L’underground milleriano di uno Sticky Boy

di Mauro Baldrati

For God and the Empire è il motto del the Most Excellent Order of the British Empire, ordine britannico fondato da Giorgio V nel 1917 e di cui fanno parte, o hanno fatto parte, tra gli altri: David Gilmour, George Harrison, Elton John, Jimmy Page, Robert Plant, Alain Prost, Bill Gates, Agatha Christie, Michael Caine, Sean Connery.

Per Dio e l’Impero è anche il titolo di un libro uscito nel 2009 per l’editore Tea (collana Neon, diretta da Aldo Nove), scritto sotto pseudonimo (Sticky Boy) da un ragazzo emigrato a Londra alla fine degli anni Ottanta, con la supervisione di uno studio milanese di audiovisivi, l’Istituto Micropunta. E’ un chiaro riferimento ironico a quanto di sacro, di solenne, di rigido e di perbenista nasce e si consolida all’ombra della Union Jack, la bandiera britannica, coi suoi echi di conquiste coloniali, di guerre, di splendori imperiali, di ufficiali a cavallo e bellissime dame.

Sticky Boy, il “ragazzo appiccicoso”, trova lavoro al servizio delle “Regine”, le prostitute londinesi che ricevono su appuntamento, per appiccicare adesivi pubblicitari nelle cabine telefoniche, che lui stesso crea con lo stile “Pimp Art”. Contengono slogan, inviti espliciti, immagini più o meno hard, e il numero di telefono della Regina. E’ un lavoro clandestino, sempre a rischio di arresto (che arriverà, prima o poi), che lo fa viaggiare nell’underground del sesso a pagamento (che poi tanto underground non è).

In realtà Per Dio e l’Impero non è un testo molto ironico. Scritto con stile simil-poetico, è in gran parte composto da ritratti di prostitute, di clienti, di altri personaggi border-line che sono amici o colleghi dello stesso Sticky Boy. Si potrebbe definire un viaggio nel mondo delle donne in affitto, le straordinarie Regine autocoscienti dall’aspetto aggressivo, vestite di cuoio e di rete, con trucco incendiario, che si aggirano nelle “Case Valvola” (appartamenti dove si pratica anche il sesso sadomaso, con camere di tortura e di umiliazione) in biancheria intima, e dai modi very british. Le immagini ricordano Grace Jones, il suo stile di pantera, rossetti scarlatti, occhi che ti scavano dentro. Le Regine sanno come fare impazzire un uomo.
Qualsiasi uomo. E fanno impazzire Sticky Boy. Quello che emerge da questo “romanzo di vita”, come viene definito nella copertina, non è infatti la denuncia, o la trasgressione come plusvalore. E’ invece un atto di vera e propria adorazione verso il personaggio della prostituta, la “puttana” meravigliosamente santa e al tempo stesso terrena, disponibile ma misteriosa, pronta a tutto ma dignitosa, addirittura orgogliosa, aristocratica. Una vera grande dama dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico.

Un elemento interessante è il periodo. Entrano gli anni Novanta, si sente ancora l’onda lunga del decennio precedente, quando tutti volevano fare moda, creare stile, in un mix anarcoide di do it yourself di memoria new wave, ricerca del successo, della mondanità e al contempo della sfida al potere. Ma non ne celebra i fasti e gli splendori, né le durezze e gli oltraggi. Semmai li racconta dall’interno. E rifugge dal working class come dalla peste. Le Regine vogliono i soldi, cercano i ricconi da spennare, non lottano per creare un movimento di liberazione, perché sono già libere. In questo Per Dio e l’Impero è piuttosto un romanzo in versi di tipo milleriano. Henry Miller e la Parigi anni Trenta sembrano trasportati nella Londra anni ‘80 e ’90, col randagismo, la ricerca del sesso come santificazione, come rappresentazione della prostituta/madre:

“Nera. Cosce poderose. Seno prosperoso. Ci puntava, le rendeva bene.
Agile. Si muoveva con leggerezza. Elegante con una punta di volgarità. Volgare con una punta di eleganza.
Yin e Yang.
Un animale.

Vuota e piena. Piena e vuota.

Una puttana perfetta. Un tritacarne.
Non era lì per tenere seminari di robotica.”

La Regina è una Grande Madre santa e peccatrice, seduttrice e temibile, aggressiva e materna, ladra ma onesta. La sua è energia sessuale Ching allo stato materiale, senza la rovina della trasfigurazione mistica. Quando l’ipocrisia del Potere si rivolge contro di lei, perché esce dagli spazi delimitati che le sono concessi, usa per i suoi scopi il linguaggio dominante. Se i “cristiani invasati” attaccano le loro cartoline con la scritta: “Confessa che sei un peccatore, chiama Gesù nella tua vita. Lui farà il resto”, la Regina risponde con le cartoline di Sticky Boy: “Confessa che sei un peccatore, chiama Gesù nella tua vita. E io farò il resto.” E non è blasfemia, né provocazione; non è solo una brillante trovata pubblicitaria: “le Girls proponevano il binomio Santa-Puttana”, è piuttosto un’affermazione di libertà, di santità in puro stile milleriano.

Forse per questo aspetto di racconto interno al loro mondo, senza fronzoli né compiacimenti, Per Dio e l’Impero è stato accolto con simpatia dai movimenti per i diritti civili delle prostitute . Un narratore che le adora, che desidera servirle e promuoverle, essere il loro paladino e il loro schiavo, non può che essere “uno di noi”.

[le immagini che vedete sono quelle delle cartoline originali che Sticky Boy attaccava nelle cabine della British Telecom.]

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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