Come una pietra che rotola
Maria Barbal, Come una pietra che rotola, Marcos y Marcos, 2010, 151 pag., traduzione di Gina Maneri
Le cinquanta edizioni di questo romanzo d’esordio, Come una pietra che rotola, stanno a dimostrare come Maria Barbal abbia, forse inconsapevolmente, scritto un piccolo romanzo culto della letteratura catalana, che solo ora, dopo un quarto di secolo, viene finalmente tradotto anche in Italia.
Piccolo romanzo, nel numero delle pagine, ma con una ambizione, raccontare una vita che riassuma l’intero Novecento iberico, che dà le vertigini. Perché Barbal ce la fa. Affidandosi alla cultura storica del suo lettore (questo è il patto), e più probabilmente al lettore catalano che conosce sulla pelle della sua famiglia quanto la storia sia stata violenta in quella zona del mondo, l’autrice riesce con pennellate impressioniste a raccontarci la vita di una semplice contadina, Conxa, eroina suo malgrado, icona di un mondo antico eppure vicinissimo.
Ci si affeziona subito alla sua voce, dato che con timida educazione l’autrice si dissolve nell’io narrante della sua protagonista. Conosceremo l’infanzia di stenti, i primi turbamenti adolescenziali, l’amore, la guerra civile, la vecchiaia di Conxa, e la sentiremo, con affetto, come una di casa. Il piccolo, piccolissimo dell’esistenza di una persona qualunque che diviene emblema universale della precaria condizione umana.
Maria Barbal riesce in tutto ciò decidendo di usare una lingua scarna, favolistica, capace di comunicare con chiunque, senza orpelli da letterato. Scelta stilista, però, non naif. L’autrice usa con cognizione di causa il discorso indiretto libero, di modo che il lettore trovi una immediata empatia con la protagonista, con la vita del popolo catalano e la sua mentalità. Con Come una pietra che rotola rivivremo distanze, per noi viaggiatori globali, ormai dimenticate: dai Pirenei a Barcellona, non ci sono pochi chilometri, insomma, ma un universo simbolico e storico che attraverseremo accompagnati dalla storia e dalla vita di questa piccola, amabile contadina.
[pubblicato su Cooperazione, n. 52 del 27 dicembre 2010]
da le vertigini.
dà le vertigini, gnurànt!
Ops… brutta roba la fretta. Capita. Mo’ correggo l’errata.