Roberta Durante – Poesie edite e inedite
Da Girini
(Napoli, Edizioni d’if, 2012)poesia a bocca aperta
sono passata all’alta voce (chè l’altra
non me la sento)
mi metto un cuore in pace senza senso
e tuona e sbatte e trema il tono tenta tutto
e tace poco
ghigno ogni tanto a vuoto
(ma senti mi senti?) la voce che ho qui dentro
mi è un ordigno
e fuori campo dice che Tartaglio un po’ la corda
che trito le parole senza sosta
e faccio con le rime ciò che voglio qui sul foglio;
di stare zitta così non se ne parla
non taccio
e in men che non si dica infatti caccio
in mano la parola
che gesticola mi lega e il gusto sposa
ma intanto io m’intano in tante tane
e tra le righe canto in questo modo
(per non sentire solamente il suono)
che sai mi butta un poco sottotono
io che sono
così dodecafobica
resto senza parole e scrivo strabica
le note quelle basse a pie’ di pagina
poi ipotizzo un momentino che poetizzo
ma ci ripenso un poco (e spengo i fari)
(ma vedi mi hai vista?) ho scritto tutto tutto senza
mani
* * *
matrioska
vado contro natura vedo scuro e scrivo
più sicura
sparlo sputo inchiostro mai sragiono
sono in me sono in me sono in me super-me
rimo su per giù gesticolo di lingua
faccio giochi gutturali
testicolo di testa dico sì dico no se no
sposto parole a posto
sgrammatico se è troppo statico
e tolgo il doppio strato arrostito andato
schiantato
riscontro artrosi d’animo
gentile un po’ senile babelico infantile
d’impolso tiro il sasso rompo l’osso poco sacro
e il masso scasso
mi resto in mano e in alto mare
calmi gli altri gli arti gli alti
mi alzo anch’io
ma annaspo affogo e mi ricordo son di legno
che galleggio fino al segno
della fine che fa STOP
* * *
instanza
resto in piedi coi piedi
(e con le mani in mano)
mi hai scucito le briglie ai vestitini
e me ne sto
precisamente nuda (non un filo
coperto)
si alza un poco la fronte
(il naso lo lascio dov’è)
e la mano in bocca non è
la mia
mi tengo qualche voglia
per l’inverno
(e qualche maglia
per non essere rosa carne)
* * *
strada a senso unico
mi frammento anch’io se voglio. voglio
penna pausa lamento
abito (se voglio) senza tracce
in ciabatte
e lotto di classe in classe
riporto (provo) la scrittura
dalle strade al libro
e allontano il contenuto cattivo
a parole però sono forse un po’ poca
una
(troppo poca una parola)
ma ho il cuore dentro
(pure col cappotto)
chi mi trova per strada mi vede sfrontata
di fregi finestre colonne cornici avancorpi campate
ma non sono sfacciata facciata intonacata
piuttosto mi sento navata
* * *
sprigionare
com’è quella questione dell’anima e del corpo?
cogito e vomito e interrompo il coito
l’anima se vuoi mi contagia
la memoria e la storia
ma sulla morte torniamoci dopo
che ora come dire
mi fa rabbrividire
e allora tiro su questa zip
mi chiudo la tuta
e tengo tutto dentro
* * *
tuta rosa
nasco quasi casco al mondo vasto
vedo stanco piango nudo dormo
subito torno zitto poco poi rigurgito
distinguo pianopiano piede naso(storto)
e mano peso lordo quattro chili
(compreso un ciuccio) ciuccio ancora
un poco mi distendo cresco poco e gioco
dondoli e bamboli niente ancora dentini
bianchini piccolini piccole culle coi piedini
colle scarpe con lo stretch vado avanti
e non cammino
* * *
l’anno corre
ho l’orologio sregolato
e il mio tempo è caduto
il cuore ha un suono
e l’uomo muore
non batte più
le ore
* * *
metrittica
non
mi ci metto
neanche
a scriverci
terzine belline
e ballate e quartine
non mi cimento ho detto
ci metto una cimasa e presto scritto
ho messo a questo trittico un po’ storto
la cima che gli devo di diritto
ho un’opera un po’ povera un po’ vera
ma poco pia e poco rea e stasera
meglio che sia più mia che tua
che c’ho le braghe in tela
giusto ormai siamo in mezzo
e in mezzo ci sta la verità
ma questo mezzo non è più giusto
e allora tanto fa’
sbaglio forse e mi disgusto
e salto con un balzo e un nastro a sarto
al terzo benedetto palo e in frasca al fresco
con quest’asta da ginnasta
mi trovo qui per caso quasi a naso
capisco su per giù di stare sotto
nel fitto sottobosco e non mi scotto
ma scosto muschi e arbusti in spazi angusti
e gusto funghi e frutti porcini
