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Pauli e la psiche #1

di Antonio Sparzani

La "torre" che Jung si costruì a Bollingen, sul lago di Zurigo
La “torre” che Jung si costruì a Bollingen, sul lago di Zurigo

Il 24 aprile 1948 fu creato – il progetto era cominciato prima della guerra, ma si dovette rimandarlo – a Küsnacht, sobborgo di Zurigo, il Carl Gustav Jung Institut, come fondazione dedicata alla ricerca e alla cura in psicoterapia, senza scopo di lucro. Ne fecero parte, come membri fondatori, oltre ovviamente allo stesso Jung (1875–1961), Carl Alfred Meier (che ne divenne il primo presidente), Kurt Binswanger, Jolande Jacobi-Székács e Liliane Frey-Rohn, tutti seguaci del tipo di analisi psicologica proposto e fortemente promosso da Jung. Questi formarono una specie di Consiglio direttivo dell’Institut, che si chiamò Curatorium.
D’altra parte Jung da una quindicina d’anni conosceva il grande fisico (v. ad es. qui) Wolfgang Pauli (1900–1958), che in un primo tempo (1932-34) aveva curato e col quale poi aveva mantenuto una straordinaria, e del tutto unica, corrispondenza tesa a cercare e costruire un vero ponte di comunicazione tra fisica e psicologia – loro dicevano, usando una parola inesistente in latino ma creata ad hoc, una “correspondentia” – e tale era la fiducia e la stima che ormai legava i due che Jung gli chiese di fungere da “patron” scientifico dell’Institut, con il compito di garantire che nella pratica analitica seguita al suo interno non si perdessero quei criteri di scientificità che Jung, dopo l’interazione con Pauli, riteneva ormai fondamentali.
Pauli dal canto suo aveva caldeggiato la fondazione dell’Institut, come si può leggere in una lettera del 23/XII/1947 a Jung,

Egregio professor Jung,
in risposta alla sua lettera del 9 dicembre, vorrei confermarLe per iscritto, ancora una volta, che accolgo con grande piacere la fondazione di un Istituto che ha lo scopo di coltivare e promuovere la direzione di ricerca da Lei inaugurata, e do il mio consenso a mettere il mio nome sulla lista dei fondatori. Il convergere delle Sue ricerche verso l’alchimia è per me un importante segno che lo sviluppo tende a una stretta fusione della psicologia con l’esperienza scientifica dei processi nel mondo dei corpi materiali. Probabilmente si tratta di un cammino piuttosto lungo, del quale noi esperiamo solo l’inizio e che sarà connesso con una costante critica relativizzatrice del concetto di spazio-tempo.

e volentieri accetta di diventarne ufficialmente il garante scientifico.
Passano alcuni anni, nel 1956 il presidente è ancora Meier, che si dimetterà dalla carica l’anno seguente. Ma Pauli è assai preoccupato: nell’Institut non si è abbastanza scientifici, dato anche che Jung, ormai ottantunenne, si sta ritirando dalla pratica professionale. Così Pauli prende carta e penna e scrive, in data 22/VII/1956:

Egregio signor presidente,
con grande preoccupazione sono venuto a conoscenza che in questi ultimi anni lo standard scientifico presente nei problemi e nell’attività riguardanti il Curatorium è stato sempre meno applicato.
Nella mia veste di garante scientifico dell’Institut, ritengo mio compito far valere il punto di vista delle scienze della natura, e sono quindi a richiedere ufficialmente a Lei, quale Presidente, alcuni chiarimenti.
Mi e ben noto che accanto all’aspetto scientifico della psicologia vi sia quello delle scienze dello spirito, ma non ritengo sia mio compito occuparmi di questo. E a questo proposito vorrei far osservare che mentre prima la psicologia veniva senz’altro annoverata tra le scienze dello spirito, è stato proprio C.G. Jung che ha sottolineato il carattere scientifico delle proprie idee e che proprio seguendo queste ha potuto costruire con i suoi lavori una contiguità tra la psicologia dell’inconscio e le teorie scientifiche. È mia opinione che questo passo in avanti sia ora messo in pericolo dal comportamento pratico della direzione del C.G. Jung Institut. Prendiamo per esempio la questione della valutazione dei risultati dell’attività didattica accademica del Presidente. Ho dovuto constatare con sorpresa che è stato seriamente preso in considerazione il criterio aritmetico-formale del numero di frequentanti, indipendentemente dalle richieste che il docente pone al frequentante. Un’idea così assurda richiede una urgente correzione, da qualsiasi fattore sia stata provocata. È infatti un’ovvietà per qualunque scienziato, o matematico, che l’unico criterio sensato per il successo di un’attività didattica sia il numero e la qualità degli studenti che di quell’attività hanno beneficiato. Le chiedo dunque anzitutto di informarmi su quali siano gli studenti in grado di utilizzare in maniera autonoma, praticamene o teoricamente, la psicologia appresa da Lei. (Non parlo qui degli analisti, dato che la loro formazione non proviene dal Suo corso). Sarebbe poi di particolare interesse sapere se tra questi ve ne siano alcuni che Lei raccomanderebbe per lavori scientifici che Lei non ha tempo di eseguire. Un’altra domanda riguarda il livello intellettuale generale della prassi psicoterapeutica. Qui sta il maggior pericolo, che essa si abbassi a una produzione in serie completamente ascientifica, che sia governata solo da un principio formale-aritmetico (a sfondo economico), nel quale – nel tempo a disposizione – si riesca a trattare (o “sbrigare”) col minimo dispendio di pensiero e il maggior numero possibile di pazienti. Prima si presentava ancora, per il terapeuta, la necessità di pensare, nel caso il paziente non facesse facilmente progressi. Cosa che oggi è scarsamente necessaria, dato che col metodo della produzione in serie il medico può ben permettersi di mandar via con decisione quei pazienti che minacciano di chiedere troppo al suo apparato pensante. Così, a causa della forte richiesta di medici, si instaura, al posto di una personalità individuale del medico, sempre più una sorta di coscienza di gruppo degli psicoterapeuti. Per quel che sono le mie esperienze (nella misura in cui ciò sia in linea di principio possibile con i terapeuti fuori dal loro gabinetto di studio) tutto questo si risolve in un atteggiamento egocentrico del medico nella “sua” – rispettivamente “nostra” – relazione con il paziente e nella sua (del medico) totale estraniazione dai normali e naturali prodotti dell’inconscio (sogni, fantasie, ecc.) che non si verificano nella “sua” relazione. Ma è proprio il loro studio scientifico che dovrebbe formare la base per la conoscenza dei disturbi nel normale svolgersi di questi fenomeni nelle neurosi e in altri diversi casi patologici. Trascurando completamente questa zona di normalità nell’uomo moderno (e non parlo qui di miti, fiabe, storia delle religioni o altro) il C.G. Jung Institut appoggia una progressiva completa eliminazione del carattere scientifico delle di idee di C.G. Jung in fatto di psicologia nella pratica psicoterapeutica reale, che dunque assume il carattere ascientifico di una produzione in serie. Pongo perciò ancora – con preghiera di chiarimenti in merito – il problema generale di quali misure l’Istituto C.G. Jung intenda prendere per combattere – almeno per ciò che attiene ai suoi membri – le aberrazioni e in generale gli abusi dell’odierna pratica analitica.

