IL SANTO NATALE (autismi mitografici 3)

di Giacomo Sartori

chaissac_visagedansune croix_1956_60x46_eafb63af4dPurtroppo ogni anno a un certo punto incombe il Natale. Uno si illude fino all’ultimo di essersi liberato dalla reiterazione di quella nefasta tragedia collettiva (ma anche intima), si illude di scamparla, e invece lui si avvicina, puntuale come la morte. Prima vengono il freddo e le giornate corte, e lo scoramento che accompagna i gelidi pomeriggi senza luce, e come mazzata finale si preannuncia l’incubo del Natale. Ce se ne accorge dalle antiecologiche luminarie nelle strade, dalle congestioni automobilistiche, dal pigia-pigia sui marciapiedi, da una frenesia consumistica più isterica di quella abituale, più scaltra, da certe minacciose telefonate dei parenti. Oddio, ci risiamo, ci si dice, rendendosi conto che l’esperienza dell’anno precedente e di quelli prima ancora non è servita a niente. L’uomo non è un animale logico, e quando vuole essere logico è ancora peggio, combina genocidi e altri disastri.

Com’è noto a Natale si festeggia lo scippo della memoria di un tipetto davvero in gamba, una sorta di rasta sveglio e pieno di buone idee (uno di quelli che per ogni cosa ti tira fuori la formula spiazzante), capace di divertenti numeri paranormali (senza peraltro ostentazione alcuna), da parte della più temibile associazione a delinquere della storia dell’umanità, la chiesa cattolica. Come tutti sanno nel corso di quasi duemila anni, nel nome di quel povero cristo finito crocifisso la chiesa cattolica si è adoperata in tutti i modi per fiancheggiare i potenti e per arricchirsi alleandosi con essi. Il tutto dando lezioni di morale a destra e a manca e punendo con pene orribili, spesso anche una morte atroce per combustione lenta, chi resisteva ai suoi precetti. Ora i potenti sono i mercanti di merci e di capitali, e allora la chiesa cattolica ha avvallato la trasformazione dell’antica festività pagana in una fiera mondiale del consumismo e dell’antiecologia. Proprio come in passato è andata a braccetto con i tiranni più spietati e i nazisti, avvallando altri misfatti.

La propaganda della chiesa cattolica e l’aggressivo marketing dei predoni finanziari si sono alleati per proporre annualmente un demenziale rito di purificazione delle coscienze. Presentato come un’apoteosi di pace e di armonia, un’oasi di concordia e benevolenza, di sereno gaudio merceologico, di giocondo godimento culinario. E invece è proprio a Natale, lasciando stare il parossismo consumistico (in barba alla più acuta crisi economica), che nelle famiglie le tensioni e le nevrosi e i livori si ingigantiscono e toccano il culmine. La spirale di odio lievita di solito nella fase dei preparativi, per poi imballarsi nella nevrastenia delle ore immediatamente precedenti, e sbocciare nel colmo degli ingozzamenti (di questo si tratta, evacuato ormai ogni afflato spirituale) veri e propri. Quasi sempre l’epilogo è rappresentato da cazziatoni, litigi, regolamenti di conti verbali, passaggi all’atto (qualche volta si arriva all’omicidio). È proprio il corto circuito tra l’interessata rappresentazione imposta dai poteri religiosi e finanziari (a suon di renne posticce, botticelliani angioletti e telefoni dell’ultima generazione), alla quale molti ingenui abboccano, e la violenza della sordida realtà, ad esacerbare gli attriti, a rendere ancora più esplosive le cerimonie culinarie e gli spacchettamenti. Quante parolacce, quanti insulti, quante maledizioni, quante ceramiche frantumate, quante digestioni interrotte, quanti irreparabili strappi, quanti traumi infantili. Tutto finisce però in omertà. Ed è proprio sfruttando l’omertosa complicità delle famiglie che la propaganda clericale e commerciale hanno ogni anno la meglio. Fino a quando dovremo subire questa impostura?

