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NUOVI INQUADERNATI 3.

ELEONORA PINZUTI

P’t [post]

Mi rialzo in quest’autunno
scalzo il senso delle tracce
(ardo? agghiaccio? serve?).
Io non fui l’erba,
o la foglia che s’assottiglia,
ma la soglia sempre sospesa,
forse la chiglia.
Ho picchiato in tutti gli angoli del labirinto,
rivisto nelle pozze
le trame, riletto il palinsesto.
Ho adesso muscoli dolenti,
ossa crocchianti,
la rabbia come patina sui denti.
So per certo che la trama è, non vista, nelle glosse.
Che il sentiero è rilkiano, fatto di sassi bianchi,
di sinossi sulla piega della carta.
Mi rialzo. E tolgo ad una ad una le schegge.
Non sono altro che tatuaggio, simbolo,
la polena sulla barca.

***
Pathway ½
(5 anni prima)

Vexilla regis prodeunt inferni
(Dante, Inf., XXXIV, 1)

Fu allora il punto più basso,
il fondo della vita – l’inerme senso dello strazio
(donne fummo ritorte ora come sterpi).
Sulla tenda le zanzare di luglio
il puzzo della mensa
e crocchi e zoppie d’arto e
d’organi scavati.
Pendeva la torre: tutto era fuori dettato.
La morte vicina – pareva segnato il tronco.
Finiva lì il racconto?

Le sentenze, per me, furono annullate.

Sul terrazzo del reparto
panni bianchi stesi al sole dell’estate.

***
Vorrei
rivederti adesso,
in qualche luogo (concavo o convesso:
fa lo stesso).
Ma sei mossa
allo sguardo (frames d’un avanti e indietro sovrapposto).

Il vettore si confonde
per far posto
fra i piani in compensato
a ciò che non fu se
non compendio.

Saranno allora i miei capelli bianchi,
che spazzo con lieve sgomento
stipendio alle piaghe d’allora.

Ma non fanno corda
al paniere delle rime,
né frammento.

***
Se la linea d’orizzonte è la stessa,
e anche lo spazio (fra il lavabo, la stufa e la porta della sala)
com’è che non ti vedo?
Perché non mi vieni incontro?
Eppure, sul tavolino
c’è ancora il tuo orologio,
fissato, con la sveglia,
alle sette del mattino.

***
Se esistesse uno spazio, un tempo rovesciato,
il ribaltarsi della strada
il selciato scuro del portone
tutto sarebbe intatto, non toccato:

i due squilli, le tue calze e le marie col tè la mattina
e la bimbona e la bimbina
e la tua testa che spunta dalla prima finestra
a sera, per controllare
se vedi Barbara venire dal mare…

se non fosse così meschina la materia
quanto rideremmo ancora, dei mie calzoni troppo larghi,
di qualche cretinata da filo d’aggento. «Ecco, oh, ora sì» assentivi convinta
dopo un po’ di tempo. E, mentre parlavi, sistemavi un pupazzetto
sul ripiano, dicendo, piano, quel che ancora sento…

dio, nonna, come è straziante, parlarti da così lontano.

***
Poi

Non so se ci sarà futuro.
Lo cerco tra le pieghe dell’uovo
la polvere sospesa sul terrazzo,
l’ombra che taglia la figura intera.
Sfoco, sfumo, zummo
su di me
inconsistente
tanto quanto la tela che
il ragno tesse
fra le righe di ringhiera.

E che tolgo col dito,
indifferente,
solo per far pulito.

Eleonora Pinzuti è dottore di ricerca in Italianistica dell’Università di Firenze e le sue pubblicazioni scientifiche spaziano da questioni ecdotiche fino al gender criticism e alla queer theory. Come poeta esordisce nel 2002 in Nodo sottile 3 (Crocetti), viene selezionata per la XI Biennale di Atene dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo e i suoi testi sono stati pubblicati in riviste e miscellanee italiane e straniere (Zona, Perrone, Wizarts, ChainLinks, Semicerchio). Una sua silloge Games of society si può leggere in Pro/testo a cura di Luca Ariano e Luca Paci (Fara Editore, 2009) mentre il poemetto My Medusa è inserito in New Creative Work 2010-2011, Mosaici – St. Andrews Journal of Italian Poetry. Per informazioni sulla sua produzione scientifica e poetica www.eleonorapinzuti.info.

Azzurra D’Agostino
Yari Bernasconi

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22 Commenti

  1. Una notevole scoperta.
    Musicalità viscerale. E simbolismi carnali (reali). Malinconia, quindi coscienza del tempo. Teatrini di cartapesta. La sottile tela del ragno sul turbinio della voragine (maelstrom).

    Forse un refuso?
    “di qualche cretinata da filo d’aggento*. «Ecco, oh, ora sì» assentivi convinta”

  2. “Se esistesse uno spazio, un tempo rovesciato,
    il ribaltarsi della strada
    il selciato scuro del portone
    tutto sarebbe intatto, non toccato:”

    passaggi notevoli, apprezzatissimi.

    (nella stessa, “i miei calzoni”)

  3. Io apprezzo quelle parole dal respiro “antico” che si amalgamano così bene al resto, ad una voce e una lingua spontanee, che prendono dal quotidiano, che sottolineano l’esistenza di oggetti d’uso comune, questione a me cara.

  4. E’ buffo che persista un pregiudizio sul lessico che “ancora” si dovrebbe (o non si dovrebbe) usare in un testo poetico, come se un autore dovesse attenersi a liste imposte. Mi fa venire in mente l’obbligo del realismo socialista nella Russia stalinista. Nel caso specifico di Eleonora Pinzuti penso piuttosto a una poetica che consideri al suo interno un principio di precisione filologica.

  5. ciao marco, scusami ma come fai a non capire che è appunto l’autrice in questione che si attiene alle linee ‘imposte’ subliminalmente dalla nostra tradizione accademica, dal ‘poetese’ e da un’idea astratta di poesia come ricerca di una non definita lingua ‘preziosa, depurata’.
    non c’è niente di stalinista nel tentare di tenere in esercizio la lingua: l’unico modo per farlo è immergerla ‘in situazione’, coglierla nella concretezza del discorso, e lo si può fare solo aprendo gli occhi per vedere la realtà intorno a noi

  6. dod, ma anche no. L’intento, meritorio, da quel poco che ho letto al tuo link fallisce in un appiattimento da scopiazzamento giornalistico che nulla toglie e nulla aggiunge.

  7. @dod
    Non so qual sia il modo di ricercare parole (e di comporle) della poeta/poetessa in questione.
    Per quanto attiene al sottoscritto (che fa largo uso di termini non proprio 21secolizzanti), la scelta non ricade su parole “alla page”, arcaiche, letterarie, solo per il gusto dell’accessorio (che per caso la tua auto ha i cerchioni in lega?). Rientra piuttosto in una ricerca stilistica legata 1° al significato (spesso etimologico del termine) 2° ai rimandi che la stessa parola può offrire (quindi vere e proprie connessioni storiche) 3° alla musicalità della parola.
    Andiamo verso il 21° secolo è vero. Ma perché bisogna semplificare il nostro vocabolario? Perché un contadino di 100 anni fa deve conoscere più parole di me (pseudo letterato/laureato/imborghesito/civilizzato)?
    Rivaluta la questione del lessico. Come vedi l’arte lo sta facendo. Il giornalismo, la Tv, internet, ecc ecc, no.

  8. @dod: no, non credo che esista un unico modo per tenere in esercizio la lingua. Se ce ne fosse uno solo sarebbe orribile, significherebbe determinare la fine di qualsiasi ricerca creativa. Ce ne sono tanti, più o meno efficaci, possono incontrare i tuoi gusti o meno, si possono criticare, al limite anche disprezzare, se proprio non se ne può fare a meno, basterebbe però tener sempre presente che laddove v’è disprezzo v’è una paura spesso limitante. Personalmente credo che una qualsiasi ricerca espressiva non possa che porsi in termini dialogici con una qualsiasi tradizione (assorbendola, rifiutandola, amalgamandola, riciclandola, etc – queste non sono solo scelte autoriali, sono anche passaggi obbligati di maturazione artistica).

  9. OT

    Viva Giorgio Napolitano, Presidente costituzionale.
    Viva Mario Monti, uomo probo e senatore a vita.
    Viva la nostra Repubblica, ri-nata dalla Resistenza.

  10. mah..né migliori né peggiori di decine di altri testi..ma mi chiedo perché “nuovi inquadernati” mi richiami irresistibilmente “nuovi incarcerati”, anche se la risposta la conosco,: son’io bizzarra e fuori squadra….)); auguri e buon lavoro ad ogni modo..

  11. Cara Eleonora, grazie per questa lettura. Maliconia e rabbia in poesia, oltre ogni polemica, sono l’umana incarnazione dell’oltre e rendono viva ogni parola.

  12. “solo per far pulito” (bel fulmen in clausula). buona parte della poesia, e oltre, parte e arriva da/a questo assunto. indipendentemente dalla quantità/qualità di sporco. e dal nostro rapporto con esso. non è più tempo del “nè migliori nè peggiori” che leggo poco sopra. è tempo di grano e di loglio. e la poesia vera, che sia di officina, di bottega, o di grandi solitudini appartate, torna a fare capolino. non necessita nè di adulazione nè di polemica. necessita di essere, per una volta, letta.

  13. perdonami, dod, ma a me sembra che la poesia abbia bisogno di tutto fuorché di dogmi e aut aut. più che concentrarsi sull’utilizzo di particolari termini, non dovremmo godere del tutto? di come quei termini sono incastonati nei versi? a prescindere da (e non me ne voglia) eleonora.

  14. Complimenti ad Eleonora per questo nuovo stralcio dove la quotidianità diventa reticolo noto in cui scivolare da un gradino all’altro del tempo e della coscienza del nostro tessuto storico personale. Con una lingua che, se si ritagliano i singoli lemmi come un rapitore dell’anonima sarda, possono dire quel che dice dod. Ma se apriamo un po’ la visuale, la lingua è un oggetto che non può e non deve soggiacere a necessità contemporaneiste estranee a chi scrive. Non voglio neppure dire che se si è arcaici si deve rimanere arcaici (cosa d’altronde che non penso di Eleonora).
    Soltanto, il rinvigorimento di un lessico e di costruzioni che innervano la nostra formazione con una sostanza del tutto a noi corrispondente, mi sembra un’operazione degna di plauso e che va perseguita con coraggio nonostante le voci contrarie.

    mdp

  15. Car* dopo aver letto un po’ di commenti, forse è il caso di intervenire, semplicemente per ringraziare tutti i lettori e le lettrici (TUTTI!!) e dire questo: che è operazione criticamente instabile dedurre la lingua poetica di un autore (qualsiasi autore, non solo io) da 6 testi. Questi testi sono infatti soltanto un “prelievo” di “Esodi” che proprio sulla lingua ad ampio spettro trova le sue significazioni . E che la mia lingua è , e solo in alcuni tratti, volontariamente “citazionale” (il livello citazionale di secondo grado): in questo senso uso la “tradizione” per attualizzarla e anche per svuotarla. La seconda cosa è questa: adotto anche un linguaggio domestico, quotidiano, d’uso, quello che tecnicamente i linguisti definiscono “idioletto”. L’ “aggento” del quinto componimento non è un refuso: era il modo di geminare le consonanti proprio di mia nonna (che non c’è più se non in questi versi e in me ovviamente), a cui quella poesia ed altre sono dedicate…. In questo senso la lingua che uso non solo è “domestica”, ma contadina. Infatti confido nell’uso “fabbrile” della poesia. Detto questo, ancora una volta, vi ringrazio TUTTI, eleonora pinzuti

  16. La realtà va sempre messa in potenza, non necessariamente in dubbio. Il pericolo maggiore, invece, mi sembra che stia proprio nel reiterarsi di locuzioni del tipo : “bisogna dire quale realtà abbiamo davanti agli occhi”.

    La poesia di Eleonora mi sembra singolare per controllo linguistico e potenza del verso:

    Se esistesse uno spazio, un tempo rovesciato,
    il ribaltarsi della strada
    il selciato scuro del portone
    tutto sarebbe intatto, non toccato:

    i due squilli, le tue calze e le marie col tè la mattina
    e la bimbona e la bimbina
    e la tua testa che spunta dalla prima finestra
    a sera, per controllare
    se vedi Barbara venire dal mare.

    L’inattualità non è sempre un difetto, se ha un senso. Qui mi sembra che la rarefazioni delle immagini richiedano parole fuori dal traffico quotidiano; vicine ad una tradizione poco frequentata dalla nostra poesia più recente (Montale).

  17. perchè sono qui?
    vicino alla finestra sogno
    porgere tutto
    sotto di fianco alla via dei cani come rombi come elementi
    venato di bianco e luce e pieno di pelle tutto mi contiene
    dolce era acqua e la tua pelle
    da est sopra il ciglio della strada la bianca luce scioglieva la tua mano
    altrove non possiamo che colline e che gelo le macchia
    come stella incosciente luna tramonta e scricchiola come germi
    come semina
    questo inverno mi occupa

  18. Versi distillati e profondi. E puliti (pensando alla “polvere sospesa sul terrazzo”, che “tolgo col dito, / indifferente, / solo per far pulito”). Mi piace.

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franco buffoni
franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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