Da un lato queste righe mi sembrano stranamente moderne – anche nel campo analitico esiste il pericolo della “produzione in serie” – dall’altro mi sembrano testimoniare la forza con cui un fisico teorico di livello altissimo come Pauli sosteneva la possibilità di un modo “scientifico” di affrontare i problemi psicologici.
Il seguito di questa lettera alla prossima puntata.

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3 Commenti

  1. Giovanni Verga fu il primo “traditore” del Verismo. Ricordo sempre questa forte affermazione da parte del mio insegnante di Lettere al Liceo, affermazione che poi divenne chiara a tutti quando egli aggiunse che il genio di Verga era tale che non era possibile districare il suo intervento e la sua *persona* dai fatti che lui raccontava, e questo in contrasto coi princìpi del Verismo che furono poi teorizzati e applicati da altri autori, fino a sfumare in un’assoluta spersonificazione e grigiore letterario nelle ultime prove di quel fecondo movimento.
    Ho scritto questo perché anche qui, in relazione alle preoccupazioni di Pauli (genio fisico) che scrive a Jung (genio psicanalista, letterato, scrittore e divulgatore eccezionale) non si può sperare che la grande personalità creatrice o costruttrice di una scienza o di una nuova arte, possa passare dalla “testa” agli altri organi (i membri dell’Institut) senza che tra di loro ci siano altre forti e geniali personalità.
    Tra Jung e Pauli la *poesia* della mente e la *poesia* della materia si incontravano senza soluzione di continuità. È come assistere al fascino del Big Bang a ritroso, dove tutte le scienze ed arti e pulsioni tentano di essere spiegate e allora le caratteristiche di un’attività umana si mescolano alle altre e *di fatto* i linguaggi si amalgamano, la scienza presta parole all’anima, la psiche presta parole alla musica, la musica alla fisica, la meccanica quantistica all’etica e alla morale. L’uomo stesso è una specie di piccolo universo unito nella sua forza originaria da un miscuglio divino e mortale e quando è deflagrato (come il primo nucleo dell’universo) si è suddiviso nelle arti e scienze le quali si guardano e si guarderanno sempre, nella storia, con un misto di repulsione e attrazione.
    La preoccupazione di Pauli è la preoccupazione di un’anima elevata ma resta una testimonianza di un uomo il cui genio non può essere insegnato. E così Jung, per quanti istituti si possano intitolare a lui, non sarà che un faro a cui attingere ed è tanto se i suoi allievi (tra psicologi e psicoterapeuti, da allora fino ai giorni nostri) possano trarne degli insegnamenti.
    Per finire questo mio piccolo excursus, chiarisco che essendo uno scrittore catapultato nell’arte da studi scientifici (fisica, analisi matematica ecc ecc) non posso non aver fatto meraviglioso tesoro degli uni e degli altri così come Jung (quando NON trattava con gli scienziati in senso stretto) all’inizio della fondazione del suo pensiero, fu ai poeti che si *rivolse* perché sapeva che i tesori della psiche umana erano stati scritti e fissati e immaginati da una creatura che aveva già due milioni di anni ed era naturalmente più *esperta* a fornire idee affascinanti a una scienza che stava nascendo e che ha da poco passato il suo primo secolo di vita.

    Consiglio, a questo proposito, la lettura di un bellissimo, breve saggio di Jung, pubblicato anche da Bollati-Boringhieri: PSICOLOGIA E POESIA.

  2. Grazie per questo articolo, Antonello. Mette voglia di saperne di più, di continuare la lettura. Ancora.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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