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Donne sull’orlo di un’invisibile urgenza

di Helena Janeczek

Nell’avventura de Gli Incredibili, la “normale famiglia di supereroi” creata dal genio inventivo della Pixar, il dono dell’invisibilità è attribuito alla più giovane componente femminile. Violetta Parr ha un occhio coperto da una chioma nera, veste sempre di nero-emo, è una tipica adolescente che sconta l’infelicità di non sentirsi abbastanza uguale agli altri. Solo che quando vorrebbe scomparire, ci riesce. Anche sua madre detiene un superpotere che rispecchia il desiderio di molte donne adulte. Helen, in missione Elastigirl, non nutre più alcuna velleità supereroica, però la facoltà di allungare gli arti a dismisura le resta utile come madre di famiglia.
Forse esiste un’età a partire dalla quale alle donne viene chiesta un’elasticità tendente all’infinito, mentre l’invisibilità appare condizione più differenziata. Certo è, come scrive Dubravka Ugrešić in Baba Jaga ha fatto l’uovo (Nottetempo, E 19,00), il suo agro-comico romanzo che cerca di rendere giustizia alle vecchie: “Sì, sulle prime sono invisibili. Vi passano accanto come ombre, beccano aria davanti a sé, procedono lente, trascinando i piedi sull’asfalto, avanzano con passettini da topo, si tirano dietro il carrello, si appoggiano a deambulatori metallici, come un disertore ancora in pieno assetto di guerra.”
Ma la paura di oltrepassare la linea oltre alla quale non può esserci altro che l’impossibilità di suscitare desiderio e interesse, diventando invisibili, rappresenta più un luogo comune corrosivo che un dato di realtà pacifico. Ci sono donne che nascono invisibili e muoiono invisibili – non solo quelle che venivano chiamate “signorine”. Ci sono donne che a furia di tendere ogni muscolo e risorsa verso gli altri, finiscono per ricevere attenzione solo quando smettono di funzionare, quando si ammalano. E poi ci sono territori del quotidiano dove tutte vengono risucchiate in piccoli buchi neri che azzerano le differenze.
Parigi, vacanze di Natale. In coda per l’accesso al Musée d’Orsay, una signora modenese spiega che la vecchia stazione è stata trasformata dal celebre architetto Gae Aulenti. Fare la fila durante la stagione più turistica è un’esperienza noiosa ma unisex. La fila alla toilette è invece un’esperienza del tutto femminile. In attesa nel sottoscala siamo una decina. Per fortuna, nessuna deve farla fare al bambino. Nessuna resta dentro troppo a lungo. Però all’altro capo dell’corridoio non esiste fila. L’architetto ha rispettato i criteri vitruviani di simmetria: quattro bagni per le donne, quattro per gli uomini. Ma poiché i bisogni non sono uguali, l’uguaglianza crea disparità. Quella, tuttavia, la sperimentano solo le donne, mentre per qualche minuto troppo lungo pazientano per scomparire: persino se per caso fossero un architetto di fama internazionale.

pubblicato su
“La Repubblica”, 19 gennaio 2013.

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31 Commenti

  1. Un articolo che mi piace di leggere stasera. Ritrovo lo sguardo acuto di Helena Janeczek, l’originalità della riflessione. Invisibilità. Ombra.fantasma. L’invisibilità è un argomento che mi attrae nel campo della creatività.
    Voce velata. Corpo assorto nella luce. Quando osservo una stanza, un’aula, una strada: c’è sempre un corpo sottile, un’anima silenziosa, camminando. Quando l’invisibilità tocca all’amore, è puro dolore. Ma forse l’invisibilità permette di vivere metamorfosi tranquilla.

  2. Nella parte finale, sinceramente, non è chiaro cosa voglia dire. Ciò non toglie nulla al concetto generale del pezzo – vero quanto si vuole, tanto “risentito” però -, ma purtroppo nemmeno aggiunge (come immagino sia nelle intenzioni dell’autrice).

  3. Trovo giustissimo che vi sia un identico numero di bagni per uomini e donne. La minzione è minzione per tutti. Chi si vuole cotonare la parrucca davanti allo specchio si arrangi.