e roseti canini e pungitopini
e sento puzza un po’ di piedistallo
rimango in piedi anche se ballo o sbaglio
mi faccio un pediluvio un nudifragio che resto
nuda in cuoio e in cruda sella
quasi dimenticavo
la predella
* * *
cataletto
mi schiodo dall’incubo sono le sei
(o forse più mi schiudo
se mi cova un sogno)
mi accendo gli occhi con due dita:
ed ora legno poco
* * *
serpi e porci
resto nei cipressi a sfogliare giornate
e ad ascoltare in rime sparse il tuono
e vedo passare passanti vestiti in bachi da sera
e io bruco molle di seta
combatto controcorteccia e vedo la stessa fine
come serpe mi mangio la coda
e ritorna l’uguale il maiale
e leggo sui miei tronchi incisi
porchesìe d’amori d’autori finiti infiniti
* * *
durante
se questi qui sono i tuoi fiumi
chiudo gli occhi e col tuffo mi ci ficco
e se mi tocchi dentro
mi ci bagno
ma tutto dura il tempo di un momento
e tendo quest’orecchio e un’eco sento
ed ecco cos’hai fatto mi sei venuto in mente
e io non ci resisto ma per niente
mi manca un mezzo fiato allora insisto
e il tempo tanto breve si è allungato
e tutto circa quasi mi è durato
il tempo relativo di un gelato
* * *
Inediti
ma che peccato!
ti prego cogli occhi ché nei miei ginocchi ho gli specchi (dell’anima)
e se mi ci piego la schiaccio la faccio a pezzetti
ma ascoltami (sii tutt’orecchi) ti prego mercante e come ti prego
e mi dolgo per questi peccati azzeccati commessi
che credo (che spero) di averli rimessi a posto
composti da dove li ho presi di frodo
ma allora se c’era in dispensa la gola nel letto a due piazze l’accidia
e lussuria
ma allora in principio è la fine (che razza di storia sublime)
e tu mi modelli i modelli più brutti ma a tua somiglianza più belli
ci dici puntandoci il dito (ma con poco tatto)
quest’uomo che ho fatto è fottuto
è finito
* * *
esercizi di
mi riproduco dico (non alla lettera alla lettura sì però)
ed organizzo linee piane ma in longitudini lontane lontanissime
(che meraviglia! sono capace credo
come tutti di scrivere del sì e del no
ma sullo stesso foglio)
ma ciò che ho facendo ciò
riduce numerate risme in sismiche rinfuse
e poi refuse restano se lascio a terra le parole sfuse
che uso io così come mi pare
mi piace pareggiare da morire rido da mal di pancia e ti ridico
la faccia ci rimetto a fare rime
che col poemetto sento il botto dentro
e dalla bocca vomito parole
e a ventre aperto poi le metto al sole e non m’invento niente nossignore
ma gioco quello sì
tutte le ore:
* * *
vita da scacchi
al passo muovo ferma il mio piedone
sconquasso a spasso qua tra un quadro e l’altro
qualsiasi cosa tocco la sbatacchio
non faccio apposta a farmi questa strada
squarcio ma senza spada il canovaccio
dov’è segnata a punti la mia vita
e viva vivo io questa commedia
che fatta ad arte a me però preclude
la parte dove attore non ha tregua
* * *
tempi belli per la poesia
penso allo specchio lucida delle mie brame ludica rifletto il mio difetto:
scorgo nell’occhio orbo il fiocco cieco legato stretto
sento col naso storto nell’orto marcio l’odor d’arancio
e con la bocca la mia ristretta che lecca l’acido m’infradicio (ma tutta d’albicocca)
l’orecchio mio non sente il coccio rotto si drizza erto su sé sente le note
se solo se la sente di dar voce
a cose a caso prese a terra poi mangiate
poi cresciute nella testa
sotto forma tanto nota un po’ poetica
* * *
stato
della coscienza mia (che tanto cerco)
intenta alla ricerca scopro infondo
che tutto torna (dico proprio a cerchio)
ed è così che scorgo lo sgomento
alzo il lenzuolo e vedo solo questo:
di venti e passa ore
(colte al volo)
mille ne passo a mo’ di sognatore
* * *
in tanto
Dio come dice tanto “non vuol dir niente”
ecco che hai detto tutto del vuoto dentro:
non basta che dici basta per porre fine
ma in tanto che vivi vedi com’è la vita
* * *
meccanicismo
inizia essenzialmente tutto quanto
e non mi accorgo di un bel nulla in mezzo
eroiche gesta compio ma d’abbozzo
perché non ho pagato mai l’acconto
ed accarezzo il vizio circolare
che del suo effetto è causa e gira tondo
barando sull’economia lineare
ed incrinando rette dritte infondo
con leggi strane il tempo mi punisce
diviene sempre senza dirmi nulla:
