Orazio, Carme XI, traduzione di Pietro Tripodo

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
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Versione definitiva
Mentre parliamo, non fedele, fugge:
Tuttavia parliamo, Lidia, e quel tempo
Ora vuoi e interroghi che, bimbo,
già da un’isola di Sirio osserva noi,
orecchie aguzze, rapito.
Coi misteri non tormentarti;
Credo mal si affidi a un domani
Chi vuol esser lieto.
Giusto forse è quietarsi
In ciò che un dio vorrà, se inverni
A noi dia o questo sia l’ultimo
Tra le spiagge che il Tirreno affatica.
Vini gustare, filtrarli. Non so
Vivere altrove, Lidia.
Non far sperare la speranza tua
Che un termine non ha in nessuna pace.
(Orazio, Odi I, XI)
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Dalla nota di Tarcisio Tarquini (paucis amicis 2004)
Ho conosciuto Pietro Tripodo con una poesia, con quella traduzione da Orazio che ho ripetuto non so quante volte a tutti quelli a cui ho voluto comunicare l’emozione intensa che ne provai leggendola su Dismisura (…). Di questa traduzione ho una copia dattiloscritta, e alcuni fogli autografi prova di ripetute stesure, che volli da Pietro e che Pietro mi offrì (…). In uno di questi fogli ci sono anche scritte due date, come a segnare il periodo della composizione, cinque anni: dal 1980 al 1985, l’anno cioè successivo alla pubblicazione che c’era stata nel 1984. Un errore o forse no; forse semplicemente l’indicazione che quello pubblicato non era un lavoro finito, perché Pietro ha avuto fretta di concludere le sue opere e pubblicarle solo quando si è accorto di non avere più tempo per perfezionarle.
(…) E’ troppo facile dire che le traduzioni di Pietro non servivano a condurre nel cuore dei significati del testo ma a costruire un altro testo, ma io ho sempre pensato che per Pietro i versi delle altre letterature fossero il materiale con cui provare la fantasia delle sue creazioni. E che se ci sono poeti che interrogano la natura o i sentimenti per compiere il loro atto di verità, ci sono anche quelli che interrogano altri poeti, altri versi, ma non con l’intento di restituirli alla fedeltà delle loro ragioni o per l’esercizio tutto letterario, quanto piuttosto per cercare in essi un senso e un destino inconsapevoli.
Sono grato di questo post che ricorda un poeta dalle doti non comuni, capace di un lavoro di lima instancabile, coraggioso nel confrontarsi con esempi testuali così alti. Avevo letto questa traduzione-ricreazione-riappropriazione in “Altre visioni” (Donzelli)e capisco quell’emozione intensa di cui parla Tarquini.
Bel post davvero.
Grazie mille di questo testo Davide :)