L’ultimo Natale che ho passato in famiglia è convogliato in un acre litigio con mia sorella. O meglio, lei litigava da sola, io ascoltavo interdetto. Alla fine sono stato scacciato dalla sede – ipocritamente addobbata con vischi e candeline – della cerimonia: la sua abitazione. Indicando con un indice tremante la porta d’ingresso (anch’essa bardata di vischi e palle luccicanti), mia sorella mi ha urlato che non mi voleva mai più vedere. Io e mia moglie abbiamo affrontato la notte proprio mentre le campane annunciavano la fatidica mezzanotte, come due ladri presi in flagrante, come due reietti Il tutto perché avevo osato interrompere una delle interminabili allocuzioni di suo marito per dire che secondo me capiva pochetto della psicologia delle persone. La languida tristezza che provavo (al fondo cova in me un’indole sentimentale) mi impediva di apprezzare la mia immensa fortuna: adesso finalmente ero libero. Avevo voltato pagina, ora ero immune da ogni lusinga natalizia. Avrei potuto campare anche cinquecento anni, mai più avrei subito un Natale in famiglia.

Ogni anno i miei parenti tornano all’attacco, si inventano nuovi argomenti, nuovi allettamenti, nuove scuse. Promesse di piatti succulenti e vini prelibati (manco a farlo apposta proprio quelli che preferisco), poco eleganti allusioni a fastosi regali, a arcadiche atmosfere. Ogni anno mi sento un asino (di un presepio?) al quale si sventoli una grossa carota davanti al naso. Ma intendiamoci, piovono anche accuse di egoismo e disumanità, poco velati ricatti morali, surrettizie minacce. Il bastone che accompagna sempre l’arancione radice dell’ombrellifera, utilissimo per ricordare come stanno davvero le cose. Si direbbe che con la scusa del Natale ogni arma, ogni colpo basso, siano permessi, come in certe selvagge forme di lotta corpo a corpo. Io lascio che dicano e minaccino. Tutto pur di non ritrovarmi davanti quell’affastellamento di inani merci sotto un derelitto cadavere di Abies alba (mozzato senza pietà per il sollazzo dei cosiddetti cristiani), in quel disgustoso odore di cera fusa e carni arrostite e nauseanti torte al cioccolato, quei sorrisi di farisea benevolenza, quei calici di irrequieti liquidi fermenati innalzati in brindisi alla doppiezza. Tutto pur di non ripetere la nefasta dipartita nella notte al suono delle campane cattoliche. Andiamo, andiamo!, taglio corto.

Certo poi si pone ogni anno il problema di cosa fare, scartata a priori l’impercorribile ipotesi famiglia. Purtroppo con l’approssimarsi del Natale gli amici diventano irreperibili: tutti occupati con parentele pregresse o in fieri, ex-mogli, ex-figli, ex cognati, futuri generi, o anche mai nominate prozie, nipoti, seconde cugine. Pure i più selvatici, i più impresentabile, quelli che a stento riescono a tenersi quieti cinque minuti, a Natale tirano fuori una mamma o una sorella dalla quale recarsi. Da non crederci. Uno può anche chiamare tutti i numeri dell’agenda, non troverà nessuno disponibile a farsi due spaghetti o due passi. E i cinema abbassano le serrande. All’estero nessuno ci crederebbe, ma la notte di Natale in Italia chiudono bottega anche i cinematografi. Proprio la serata nella quale potrebbero lavorare di più, accogliendo tutti i saggi come me, tutti i cinema, dico tutti, sono sbarrati. Non parliamo poi delle librerie, delle biblioteche, dei bar, degli altri tipi di locali pubblici. Di colpo non ci sono più locali pubblici: quei pochi aperti sono assoldati al festeggiamento annuale della buona coscienza. E anche le strade, con le loro minacciose luminarie, le finestre leziosamente decorate, gli osceni scorci di psicopatia natalizia che vi si intravedono, sono precluse. Resterebbe forse la televisione, se uno avesse la televisione. O la catalessi del sonno, se uno avesse sonno. E allora non resta che sedersi al tavolo della cucina, e rileggere qualcosa di Seneca. O anche, se si ha voglia di ridere, qualche tirata di Thomas Bernhard.

