Le coincidenze come indizi di ordini desiderati

di Domenico Talia

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In uno dei suoi tanti gialli, Agatha Miller, sposata Christie e quindi Mallowan, fa dire al suo Hercule Poirot che “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza e tre indizi diventano una prova.” Nel suo breve trattato sulle combinazioni costruite dal caso, il postino di Girifalco di coincidenze, cui lui aveva assistito, ne aveva annotato ben 465. Questo dato sarebbe, da solo, sufficiente per sostenere che in quell’anomalo trattato – un quaderno riempito soltanto da una lunga lista di coincidenze – gli indizi e le prove su come il fato possa ingarbugliare le vite delle persone di certo non mancano. Il romanzo (Breve trattato sulle coincidenze, Nutrimenti, 2014) che prende titolo e origine dal quaderno del postino, ha portato il suo autore, Domenico Dara, tra i finalisti del Premio Calvino 2013.

Sugli indizi e le prove che nel libro affiorano come bollicine in una coppa di spumante méthode Champenoise, Dara ha costruito le vicende di un postino che ama impicciarsi degli affari dei suoi paesani, i quali, pur conoscendolo dalla nascita, mai arrivano a pensare che lui sia capace di agire come un minuscolo Deus (ex machina) sul mondo di Girifalco. Si tratta di un piccolo paese calabrese i cui destini, seppure in piccola parte, sono deviati per mano caritatevole e allo stesso tempo un po’ presuntuosa, di un astuto Ulisse della seconda metà del Novecento che compie le sue intromissioni esattamente negli anni in cui l’uomo decise di dimostrarsi capace di mettere piede sulla Luna, pur senza aver risolto i suoi problemi sulla Terra.

Nell’idea del postino di Dara le coincidenze portano ordine, sono epifanie del caso. Seguendo questa ottimistica convinzione, il postino decide che dalle coincidenze che lui osserva e annota deve necessariamente originarsi il bene per i suoi paesani, almeno per quelli di loro che sono brave persone, esseri umili che di solito nessuno aiuta, donne che aspettano l’amore che la dura realtà del paese si rifiuta di offrire loro e che il postino invece può riuscire ad agevolare. La fortuna del postino di Girifalco e di quelli che ricevono i benefici delle sue interferenze, dei suoi spionaggi postali e delle sue falsificazioni letterarie, sta proprio nella sua visione ottimistica del fato. Difatti, il postino ignora quello che Jaques Monod aveva scritto sulla relazione tra gli eventi non programmati e quelli necessari nel suo Il caso e la necessità pubblicato soltanto nel 1970, alcuni mesi dopo la fine delle interferenze del postino sul destino dei girifalcesi o ancora, dal non aver potuto conoscere i lavori sul calcolo delle probabilità del matematico-statistico Persi Diaconis che all’Università di Stanford negli ultimi decenni del secolo scorso ha lavorato ad una teoria delle coincidenze spinto dalla sua idea che “Il vero giorno strano sarebbe quello nel quale non succede nulla di strano.”

Il postino di Girifalco crede che le cose “storte” del mondo siano come i buchi di un calzino che vanno rammendati. Guidato da questa convinzione, lui pratica il rammendo delle piccole esistenze per ripristinare gli equilibri instabili delle vite degli altri e non si cura di dover sfidare il secondo principio della termodinamica che i suoi studi di ragioneria forse gli hanno felicemente evitato, sottraendolo all’influenza dell’inarrestabile e scoraggiante aumento di quella grandezza che va sotto il nome di entropia e che disciplina il crescere inarrestabile del disordine nell’universo e dunque anche a Girifalco che dell’universo è comunque una briciola.