    • Lucio ma cosa centra la parrucca?, è questione di praticità di indumenti, di postura differente, che richiede qualche minuto in più. Per di più, e molto spesso, le donne recano con se i bambini, che gli uomini non saprebbero gestire a dovere… . Che sciocca conclusine la tua.

      • E poi le donne riescono a lasciare i bagni quasi come li hanno trovati, avendo quelle piccole accorteze che noi maschietti non abbiamo: ad entrare nei nostri bagni c’è da vergognarsi. E questa indole civile esige rispetto anche da chi concepisce gli spazi pubblici.

  4. Grazie @Ares per aver gentilmente rivelato le arcane differenze di ciò che avviene DENTRO il luogo privatissimo, non fuori, davanti allo specchio.
    Grazie a tutti gli apprezzamente e anche le perplessità e critiche.
    Vorrei chiedere a @Francesca, per sincera curiosità, cosa ci vede di risentito in questo pezzo, o forse meglio che significato da’ a questa parola nel contesto.

    • Non avrei dovuto, meglio lasciar macerare nell’incomprensione, certi loschi individui che sopravvivono nonostante tutto. ;o)

      • Come scrissi anni addietro, parlando del Teatro degli Arcimboldi:
        “Vittorio Gregotti ha progettato e realizzato un teatro enorme, 2400 posti, uno dei più grandi teatri per la lirica in Europa, bello, con un’ottima acustica ma con una penuria di bagni per donne che mi fa venir voglia di aprire un capitolo apposito su quanto gli architetti sappiano poco di deiezioni femminili.”

    • Praticamente ha risposto Andrea Barbieri in vece mia, facendo la tara a quel quantum di aggressività nel tono che non avrei mai usato.

  5. Noi alpinisti quando ci fermiamo in gruppo in qualche pubblica toilet (magari di rifugio alpino), se troviamo occupato nel gabinetto dell’uno o dell’altro sesso, non ci facciamo un problema di usare il primo libero, indipendentemente dal disegnetto affisso alla porta. Insomma certe distinzioni ormai valgono solo di massima. All’occorrenza si usano i primi gabinetti liberi. Quanto alla maleducazione, non è raro trovare le toilet intasate dal pacco mestruale femminile…

    • Non siamo tutti alpinisti, ci sono anche tiratori di scherma e di fioretto, gazzelle per la ginnastica ritmica e nuoto sincronizzato, raffinatissimi atleti di pattinaggio sul ghiaccio.. e ogni uno ha il suo stile. ;o)

      • @ares. a maggior ragione. finiamola con i gabinetti distinti per gender. mi ricordano le classi solo maschili e solo femminili del dopoguerra (e naturalmente delle epoche ancora precedenti). che il cesso sia cesso per tutti. 8 cessi per me posson bastare, direbbe lucio battisti. e chi entra in un cesso del Museo d’Orsay, ci stia il tempo che vuole, tanto ce ne sono altri sette. tutto ciò valga anche per gli architetti di grido (strozzato).

  6. Angelini ha ragione, la segregazione urinaria è di una demenzialità assoluta. Tra l’altro diventa un problema enorme per le persone transgender.

    Ma vi è tanto difficile abbandonare quella fonte di orrori quotidiani – talvolta di morte – che è l’ideologia della differenza sessuale?

      • Ares, pensa al non-detto dietro alle classi scolastiche segregate, cioè la supposta diversa abilità cognitiva femminile e maschile; pensa all’educazione agli stereotipi di genere fin negli asili (ruoli, colori, giocattoli, interessi, discorsi ecc.); e pensa, in tema di segregazione urinaria, alla marcatura del corpo in base alle ontologizzate ‘deiezioni maschili’ e ‘deiezioni femminili’.

  7. che bel pezzo scritto in punta di penna, richiederebbe una lettura altrettanto delicata, invece mi viene da alterarmi a leggere certi commenti – no, dico: ma quanto ci vuole a fare il saltino dalla finta uguaglianza scioccherella dell’ugual numero di bagni a, per dirne una, la vera disuguaglianza dei medicinali tarati solo sui maschi? e invece no, bisogna spiegarlo: non si tratta qui della toilette stricto sensu. ma di come differenze fisiologiche (ormoni, massa corporea, età media, ecc.) si intreccino a pratiche culturali (noi “illuminati” possiamo pure pisciare tutti insieme, ma non è che possiamo ignorare quale sia il costume vigente) e a forme della rappresentazione (chiamiatele “sovrastrutture” quanto vi pare, ma il linguaggio non è un’opinione: “signorina”, “zitella” ecc. esistono) finendo per avere effetti realissimi che producono diseguaglianza.

    ops, ho rovinato tutto, mi sono “risentita”!

    • Renata, lei sta facendo una grande confusione.
      La segregazione urinaria non ha alcuna giustificazione razionale, tant’è che nelle nostre case non esiste, ma è imposta pubblicamente da una norma dello Stato.
      Quindi il problema di quella fila non è originato dal non aver compreso che il principio di uguaglianza ha due declinazioni: stessa disciplina tra situazioni analoghe; diversa disciplina tra situazioni diverse. Questa è una banalità.
      Se si vuole scrivere l’articolo femminista, si dovrebbe perlomeno essere competenti, e cercare di evitare quel femminismo della differenza che è stato abbondantemente criticato e superato da trent’anni. Esiste un post-femminismo. Studiate, aggiornatevi invece di marinarvi in una cultura stantia solo perché vi hanno disegnato l’identità con quella cultura. Inoltre sarebbe opportuno utilizzare il concetto di invisibilizzazione per le persone transgender e intersex, non per ingiustificati problemi di una cisgender. Saper scrivere bene non significa scrivere cose intelligente o vere.

  8. eh, mi viene in mente quell’adesivo: “sarò post-femminista nel post-patriarcato” – io posso essere post quanto mi pare, ma se la cultura materiale, sociale, ecc non lo sono cone me, lei capisce…

    comunque, Barbieri, la metta come vuole, questo non è un pezzo sulla “segregazione urinaria” (che comunque è ben altra cosa dalle classi scolastiche segregate: c’è differenza nella differenza, su, cerchiamo di essere sottili), nè tantomeno sulle pruderie di una cisgender

    circa l’invisibilità di trans et alii, ahimé, mi pare che invece la legge e la società nel loro caso ci vedano benissimo…

  9. Provo un attimo – anche per calmare gli animi – a scendere nel mio sottoscala con toilette. Sono anch’io favorevole all’abolizione delle distinzioni di gender cessiche, per ragioni semplici e inclusive cui appartiene anche la considerazione dei transgender.
    E come molte pratico spesso l’atto trasgressivo di avviarmi verso i bagni dei maschi. Però in tal caso capita spesso – e non solo in strutture vecchie – che tocca passare davanti ai pisciatoi aperti o, detti con più eleganza, vespasiani.

  10. “La segregazione urinaria non ha alcuna giustificazione razionale” : quest’appello alla razionalità è molto interessante, mi sembra che sia qui l’impasse (Barbieri, non ce l’ho con lei, anch’io sono d’accordo con un gender continuum e contraria alle classificazioni settarie) – il punto non è il raziocinio, giacché, per es., il razzismo, il sessismo, ecc. non hanno basi razionali, non poggiano su ‘hard data’, da cui non basta provarne l’irragionevolezza e le contraddizioni per cambiare i pregiudizi: essi continuano ad esercitare i loro effetti deleteri perché costruiti su/attraverso un costume sociale e un ambiente emotivo più forti di qualsiasi ragionamento logico

    • Aristotele, con un discorso logicamente ineccepibile, giustificando la schiavitù (e il sessismo e lo specismo) ha scritto: “la natura segna una differenza nel corpo dei liberi e degli schiavi”.
      Insomma le differenze biologiche diventano marker di qualcos’altro. Le teorie che utilizzano i marker sono scientifiche. Allora ci sono persone che fanno il possibile per smontare questi discorsi. Per esempio la biologa Fausto-Sterling si dedica da più di vent’anni a verificare la scientificità delle teorie intorno alla differenza sessuale. Mi sembrerebbe davvero bizzarro suggerire che ciò non serve a nulla e non ha ricadute sul senso comune, sui fatti sociali, sulla libertà degli individui.

