti, metafora millenaria del romanzo di formazione, alla fine non cercano la meta, ma se stessi lungo il tragitto.

Strade Bianche non ci presenta però alla fine i personaggi cambiati. Sanno cosa hanno perduto, ma non sono ancora pronti a capire a cosa vanno incontro. Un libro, da questo punto di vista, sulla sofferenza e il dolore che non può essere escluso dalle nostre esistenze. Inquieto, sia grazie che non ostante la misura e il contegno della scrittura dell’autore.

[pubblicato su Cooperazione, n. 46 del 16 novembre 2010]

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. leggermente OT ma non troppo: è più meritevole raccontare invece la poco interessante vita altrui – fittizia o meno che sia, si sa, questo non vuol dire nulla? Solo questa reppresenterebbe la realtà – o una realtà di grado superiore? E quella propria non sarebbe tale? Insomma, sappiamo tutti che dipende come si racconta cosa, perché allora tranciare giudizi del genere? Si rischia di fuorviare, facendo passare un messaggio esplicito ma niente affatto charo. E poi da qualche anno a questa parte che vuol dire? Da quando? E prima, era davvero il contrario? Gli scenari ci appartengoino, e noi a cosa apparteniamo?

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

La vecchiaia del bambino Matteo

di Romano A. Fiocchi
Il titolo è un ossimoro affascinante: "La vecchiaia del bambino Matteo". Non basta, il libro si apre con un’immagine che non poteva essere concepita se non da un poeta, qual era Angelo Lumelli: un vagone merci fermo in mezzo alle risaie, da solo, sulla linea ferroviaria Mortara-Pavia.

Attorno a un completo sconosciuto

di Gianluca Veltri
Quando arriva sul palco, il 25 luglio 1965, Dylan sembra un alieno piombato sulla terra. È vestito come un rocker, tutti gli strumenti della band sono elettrici: due chitarre, basso, organo e batteria. Altro che menestrello di Duluth.

Babilonia

di Gianni Biondillo
Fra opere di maggior o minore qualità, fra grandi cantieri e cantieri smisurati, ecco spuntare fuori il Bosco Verticale. Progetto vincente, inutile negarlo, a partire dalla sua comunicazione. Architettura che si fa claim, slogan, motto.

Sangue mio, corri!

di Romano A. Fiocchi
«La geografia aveva complottato con la storia e ne era uscito il capolavoro di un paradosso». "La signora Meraviglia", di Saba Anglana, è una sorta di autobiografia di famiglia con l’atmosfera di "Cent’anni di solitudine", proiettata non in Colombia bensì tra il Corno d’Africa e l’Italia.

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: