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Peter Handke viandante carinziano in Friuli

di Erri De Luca e Hans Kitzmüller

Peter Handke è un bambino che ha saputo tutto del mondo e se ne va tra gli adulti raccontando loro qualche dettaglio. I bambini sono spietati nel sapere tutto, ma lui ha una speciale tenerezza per gli adulti e li preserva dallo sgomento. Glielo accenna, ma lo tempera con un po’ di presa in giro. Cosa conoscono i bambini di così intero? Che gli adulti non possono prendere il mondo alla lettera e se lo devono incartare dentro le metafore. Hanno bisogno di interpreti, di oroscopi, di segni.

Peter Handke si siede a una tavola da pranzo dinoccolato e assente. Osserva dal bordo di un paio di lenti le schermaglie di due commensali che cercano di scambiarsi un contegno. Avrebbe voglia di prenderli a palline di pane.

I bambini sanno tutto del passato, tutte le lingue. Lo sforzo che li espella dal sacco di placenta serve a far dimenticare. Per nascere bisogna cancellare, l’uscita ha bisogno di azzeramento.

Una volta gli ho macchiato il legno quasi bianco del tavolo col cerchio di un bicchiere di vino. Si stupì come Cimabue del cerchio fatto a mano libera dall’allievo. Ci ha messo tempo a cancellare l’impronta. Per lo scrittore il tavolo è la succursale dell’altare. In questo sono un poco di buono del mestiere, scrivo sulle ginocchia, anche questa nota su di lui. Anni dopo mi ha fatto vincere un premio letterario, ci siamo ritrovati in riva a un lago. Passavamo da un castello all’altro, da un latifondista a un principe. Gli è venuto di dirmi sotto i baffi :”Ehi, lotta continua!”. Già: non eravamo in visita alla Comune di Parigi.

Abbiamo coinciso in fondo al 1900. Nell’ultimo anno, nell’ultima primavera del nostro secolo, lui e io, ognuno per conto proprio, siamo stati in Belgrado a condividere il suono delle sirene di allarme che precede i bombardamenti aerei. Ho letto le sue motivazioni, più forti delle mie. Per me si trattava semplicemente di questo: so da mia madre che il bombardamento aereo di una città è l’ atto terrorista per eccellenza. Vuole distruggere e terrorizzare il maggior numero di persone inermi, di ogni età, colpite nel mucchio e a casaccio.Questo è terrorismo puro. Bombardare un centro abitato è una infamia e una vigliaccheria, da Guernica in poi. A Belgrado nella primavera del ’99 disertavo dal mio paese complice entusiasta e servile di chi scaricava esplosivo sulle case.

Da qualche parte nella stessa città anche Peter ascoltava la stessa colonna sonora del 1900, la sirena di allarme. Ero solo nella stanza di albergo, nella strada, sui ponti di Danubio e Sava davo il cambio a mia madre ragazza sotto i bombardamenti di Napoli. Le mie motivazioni  di residenza in Belgrado erano minori e meridionali rispetto a quelle di Peter. Non ci è più capitato, ma  restiamo due capaci di coincidere di nuovo dentro un campo in fiamme, stare dalla parte del suolo.

(Erri De Luca)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I paesaggi e gli appunti friulani nelle pagine di Peter Handke non sono certamente un tema legato né ad una determinata fase della produzione né ad un opera particolare di questo autore, sono piuttosto momenti episodici, annotazioni a margine anche casuali. Possia­mo considerare questo argomento anche come una raccolta di curiosità estrapolate dalla vastissima produzione del grande autore austriaco.

In ogni caso sia nell’opera compiuta che nel frammento si ritrova sempre tutto Handke. Argomenti più attinenti alla sua poetica e forse più interessanti e meno localistici potrebbero essere Handke e l’America, Handke e la Fran­cia, la Spagna, la Germania, la Yugoslavia. Si potrebbe parlare anche del Giappone, della Grecia, delle grandi metropoli e dei piccoli paesi… E anche di un’infinità di luoghi che legano l’universo della sua letteratura con il mondo reale, come il ponte sulla Drina, Soria, il Sainte-Victoire, Man­tova etc. Viaggiatore e grande camminatore Handke è in un certo senso uno scrittore ubiquo.

Questi momenti friulani in Handke sono in un primo tempo connessi con l’esplorazione della Slo­venia e del Carso. Certi luoghi friulani appaiono infatti nei relativi scritti per la loro contiguità a quel mondo. In un secondo tempo diverranno episodi autonomi. Tutti sono comunque riconducibili a quella sua ’forschende Literatur’ (letteratura di esplorazione) che ha tematizzato il camminare.

Nel romanzo Die Wiederholung troviamo due significativi riferimenti a Gorizia. Uno è l’accenno a quanto il nonno di Filip Kobal decantasse Gorizia come città straordinaria. Alla domanda perché Gorizia fosse tanto straordinaria – secondo lui Klagenfurt al confronto non era nulla –, il nonno rispondeva però soltanto che c’erano tante palme e che vi erano sepolti i re di Francia. È interessante questa piccola testimonianza sull’immagine di Gori­zia che circolava nel mondo degli sloveni carinziani e che rinvia ai tempi della centralità della città in una regione che comprendeva appunto anche parte della Carinzia meridionale. Il secondo notevole riferimento a Gorizia è più indiretto e appare nel descrivere le condizioni sociali della famiglia di Kobal quando fra gli antenati viene annoverato un personaggio storico ossia Gregor Kobal uno dei capi contadini ribelli del Tolminotto, poi impiccato insieme agli altri sulla piazza del Travnik, a Gorizia appunto.

“Pareva che noi discendessimo per davvero da quel Gregor Kobal che era stato il capo della rivolta dei contadini di Tolmino. I suoi discendenti sarebbero stati cacciati dalla valle dell’Isonzo dopo la sua esecuzione, e uno di loro sarebbe andato a finire in Carinzia valicando le Caravanche… Quel che contava per mio padre, di questa storia, non era comunque il fatto del rivoltoso o del capo, ma l’esecuzione e la cacciata.”

Se già nella terza parte del romanzo, dedicata alla scoperta del Carso vissuto come “Savana della libertà” troviamo riconoscibili aspetti legati al Carso triestino, nel suo testo immediatamente successivo L’assenza ci ritroviamo nel Carso Goriziano. E proprio nei pressi di Redipuglia là dove i personaggi salgono a piedi sull’ altopiano troviamo una bellissima descrizione del panorama che da lì si gode della pianura friulana incorniciata all’orizzonte dalle Alpi carniche e giulie. I personaggi passano poi sul monumento e la fiaba si conclude in una città che si sta ricostruendo dopo un terremoto: Gemona.

Ma già prima, nel Canto alla durata composto contemporaneamente alla stesura del romanzo La ripetizione, avevamo trovato un altro luogo di Peter Handke, il lago di Do­berdò, uno dei suoi principali luoghi della durata, di cui nel poemetto si descrivono aspetti suggestivi.

Dopo L’assenza, a partire dal 1987 i suoi soggiorni in Friuli diventano più frequenti, a questo periodo risale un suo testo L’epopea delle lucciole, ma qualche accenno vi è anche ne Il gioco del chiedere, una battuta in cui si nomina Medea, il paese di Medea che ritroviamo menzionato anche nel suo saggio sulla stanchezza in relazione ad un immagine di concordia fra animali nella stanchezza. Nel Saggio sui Juke-box abbiamo annotazioni legate a Monfalcone e a Casarsa.

Nel suo ultimo grande romanzo, Mein Jahr in der Niemandsbucht, si trovano riferimenti alle colline friulane, ad un amico di Aquileia che abita a San Pelagio sul Carso e che insegna all’Università di Udine. Nella sua trasposizione cinematografica de L’assenza vi è un accenno all’Isonzo e ad un gelso di San Daniele. Si tratta di annotazioni e impressioni di un camminatore instancabile di cui si può veramente dire che abbia attraversato a piedi tutta quella regione che va dalla Jauntal alla valle dell’­Ison­­zo, sino al Carso e al Friuli, annotazioni e impressioni confluite solo in parte nelle sue opere degli anni ’80. Di queste annotazioni e impressioni infatti sono pieni i suoi innumerevoli e inediti taccuini che testimoniano un approccio assolutamente non convenzionale con la varietà paesaggistica e culturale di questa area geografica.

Si lega al Friuli anche la sua collaborazione con la Braitan, la mia piccola casa editrice attiva dal 1984 sino al 2001. Singolare è stata la fortuna del suo Gedicht an die Dauer (Canto alla durata). Uscito nel 1987 da Suhrkamp e successivamente in francese da Gallimard, nel 1988 appariva in versione italiana su suo espresso desiderio, per i tipi della piccola casa editrice friulana, la Braitan.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sconvolgendo le abitudini di un editore artigianale dalle tirature assai limitate, questo ’poeme en prose’ ha già avuto comunque, considerate le note difficoltà che i piccoli hanno nella distribuzione riusciva comunque ad avere un suo discreto successo che si potrebbe definire sommerso e quasi clandestino aldifuori dei canali istituzionali dell’ editoria e grazie ad un vero tam tam dei numerosi estimatori italiani di Handke. E l’adagio habent sua fata libelli è stato il commento con cui lo stesso Handke rispondeva ad un lettera alla notizia dei risultati insperati sottolineando al contempo la coincidenza dell’apparizione proprio in quei giorni della versione spagnola sul quotidiano ’El Pais’ con il titolo Poema de la duraciòn.

La scelta di Handke aveva sue ragioni precise.

Oltre al riferimento geografico (il lago di Do­berdò, uno dei luoghi della durata, si trova appunto nel Carso goriziano), alcuni titoli del catalogo Braitan gli permettevano anche di ritrovarsi con la grande poetessa carinziana Christine Lavant, oppure col suo grande amico Gustav Janusˇ, poeta e pittore sloveno carinziano, ma anche ad esempio con Alojz Gradnik, uno dei massimi poeti sloveni del Novecento.

Ed è stata una consulenza davvero eccezionale quella in fase di editing di una singolare antologia della poesia friulana curata da Ame­deo Giacomini: Wie eine Viole in Casarsa (Come una viola a Casarsa) proposta da Braitan ai lettori tedeschi nel 1987 e ormai esaurita da tempo. Per un controllo della qualità della traduzione tedesca di alcune liriche di Pier Paolo Pasolini la piccola casa editrice di Brazzano si era potuta infatti avvalere nientemeno che del parere di un autore del calibro di Peter Handke. In quell’occasione lo scrittore austriaco era rimasto colpito in particolare da una lirica del poeta di Casarsa tanto da trarne addirittura fonte di ispirazione in alcuni suoi testi.

Si trattava di Mostru o pavea, dove fra l’altro si legge: “No, al è un mostru di speransa / tal vagu disperàt di Ciasarsa”. L’immagine di quel ’vuoto disperato di Casarsa’ ricorrerà infatti sia nella breve Epopea della lucciole del 1987 sia più tardi nel racconto-riflessione Sag­gio sul jukebox del 1989. Handke annotava infatti nella parte finale del primo testo: “…e come naturalmente ho pensato ad un Dio, dopo una giornata pesante, squallida – vedi il ’vuoto disperato di Casarsa’ di Pasolini, che mi si era ripetuto in questo pomeriggio di domenica ascoltando le campane a morto per uno sconosciuto e dando uno sguardo ai quotidiani sportivi sgualciti in un bar di San Giovanni al Natisone…”. Citazione che rivela come quel testo pubblicato in Italia da Guanda nel volumetto Epopea del baleno, sia da interpretare anche come una ripresa della famosa questione delle lucciole.

Ma assai più esplicito è il riferimento a quella poesia nel Saggio sul jukebox in relazione alla sua puntata a Casarsa. Intertestualità letteraria ma anche episodio straordinario per un piccolo editore, la cui traduzione di una poesia si riverberava in nuovi testi innervandosi in questo caso addirittura in alcune delle pagine più note della letteratura tedesca di quegli anni.

(Hans Kitzmüller)

 

(i due testi di De Luca e Kitzmüller, e le foto di Danilo De Marco, sono tratti da “Peter Handke viandante carinziano in Friuli”, omaggio per i 70 anni dello scrittore austriaco, edito dal Circolo culturale “Menocchio” di Montereale Valcellina (PN), collana “Gallo forcello”, n° 67, in uscita in questi giorni; NI ha peraltro pubblicato in passato un inedito di Handke: https://www.nazioneindiana.com/2008/09/24/da-sud-11-peter-handke/)

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5 Commenti

  1. Quando leggo Erri di Luca, mi sembra scavalcare il quotidiano, attraversare una foreste e raggiungere il cuore dell’infanzia. Portiamo dietro la corteccia, il battito della vita. Il bambino ha la grazia di conoscere tutte le lingue. Erri di Lucca e Peter Handke hanno conservato questa memoria viva: sensibilità, poesia, senza l’illusione dell’innocenza. E’ scrittura spietata, con tanta luce, che l’anima soffre e nel tempo immediato cerca felicità anteriore.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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