      • non è che non serve, è che non basta (un po’ come – mutatis mutandis – ai sostenitori di berlusconi non basterebbero cento sue condanne penali per dimostrarne la mancanza di accountability); per riprendere le sue parole: sono 30 anni e più che i/l femminismi/o in italia in realtà non fa/nno che sguazzare nella high theory che si produce altrove – benissimo: solo che qui i dipartimenti di gender studies (quasi) non ci sono, e lo iato tra ricerca e costume sociale è diventato enorme, per questo salutavo con entusiasmo questo pezzo ibrido. c’est tout!

  11. Umani

    Il deliziosamente
    eclatante scandire dei secoli
    nel flusso delle pulsioni
    e la serenità dopo
    sporadiche urgenze minzionali.
    Uretra corta per le femmine
    e lunga per i maschi.
    Spiegare al carabiniere
    perché lo Stato si chiama Stato
    e frequentare con i baci
    ogni tanto
    le guance spietate
    della forza contrattuale.
    Siamo participio passato
    aggrappati alla vita
    alle nostre cose, casi, cari,
    motivo movente.
    Connessione ente.

  12. Condivido sia la posizione di renatamorresi che quella di Barbieri( e adesso anche quella di Angelini) il ritardo è culturale, il divario tra l’evoluzione della società e le sue consuetudini, educative e non, produce un ristagno culturale che a sua volta genera nuove discriminazioni, che si vanno ad aggiungere a quelle preesistenti non ancora risolte.

    La discriminazione della minzione è insopportabile, è necessaria “un’altra architettura del cesso”, un’ architettura che preveda spazi meglio distribuiti, che garantiscano la privacy di chiunque ci entri. Nulla vieta che i vespasiani verticali vengano progressivamente aboliti per dare maggior spazio alle nuove architetture. I locali dovrebbero essere costantemente arieggiati e sottoposti a sanificazione obbligatoria.

    A questo punto mi sorge il dubbio : vi è una legge che obbliga gli architetti a creare due aree separate per la minzione maschile e femminile, o è una consuetudine che può essere dimenticata da subito ? E’ quindi è possibile fin da subito confidare nell’intelligenza e sensibilità degli architetti ?

    • Sì, esiste. Come per i bagni per gli handicappati, negli spazi pubblici. Conquista di civiltà non da poco. Poi si può discutere (e io, figuriamoci, sono d’accordissimo con Barbieri) sulla insensatezza o meno di bagni separati.
      Anche per questo, dato l’obbligo, ad oggi, di bagni pubblici separati, almeno prevederne di più per le donne. Poi, quando sarà che tutto verrà omologato nessuno perderà nulla.

      • Ah ok, se dobbiamo aspettare il leggislatore stiamo freschi…

        Poi ci sarà certamente chi invocherà la necessità di una consultazione popolare…

        finiremo con il farcela addosso ;o)

  13. Avevo già scritto sopra che la segregazione urinaria è imposta da una norma dello Stato.
    Però bisogna stare attenti a pensare che l’esistenza di una norma renda la segregazione legittima.
    Basta che una persona disabile si chieda per esempio:
    “If I am a woman in a wheelchair and my attendant is a male, where am I supposed to go?”
    perché inizino i problemi.
    Stesso discorso per le persone transgender. Quando purtroppo non si apre la porta giusta del cesso, si apre a mio parere quella del risarcimento del danno per fatto illecito. E’ meglio pensarci prima, quando si costruisce.
    Per esempio questo caso:
    http://www.pinknews.co.uk/2011/07/08/transgender-woman-told-by-sainsburys-to-use-disabled-toilet/
    é terminato con grandi scuse, proprio perché certe risposte sono discriminatorie, dunque l’offesa è illecita.
    http://www.pinknews.co.uk/2011/07/12/sainsburys-apologises-for-transgender-toilet-ban/

    Il gender è una materia molto profonda e difficile da distinguere proprio perché ci costruisce, siamo collocati dentro. Per questo è importante studiare, e le persone che sviliscono le ricerche su questi problemi vanno liquidate con un sorriso.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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