La storia che Domenico Dara ha costruito attorno al postino, guardone benefattore, nasce dalla pulsione che il protagonista ha di spiare la vita degli altri tramite le lettere che spediscono e ricevono, magari quando non può spiare i profumi carnali di Carmela buonodorosa da sotto il balcone o le mìnne di Marianna Fòcaru nascosto dietro una finestra. Dalle prime lettere aperte di nascosto, il postino passa alla fase di copiatura e poi a quella di manomissione, seppure a fin di bene, avendo candida coscienza di cosa sia bene e cosa sia male per i suoi paesani. Materia etica che tocca a lui decidere. Così il postino vive attraverso il suo archivio di lettere ricopiate, di scritti inventanti, di corrispondenze non spedite e di carteggi travisati. Forse è la perdita dell’amore della sua vita, a causa di una coincidenza (la numero 6) che crea un tragico equivoco su una lettera che lui non ha scritto ma che è stata scritta da una mano che aveva la sua stessa calligrafia, la scintilla che fa nascere in lui il bisogno di far ritrovare l’amore a tanti suoi paesani grazie alle lettere che riesce a manipolare. In questo agire s’intravede la maniera singolare che il postino adotta – falsificando la scrittura (le lettere) – nel tentativo, non tanto nascosto, di superare la sempre incombente separazione tra scrittura e vita. Un postino che non riesce a fare le scelte della sua vita, diventa regista di coincidenze tramite scritture che cambiano le vite delle donne e degli uomini di Girifalco. Un uomo semplice che interviene segretamente sulle vicende dei suoi concittadini con la volontà di manipolare la fortuna fino a trasformarla in virtù in un mondo nel quale quest’articolo è carente.

Il romanzo mette insieme centinaia di personaggi dai nomi improbabili, quando non sono onomatopeici, raccontati nelle piccole cose della loro vita quotidiana con un linguaggio in cui i termini dialettali si mischiano continuamente a quelli italiani, senza che ci sia il predominio di un vocabolario sull’altro, per costruire una lingua espressiva sia nei momenti ilari sia in quelli tragici. Una murra di gente che popola la storia di una piccola comunità che diventa soggetto e oggetto delle centinaia di coincidenze che il postino annota e sulle quali cerca di intervenire. Come nel caso di Ciccio il Rosso che attende una risposta per lettera da Enrico Berlinguer a cui chiede una dispensa politica per poter votare, per una volta soltanto, Democrazia Cristiana o come nel caso del Sindaco che ricatta Ciccio e pianifica in segreto la costruzione di una discarica vicino al paese. Sindaco imbroglione che grazie al postino spione verrà scoperto e sbugiardato davanti a tutti.

La narrazione di Dara, più leggera e disinvolta nella prima parte del libro, diventa più meditata nella seconda parte. I pensieri, i personaggi e le azioni si mostrano più consapevoli mentre lo sviluppo del racconto procede. L’agire del postino e dei suoi paesani diviene sempre più ponderato, i pensieri più inclini a considerare le loro esistenze quotidiane nel contesto della, più generale, condizione umana. Destini di piccoli uomini che in molti frangenti assumono connotazioni esistenziali. Vicende che a volte trovano un compimento non necessariamente lieto. La storia di tutti diventa più sofferta e le coincidenze si mostrano più problematiche di quanto si poteva supporre all’inizio. In questa maturazione narrativa il postino compie la sua scelta e si lascia guidare da una profezia di Tiresia che lo porta verso nuovi destini, e forse verso nuove coincidenze.

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4 Commenti

  1. Libro che mi ha catturato fin dalle prime pagine.
    Un libro che nel panorama degli esordienti italiani ha saputo distinguersi davvero, per stile e grazia della lingua.

  2. Apprezzo molto questa recensione colta e profonda di un romanzo che si stacca con grande forza dal malinconico panorama della nostra narrativa, in troppi casi ferma a ripetizioni infinite di particole di vita o a riscritture più o meno eleganti del già detto e fatto. Io l’ho definito un conte philosophique, ma anche un racconto iniziatico e allegorico, per l’intensissima ricchezza delle correnti sotterranee che vi si intrecciano e per la solida struttura filosofica, oltre che narrativa. Lo consiglio a chiunque voglia provare grande gioia nella lettura e scoprire un grande autore, diverso da tutti gli altri.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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