(l’immagine:  Gaston Chaissac, “Visage dans une croix”, vernice “Ripolin” su vimini e cartone, 60×46 cm, 1956)

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6 Commenti

  1. Ma, tra Seneca e Bernhard, l’ultima scolastica così vicina all’atomismo epicureo, generazione e distruzione nel movimento di luce e ombra…

  2. C’è natale e Natale. Tra la conversione di un simbolo (antichissimo del resto…) nel mangia-mangia, nell’abbuffata della Famiglia e nella sua realtà (simbolica) della Nascita. Rimbaud, tanto per ricordarne uno, auspicava un giorno a venire ‘il primo vero Natale degli uomini sulla Terra…’. Occorre distinguere, non annullare in toto.

  3. Natale 2013

    Da Assente nasce Essente, Natale è la sua festa,
    del trionfo sul Nulla.
    Nell’abisso delle cose
    ci sono i Faraoni,
    le parrucche del 700 e i treni a vapore,
    babbo Natale e la befana ancora no.

    E’ Natale, è improbabile che la patria
    le pensioni d’oro di dicembre le devolva
    a quei brutti delle minime,
    che gli omofobi invitino a cena i gay,
    e che l’assistenza sociale distribuisca alimenti di lusso.
    Gesu Cristo come Berlusconi e il Comunismo
    sono buone intenzioni, se poi se ne fa un uso improprio, non è colpa loro.
    Innocente, modesta, l’italica festa
    del volersi bene, il Natale,
    da salvare dai baci e dai poeti che non sono io.
    (Non sanno scrivere le poesie di natale, sono pericolosi!)

    Qualche filastrocca, canzone, capace di fare la bella,
    alberi accesi , vestiti di eleganti stravaganze umane
    e probabili panettoni scadenti per gli incapienti.
    Il compleanno sociale brinda alla vita, buona o cattiva .
    Mille altre delizie dice il digiuno ci sorridono senza danno,
    accendono il disciplinato desiderio
    e cancellano l’anarcoide appetito : Spirito senza pistole.
    La miserabile grazia della mia arte
    non sa essere micidiale come uno sparo,
    perdonatela.
    Si può essere felici
    nonostante l’infelicità degli altri.

    Voci allegre nella nebbia
    la serena fatica di vivere sta seduta nel mio cervello
    con il suo rosario di natali.
    Una buona dentiera affronta impavida il più duro dei torroni.

    Oh !!! Stella stellina che brilli lassù
    ravviva il tuo lume che nasce Gesù.

  4. “Ed è proprio sfruttando l’omertosa complicità delle famiglie che la propaganda clericale e commerciale hanno ogni anno la meglio. Fino a quando dovremo subire questa impostura?”

    Mi associo all’interrogativo: angoscioso benché retorico. L’alleanza andrà avanti, ben oltre la mia esistenza.
    Ma sono fautrice di una civile e “stoica” tolleranza: il cognato (immagino già noto nei suoi contenuti mentali) va sopportato!

  5. Grazie Giacomo, perdonami se ti do del tu e se nataliziamente ti ringrazio: sono d’accordo con te,su tutta la linea davvero, tra l’altro il pezzo è scritto benissimo oltre che essere contenutisticamente profondo. Bisognerebbe stampare un’immagine del bambinello col cappello di babbo natale, perfetto orrore metafisico e sintesi del 25 dicembre di due millenni circa a questa parte. Quando leggo cose così mi verrebbe voglia di abbracciare l’autore, perchè mi fa sentire meno sola nell’universo e, appunto, almeno tu hai una compagna mentre io sono costretta a tornare all’ostello paterno e a sopportare una, per fortuna sobria,ennesima cena natalizia. I preti di tutto il mondo lo sanno che la loro religione è già finita ma come hai scritto bene: per vivere, questi zombie, devono usare la punta di diamante della pseudosocializzazione contemporanea: il consumismo. Perciò preferisco sempre augurare un buon anno nuovo. E dunque signor. Sartori buona vita anche a lei.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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