Magellano

di Edoardo Zambelli

Gianluca Barbera, Magellano, Castelvecchi, 2018, 237 pagine

Io, Sebastián del Cano, el Perro, lo confesso, qui, ora, per la prima volta, ho tradito il mio comandante e ammiraglio, Ferdinando Magellano, nel più abietto dei modi, anche se non fui il solo. E per questo tradimento, così abilmente e vilmente occultato, mi sono appropriato degli onori, della gloria e delle ricchezze che a lui solo, Ferdinando Magellano, sarebbero spettati per diritto terreno e divino.

Queste poche righe si trovano nel prologo del nuovo romanzo di Gianluca Barbera, Magellano, uscito da poco per l’editore Castelvecchi. E già qui si possono trovare degli elementi di continuità con il precedente romanzo di Barbera, La truffa come una delle belle arti, uscito due anni fa. In certo senso, infatti, anche questo nuovo libro si apre con la dichiarazione di una truffa, una truffa questa volta molto più grande, e molto più vera: una truffa ai danni della Storia.

Come il titolo lascia immaginare, la vicenda raccontata è quella della spedizione di Ferdinando Magellano alla ricerca del passaggio che dal Sudamerica avrebbe consentito la navigazione verso l’Oriente. A raccontare in prima persona il viaggio non è Magellano, ma Sebastián del Cano, uno dei pochi sopravvissuti alla spedizione.

Inutile dilungarsi troppo sulla trama, che per quanto avviata a un’ovvia conclusione (la storia è quella) riserva comunque sorprese che sarebbe un peccato anticipare. Mi limito ad accennare a come la figura di Magellano emerga in tutta la sua profondità attraverso il rapporto che instaura con il protagonista (basato sostanzialmente su una fiducia e una stima mal riposte) e come a sua volta il protagonista emerga attraverso il suo rapporto con Antonio Pigafetta, il geografo italiano, anche lui partecipante alla spedizione e tra i pochi superstiti.

Romanzo storico, quindi? Sì e no. Certo, la ricostruzione storica è impeccabile (particolarmente impressionante la conoscenza da parte di Barbera del gergo marinaresco), in alcuni punti sono i personaggi stessi a “dilungarsi” in racconti che delineano il contesto storico e narrano le passate esperienze di Magellano. E poi, più banalmente, è storico se si considera il periodo in cui la narrazione è ambientata.

Detto questo, però, Magellano si presenta soprattutto come un romanzo d’avventura. E in questa definizione, io credo, si trova anche l’aspetto più interessante dell’operazione di Barbera: una sorta di svecchiamento, o forse sarebbe più giusto parlare di aggiornamento, dei modi della narrazione d’avventura. Aspetto, questo, evidente tanto nel passo del racconto – avvincente, senza rallentamenti – quanto nel linguaggio usato, che se da una parte si “immerge”, per così dire, nell’atmosfera storica e ammicca a modelli di riferimento facili da intuire (Stevenson e Salgari su tutti), dall’altra si concede spesso scivolamenti che lo riportano ad una lingua più vicina alla nostra di oggi.

Credo quindi di poter dire che l’abilità di Barbera sta nel raccontare, insieme, una storia e la Storia, senza mai far sì che l’una prenda il sopravvento sull’altra.

Ho iniziato individuando un tema (la truffa) che crea un ponte, una linea di continuità con l’opera precedente di Barbera e adesso ho parlato dei modelli che hanno ispirato questo nuovo libro, accennando a Stevenson e Salgari (ma anche Conrad, Melville e Mari). Ci tengo però in ultimo a precisare una cosa: che questo romanzo assomiglia, più di tutto, ad un romanzo dello stesso Barbera. E non è solo una questione tematica, ma tutto un insieme di componenti. Innanzitutto la componente linguistica (ho già detto della mescolanza tra lingua di ieri e di oggi, così come ne La truffa come una delle belle arti la lingua era continuamente contaminata da inserti dialettali). Anche in Magellano, poi, sono presenti divagazioni, a dire il vero meno che nel romanzo precedente, che della divagazione faceva uno dei suoi pilastri strutturali. C’è, ancora, l’uso di una certa comicità, spesso grottesca, che si ritrova intatta dal precedente romanzo. E più in generale c’è un passo che denuncia l’amore per la narrazione pura, per la semplice volontà di raccontare una storia.

Avventura, ritmo, divagazione, comicità, amore per la trama e cura della lingua: sono i tratti che consentono di tracciare un profilo di Barbera come narratore. Ed è il caso di dirlo, è uno dei più bravi e divertenti in circolazione.

 

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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