è il metro che ho legato alla mia culla
e srotolo il mio giorno che finisce
* * *
parlami ancora
(per Andrea Zanzotto)
ché ancora mi sei vicino
col tuo libricino
dal comodino a un cielo poco arreso e fatto
e poi disfatto imbustato astratto
di ceneri per aria
hai tu quella di quelli che soffocano
amara psiche agraria e levano
e sollevano corpiparole stanti a terra a stenti tra i denti bianchi
ma fiacchi di voce atroce che tanto audace la cacci in rete
e alle ultime rate tace ma poi parla ancora e parlami ancora
di come pattini bene sulle invenzioni con le rotelle oliate alate // 18-10
come ci scorri bene la lingua e scogli niente
conglomerati incastonati e senza utente significante
assente questo ultimo fiatovento
d’acceso inverno
ma interno spento
* * *
segnalibro p. 250
(per Edoardo Sanguineti)
faccio ai libri le mie orecchie (per sentire bene cosa dicono
cosa sono scritti)
e sopra poi così posso farci il verso
e il senso unico
e con il doppio poi (se voglio) ci cambio la direzione
(ma sempre resto a sbattere
tra queste mie quattro pareti a quadretti)
dove scrivo e riscrivo il mio manifesto (tutto il tempo)
il mio testamento
attraverso questo mio telecorpo
che mi registra e mi corregge in tempo reale
buffer e postura astrale poco seria da animale
poi con due tre righe a effetto euforico immediato
(e con lo slancio pratico dinamico)
mi elenco tutta in tutta la mia totalità consunta
dagli inventari che mi hanno fatto per riordinarmi
(etichettarmi e scrivermici sopra
presente assente o rotta ma aggiustante
o rotta ma per sempre)
se poi che srotolandomi m’inceppo e mi sfregio queste sfaccettature
sono fritta prima ancora di impanarmi
e valgo (se valgo) quanto la scritta sull’etichetta
* * *
raccolta
(a Tiziano Scarpa)
la mia raccolta
proprio quasi come quella che fa i frutti i fiori
deve riposare la sua terra giorni mesi
e chissà anni poi negli anni (se davvero voglio fare la poet *)
ma poi riprende me
mi mette a lavorare il campo
di battaglia
ed escono le idee germogli a vanvera
* vedi neanch’io ci riesco
a suffissare in -essa
ché poi se mai mi sbaglio e ormai mi son fissata
sto fresca io con la mia penna alzata
a far la campionessa
I commenti a questo post sono chiusi
mi interessa e ho apprezzato il linguaggio ‘morto’ scagliato lontano dallo scrivente/parlante come da macchinetta che invia messaggi ‘ pubblicitari. reso disinfettato perché si possa ‘ toccare’ senza contaminarsi. non ci sono varchi per passare e non scade questa poetica in nessuna finta patinatura che si fa chiamare ‘ poesia contemporanea’. ha una sua personalità oggettiva che si pone fuori senza avvitamenti e un autoreferenzialismo (sempre provvidenziale quando fertile nel comunicare) al contrario: io non sono io non sono poet[omissis] messo alle strette ridotto all’ osso allo specchio il registro pare definitivo e burocratico con levità autoironica: un bell’ esperimento per cambiare pelle. i poeti o chi per loro non esistono se non – se saran rose – fra cento anni a partire dall’ esordio e faran sentire la loro voce ma non sempre nemmeno dopo morti.
un saluto.
paola
Grazie Paola, hai detto il bello delle cose brutte.
Un saluto a te.
R
queste poesie sono bellissime.
non credo occorra aggiungere altro.
sono perfettamente d’accordo.
la poet* ringrazia davvero
“Instanza” m’ha colpito moltissimo: hai dipinto una situazione in così poco spazio che mi ha fulminato. “Sprigionare” e “Metrittica” mi hanno divertito molto, l’unico problema è che a lungo andare le allitterazioni e la frammentazione stancano un po’, e m’è sembrato di stare sempre allo stesso punto: non sarebbe meglio, (e anche più bello come sfida anche a te stessa) prendere anche altre strade?
Un saluto
Ciao Stefano e grazie. Ti rispondo:
certe volte, forse, bisogna capire quanto vale “lo stesso punto”, rispetto alle “altre strade”. Questo valore che dico non è di certo acquisito ma varia a seconda di quello che uno scrive. Sicuramente non sempre (o magari mai) scrivo “alto”. Le strade però, si sa, cambiano il paesaggio e a me invece piacerebbe -su una stessa strada- vedere tutto quello che riesco. Ecco sì.