Tomàs

tomas  di Edoardo Zambelli

Andrea Appetito, Tomàs, Effigie, 2017, 170 pagine

Mi sedetti sotto una grossa trave e chiamai di nuovo Tomàs. Gli gridavo di entrare. Tanto non avrebbe visto niente. Il cielo era diventato così buio. Ma Tomàs non rispondeva. Allora uscii e vidi che era andato via. Al suo posto c’era il cannocchiale, abbandonato sul prato. Mezz’ora dopo la bufera finì. All’improvviso. E tornò il sereno. Forse anche Tomàs sarebbe tornato all’improvviso. Così come era sparito.

Tomàs, romanzo d’esordio di Andrea Appetito, inizia con due eventi che si verificano a breve distanza l’uno dall’altro. Un’apparizione e, subito dopo, una sparizione. Una nave compare al largo di una mai nominata città e Tomàs, di lì a breve, scompare.

Tutto quel che segue è, in breve, il racconto di una presa di potere. Luka Stratos, partito dal niente, è riuscito col tempo a conquistarsi sempre più sostenitori, e adesso è pronto a mettere in atto quella che è, a tutti gli effetti, l’instaurazione di un regime dittatoriale. Ciò che ne viene fuori è, inevitabilmente, un’ondata di violenza che in breve sconvolge l’intera città. E in tutto questo troveranno posto oscure profezie, visioni, incendi, e l’incombere di un’eclissi solare che accompagneranno la storia fino all’ultima pagina, in una deriva finale che molto ha in comune con una tragedia greca.

Sette voci si alternano a raccontare la propria versione di ciò che accade.

Mio padre era il padrone di tutte le taverne. L’uomo più ricco e potente della Città, ma all’inizio non era nessuno. La fortuna di mio padre cominciò con la chiusura del porto, quando gli stessi proprietari lo riempirono di sabbia, perché non gli conveniva più tenerlo aperto. E per fare questo si servirono di mio padre.

Il dipanarsi della trama è quasi spartito in due. Nella prima metà, il romanzo si preoccupa di raccontare ciò che lega i personaggi parlanti, poi, nella seconda, si concentra invece a spiegare le origini e i modi della presa di potere. Vi è quindi una sorta di passaggio da una dimensione individuale a una dimensione collettiva delle vicende narrate.

La cosa che subito colpisce del romanzo è la sua (voluta) vaghezza. Impossibile risulta collocare la storia e i suoi personaggi in un periodo storico o in un luogo ben precisi. L’intera geografia del romanzo è fatta di poche, deboli indicazioni: ci sono il bosco, il porto, il faro, il ghetto, la zona elettrificata e così via. I personaggi si muovono quindi in uno spazio e in un tempo che, proprio perché incollocabili, sono collocabili un po’ ovunque e, a mio avviso, proprio in questo risiede uno dei punti di forza del romanzo. Nella sua capacità, cioè, di rendere la storia raccontata una storia universale.

L’instaurarsi di una dittatura è, in effetti, un qualcosa che è gia successo, succede, e purtroppo potrebbe succedere ancora. Magari con le stesse modalità descritte nel romanzo, magari no, ma questo poco importa. Quello che è importante è che Andrea Appetito, nel suo romanzo, seppure non in modo evidente, ha fatto sì che la storia raccontata sia carica di un’urgenza morale che la accosta e la fa dialogare con la Storia.

Un’ultima considerazione per il modo in cui il libro è costruito. In questo senso è interessante rilevare che, pur essendo un romanzo ricco di rivelazioni, queste vengono presentate al lettore senza le astuzie di una narrazione “a colpo di scena”. Mi spiego. La narrazione nasconde molti segreti che andranno svelandosi pian piano nel corso della storia. Ma gli svelamenti avvengono, per così dire, attraverso minimi scarti. Nei cambi di voce può succedere che un personaggio sappia qualcosa che quello che parlava prima non poteva sapere, o che abbia visto qualcosa che l’altro non poteva vedere e così via.

La scrittura, semplice e scarna, si fa funzionale a questo dire per brevi accenni, al continuo colmare le omissioni che si intrecciano fra un personaggio e l’altro. Tutti, chi in un modo chi un altro, legati alla figura di Tomàs. Tomàs che, è bene dirlo, è il principale motore dell’azione, in certo modo determina i destini di tutti gli altri, ma è l’unico di cui il lettore non sentirà mai la voce.

Capii che c’era poco tempo e poi sarebbe stato un inferno. Cominciai a correre. Più veloce che potevo. Più veloce delle lancette del comandante. E mentre correvo sul sentiero mi ricordai di Tomàs. Della sera in cui l’avevo incontrato. Non avevo mai sentito un’intimità tanto grande con un altro essere umano.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Soldi soldi soldi

di Romano A. Fiocchi
Poema sinfonico, inteso quale intreccio di liriche di varie misure dove le parole si ripetono come motivi musicali, ogni volta modellati diversamente e sempre più vicini al perfezionamento dell’immagine.

L’orgoglio della modestia

di Gianni Biondillo
Per i razionalisti il tema era, a parità di risorse a disposizione, progettare una casa decorosa per tutti. Indipendentemente dal censo o dalla classe sociale. Era una questione etica non estetica.

Lo spettro della solitudine

di Romano A. Fiocchi
Qual è il tema portante di questo romanzo psicologico? Credo sia la nevrosi di colui che è poi il protagonista assoluto, Paolo. Nevrosi causata dall’episodio terribile a cui ha assistito da bambino.

Le ripetizioni

Gianni Biondillo intervista Giulio Mozzi
Ne "Le ripetizioni" c’è un episodio di reviviscenza della memoria che si dimostra fallace. Mario, il protagonista, ricorda perfettamente una cosa falsa: è una metafora della letteratura? Vero e falso non hanno significato, sono solo scrittura?

Ci vogliono poveri, Momar

di Romano A. Fiocchi
La scelta della forma ‘romanzo’ e la collaborazione di due autori dalle origini culturali differenti è la formula ideale per coniugare caratteristiche altrimenti in contrasto tra loro, come ad esempio il rigore della ricostruzione storica degli anni Settanta – periodo in cui si svolge la vicenda – con la semplicità quasi primordiale del linguaggio.

Ciao ciao Clarissa

di Francesca Ranza
A Clarissa non importa di uscire bene in foto e la giornalista è preoccupata, molto preoccupata: con questo atteggiamento menefreghista non andrà da nessuna parte.
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: