Testimony. The United States (1885-1915): Recitative

di Charles Reznikoff

traduzione e cura di Giuseppe Nava

Accanto a Louis Zukofsky e George Oppen, Charles Reznikoff (1894-1976) è stato una delle figure fondamentali del movimento poetico dell’Objectivism, che si formalizzò negli anni ’30 con un manifesto pubblicato sulla rivista Poetry e poi con una casa editrice dalla vita breve, Objectivist Press. Con Pound e W.C. Williams come figure di riferimento, gli oggettivisti si dichiarano comunque parte del Modernismo americano, e propongono una poesia in cui il significato non è “dichiarato”, secondo una definizione dello stesso Reznikoff, “ma suggerito dai dettagli oggettivi e dalla musicalità del verso”.

Reznikoff pubblicò numerose raccolte, spesso a proprie spese, ottenendo in vita pochissimo riscontro. Di formazione avvocato, scrisse quelli che sono i suoi lavori più rinomati proprio a partire da testi legali. Uno di questi è Holocaust, in cui Reznikoff mette in versi testimonianze estratte dalle pagine dei processi di Norimberga (a oggi si tratta della sua unica raccolta interamente tradotta in italiano, ad opera di Andrea Raos per Benway Series).

Lo stesso procedimento è alla base di Testimony, lavoro a cui Reznikoff si dedicò per decenni. Collaborando alla realizzazione di un’enciclopedia legale, consultò migliaia (letteralmente) di pagine di trascrizioni di processi avvenuti tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Dai casi che reputava più interessanti estrapolava le testimonianze – le “versioni dei fatti” – e le rielaborava in testi poetici, che nella prima edizione (1934) consistono essenzialmente in prose poems narrativi. A partire dagli anni ’50 e fin quasi alla morte, Reznikoff riprende in mano il lavoro, rielaborandolo radicalmente ed ampliandolo. Due “porzioni” dell’opera verranno pubblicate nel 1965 (dalla New Directions) e nel 1968 (stampata in proprio). L’edizione definitiva, il cui titolo completo è Testimony. The United States (1885-1915): Recitative, verrà pubblicata nel 1978 dalla Black Sparrow Press. In questa seconda versione i testi originali vengono messi in versi, con un’operazione che potrebbe richiamare la versification di Genette (si veda la definizione in Palinsesti, anche se l’adattamento degli originali operato in questo caso pare essere più complesso). In questo modo Reznikoff lavora sull’enfasi dei momenti narrati, più o meno accentuata a seconda della lunghezza dei versi, molto variabile. E restituisce inoltre un certa cadenza discorsiva, rimarcando l’origine orale dei resoconti; non per nulla il sottotitolo dell’opera è “recitativo”.

Testimony è suddiviso in periodi storici (1885-1890; 1891-1900; 1901-1910; 1911-1915) e ciascun periodo in zone geografiche (Sud, Nord, Ovest). All’interno di queste partizioni le poesie, quasi sempre senza titolo, sono raggruppate secondo categorie tematiche ricorrenti: Bambini, L’età delle macchine, Negri, Scene domestiche, Vita sociale tra le più frequenti. Reznikoff ricostruisce così tre decenni di storia americana “dal basso” attraverso racconti tremendi di miseria, violenza, criminalità, riportati con uno stile laconico e disadorno in quella che Charles Simic ha definito una “anti-epica”.

L’aspetto centrale e più affascinante di quest’opera è senz’altro la figura del testimone, con tutte le sue implicazioni, non ultimo il rapporto con quella del poeta. Reznikoff predilige il racconto del testimone perché di fronte alla corte “what matters is the fact of the case, what the witness saw and heard, not the witness’ feelings about, or interpretation of those facts”; e infatti non sappiamo mai “come va a finire”, non conosciamo il verdetto del giudice. Fedele al dettato oggettivista, Reznikoff si astiene da commenti, morali o conclusioni di ogni tipo; non “dice” ma “mostra” ciò che è stato, lasciando il lettore a vedersela con le peggiori espressioni dell’umanità.

*

Ragazzi e ragazze

Woods, un uomo di colore, lavorava
in una miniera di carbone; un uomo pacifico
di indole tranquilla.
Un ragazzo di colore orfano
di circa dieci anni
viveva con lui.

Il ragazzo aveva l’abitudine di scappare.
A volte Woods lo puniva
con un frustino; altre volte lo metteva in un sacco di iuta –
aveva due o tre buchi –
e lo legava dentro.

Woods lo mise nel sacco in un giorno di luglio.
Alcuni suoi conoscenti vennero alla casa
con una brocca di whiskey
da cui bevvero tutti;
e il ragazzo fu lasciato nel sacco per molte ore.

Quando aprirono il sacco il ragazzo era morto.

*

Tilda era solo una bambina
quando cominciò a lavorare per i Tell.
Sua madre era morta
e suo padre aveva abbandonato la casa.
Quando, come succede alle donne,
ebbe per la prima volta il suo malessere mensile,
era spaventata
e ne parlò con Mrs. Tell:
“Questo è male”, disse la moglie del fattore,
“e pericoloso:
potresti diventare pazza e morire.
C’è solo una cosa da fare:
lavorare sodo!
Lavora più che puoi
e guarirai!”

Si svegliava alle cinque del mattino
e stava in piedi
fino alle dieci o undici di sera:
ogni giorno mungeva quattordici mucche;
portava acqua, in salita,
per quaranta maiali;
scavava e raccoglieva
patate dal campo;
e aiutava a cucinare per una famiglia di otto;
spazzolava i pavimenti
e si prendeva cura dei più piccoli –
faceva il lavoro
di due ragazze robuste.

*

Due tram agganciati tra loro stavano arrivando
e il ragazzo dei quotidiani saltò sul primo
per “strillare” i suoi giornali.

Poi si mise sull’ultimo gradino della prima carrozza,
timoroso di saltare giù,
per paura che il vagone agganciato
lo potesse investire.
C’erano persone all’angolo dell’incrocio
che aspettavano per salire,
e il controllore lo spinse giù dal gradino –
e finì
sotto le ruote della seconda carrozza.

***

Vita sociale

Lo straniero era arrivato in città quel giorno:
un uomo sui quaranta, con un braccio solo,
siccome era zoppo
camminava in modo singolare – per qualcuno comico;
parlava con accento irlandese.

Joyce e un amico stavano bevendo in un bar
e lo straniero bevve qualcosa con loro,
ma, dopo un po’,
Joyce cominciò a stuzzicarlo e prenderlo in giro
e quindi venne alle mani:
gli afferrò il berretto
e continuò a schiaffeggiarlo in faccia e in testa –
finché uno degli avventori non lo fermò
dicendo allo straniero che Joyce era davvero “un bravo ragazzo”
e che non intendeva fargli alcun male.

Quando il bar chiuse per la notte
e il gestore e i clienti se ne andarono,
Joyce e il suo amico afferrarono lo straniero
e lo trascinarono al carcere del paese –
o “il gabbio”, come lo chiamavano –
fingendo di arrestarlo;
e là Joyce tirò fuori il suo coltello
e gli fece credere di volergli tagliare la gola.
A questo punto lo straniero riuscì a staccarsi da loro
e corse a un vicino negozio –
era ancora aperto –
e chiese al proprietario di proteggerlo.
Ma anche il negozio stava chiudendo,
e quando il proprietario e lo straniero uscirono insieme,
Joyce, con in testa il berretto dello straniero,
era alla porta,
seduto su un gradino.

Joyce si alzò
tenendo tra le mani un grosso cartello stradale, sollevato
come per colpire lo straniero,
e camminava in tondo,
spazzando i piedi sul terreno come per dargli un calcio
e facendo versi,
mentre l’amico di Joyce rideva seduto su una scatola.

Il proprietario del negozio disse loro di andarsene
e di non tirare in piedi casini
e quindi andò via.
Ma poco dopo lo straniero lo raggiunse di corsa
mentre Joyce e il suo amico gli lanciavano contro pietre e bottiglie
finché una pietra lanciata da Joyce
colpì lo straniero in testa
e gli fratturò il cranio.

*

Lei aveva circa diciannove anni; non aveva una casa propria
e per la maggior parte del tempo lavorava come domestica.
Quando non lavorava stava con la sua matrigna.
Anche il padre di Ned viveva nello stesso posto
e la convinse ad andare da Ned –
circa venti miglia fuori in campagna –
per dare una mano in casa
visto che la moglie di Ned – da un giorno all’altro – avrebbe partorito.

Ned l’accompagnò alla sua casa. Aveva portato con sé una bottiglia di whiskey
e le aveva offerto un sorso,
e lei cominciò a sentirsi a suo agio.
A circa due miglia dalla casa
si era fatto buio
e lui cominciò a insistere che lei scendesse dal calesse insieme a lui
ma lei non voleva. “No, signore, non sono di quel tipo!”
Lui rispose di essere del tipo che, quando vuole qualcosa,
la ottiene;
la tirò giù dal calesse,
la buttò per terra,
e la tenne giù in modo che non potesse alzarsi.
Lei si batté duramente,
gli diede schiaffi e morsi,
ma tutti i suoi sforzi
furono vani.

Proseguì con lui alla casa –
cos’altro avrebbe potuto fare? –
e rimase circa undici giorni
e poi si confidò con la suocera di lui.

Difficilmente poteva aspettarsi aiuto o compassione
dalla sua matrigna.

***

Bambini

Il giovane e sua moglie erano separati
ma avevano una figlia
e la madre tenne la bambina con sé.
Era difficile per lei mantenere la bambina e sé stessa
e continuò a chiedere che il padre le aiutasse.
Alla fine lui venne chiamato in tribunale
e accettò di pagare ogni settimana una piccola somma,
e lo fece per circa dieci settimane –
poi smise.

La moglie gli lasciò la bambina
al maneggio dove lavorava
nonostante le proteste dell’uomo;
ed egli portò la piccola – circa quattro anni a quel tempo –
da sua madre;
ma questa disse che non poteva prendersene cura
perché lei stessa era malata e troppo povera;
però, aggiunse, avrebbe potuto lasciarle per un po’ la bambina
finché non le avesse trovato un posto.

Alla fine del mese, sua madre rimandò la bambina al maneggio
e con lei un piccolo cesto di suoi vestiti.
La piccola rimase al maneggio tutto quel giorno
e il padre cercò di trovare qualcuno che la prendesse –
ma non ci riuscì.
Non aveva altra casa che la stalla,
là dormiva
e mangiava dove poteva:
il suo lavoro era irregolare e il suo salario incerto.

Si fece prestare un cavallo e un calesse dal suo capo,
allo scopo, disse, di portare a casa la bambina,
e partì con la bambina
nel buio crescente,
ma lasciò il cesto dei vestiti alla stalla.
In meno di un’ora era tornato – solo.

La mattina dopo il cappello della bambina fu trovato sulla riva del fiume
a circa un miglio dalla città,
su un sentiero che portava alla riva
dove c’era uno spazio aperto e pulito dalle sterpaglie.
L’acqua in quel punto formava un gorgo, o una pozza
ed era profonda circa dieci piedi;
e lì, nel fiume, venne ritrovato anche il corpo della bambina.

*

L’orario di lavoro in fabbrica era l’orario comune nello stato –
da undici e mezzo a dodici ore al giorno.
Lui era stato messo al lavoro all’età di otto o nove anni
e lavorava nel cotonificio da più di due anni:
tutto il giorno nel cotonificio
pieno di macchinari ronzanti ad alta velocità.
Il suo lavoro era di portare i fusi –
o “cannette” come venivano chiamati –
dalla “sala tessitura” alla “sala dell’incannatoio”
per essere ricaricati;
e in questo lavoro doveva attraversare un “corridoio”,
oltre un banco da lavoro in un angolo della sala.

Al banco da lavoro in quel momento
uno degli aiutanti stava tagliando il fil di ferro per la “catena del modello per l’ordito”
usando martello e scalpello –
non riusciva a trovare il tronchese usato di solito –
e mentre il ragazzo passava con un “giro di cannette”
e guardava in alto un orologio per controllare l’ora
un pezzo di fil di ferro gli schizzò nell’occhio –
e glielo cavò.

***

Negri

Era un sabato notte. I sei avevano bevuto –
ma solo un paio di birre a testa.
Lasciarono il locale alle undici.
Camminando, a due a due,
videro un ragazzo di colore venire verso di loro,
e uno di loro disse: “C’è un negro!”

Gli ultimi due cercarono di fermare il ragazzo di colore
e lui si spostò a camminare nel canale di scolo
per superarli;
ma loro gli saltarono davanti
con le mani alzate,
e gli altri si fermarono a guardare.

“Ginger” prese un sasso
e lo lanciò contro il ragazzo,
ma colpì il terreno.
Allora lanciò un altro sasso
e colpì il ragazzo in testa.
Questi cadde a terra
e rimase lì
morente,
mentre i sei se ne andarono camminando rapidamente.

*

Il frenatore sui gradini della “carrozza per signore”
le disse di salire invece sulla carrozza per la gente di colore;
ma lei insistette per prendere posto nella “carrozza per signore”.
E quando il controllore arrivò da lei
e le chiese di lasciare la carrozza oppure scendere dal treno
lei non fece né una né l’altra cosa;
e così il controllore tornò con altri due o tre uomini
che lavoravano per la ferrovia
e la presero per le braccia
e la portarono via di peso dal suo posto e dalla “carrozza per signore”.

L’impresa ferroviaria, disse la corte, ha il diritto di destinare alcune carrozze
per quelli di colore;
di fatto, deve farlo secondo le leggi dello stato,
ovviamente a condizione che la sistemazione sia equa.
Non perché la gente di colore sia inferiore, niente affatto,
ma perché molti bianchi, se non la maggior parte,
per abitudini e tradizione,
non occuperebbero un posto accanto a una persona di colore
o nemmeno viaggerebbero nella stessa carrozza;
e può essere ipotizzato che persone di colore, allo stesso modo,
preferiscano sedersi in vagoni senza persone bianche.

Se la razza di colore dovesse diventare la forza dominante nello stato
come già avvenuto, proseguì la corte,
e dovesse emanare una legge simile,
i bianchi non presumerebbero di essere inferiori
se dovessero viaggiare in carrozze separate.
Ma, comunque sia, è meglio per le persone di colore essere separate;
perché viaggiare nella stessa carrozza
potrebbe provocare un turbamento,
spiacevole sia per bianchi che per neri;
in effetti, i posti contestati sono più per la comodità e la protezione dei passeggeri di colore
che dei bianchi.

***

L’era delle macchine

La piallatrice a vapore usava trucioli e segatura
per generare vapore:

il rumore del macchinario era così forte
che quelli nella casa di fianco
potevano conversare solo con difficoltà;
le finestre sbatacchiavano nei telai;
le stoviglie sulla tavola o sulle mensole
vibravano e sbattevano tra loro;

una grande quantità di fumo e ceneri
finiva nel cortile –
e dentro casa ogni volta che s’apriva una porta o una finestra;
i vestiti stesi ad asciugare in cortile
si sporcavano e dovevano essere lavati di nuovo;
tutto nella casa era sudicio –
pavimenti e tappeti, muri e finestre e tende;
persino il tavolo su cui mangiavano –
i piatti erano coperti di fuliggine;

e la luce del sole veniva oscurata.

*

La ditta che produceva zucchero e sciroppo
aveva, su un lato del proprio edificio,
un canale attraverso il quale passava un rullo
che portava dentro le canne di sorgo dolce.
Il sorgo veniva buttato su alle fattorie
e quindi scaricato in una grossa pila
a pochi metri dal rullo. A pochi metri da una porta laterale
c’era una piccola cisterna scoperta
nella quale veniva scaricata
l’acqua di scarto dalle caldaie nell’edificio.

Lui era stato assunto per prendere le canne
dalla grossa pila fuori
e sistemarle sul carrello.
Intorno alle quattro del mattino di un giorno di ottobre
si fece molto freddo,
e chiese al capoturno il permesso
di entrare per un po’ nella fabbrica e scaldarsi;
ma andando al buio verso la porta laterale
cadde nella cisterna piena di acqua bollente.

***

Scene domestiche

Era quasi l’alba quando diede alla luce il bambino,
sdraiata sulla trapunta
che lui aveva ripiegato per lei.
Lui si sistemò il bambino sul braccio sinistro
e lo portò nell’altra stanza,
e lei poté sentire lo schizzare dell’acqua.
Quando rientrò
lei gli chiese dove fosse il bambino.
Lui rispose: “Là fuori – nell’acqua”.

Attizzò il fuoco
e tornò con una bracciata di legna
e il bambino,
e mise il bambino morto nel fuoco.
Lei disse: “Oh John, non farlo!”.
Lui non rispose
ma si voltò verso di lei e sorrise.

***

Ferrovie

Il vecchio, del tutto sordo
sulla strada di ritorno dal lavoro
doveva superare un ponte su un canale e il vicino passaggio a livello;
ma una banda di ragazzi
che bighellonava vicino al passaggio
era solita urlargli contro
e tirargli le falde del cappotto, per divertimento.

Ora, c’erano solo due ragazzi
e anche loro gli gridavano contro
e lo tiravano per il cappotto;
poiché una locomotiva stava giungendo sul binario che era sul punto di attraversare.
Il vecchio pensò che si stavano solo divertendo come al solito
e si voltò, alzando il bastone come per colpirli,
e liberandosi da loro
avanzò sul binario proprio all’arrivo del treno a tutta velocità.

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11 Commenti

  1. Sono molto felice che questi testi di Reznikoff siano stati tradotti da Giuseppe Nava, bravissimo a riversare il basso continuo dell’umano in un italiano piano, in una musica raggelante.

  2. Bellissimo. Attendevo da un po’ una traduzione di Testimony, di cui in verità non ho ancora neppure l’edizione originale.
    Un grandissimo autore – e la tua traduzione è molto bella, potente.

  3. Giuseppe ho una curiosità. Come sei arrivato a Reznikoff e sopratutto a “Testimony”? E conosci per caso, o Renata, o Martini, una biografia esistente del personaggio? Intanto, anche i miei di complimenti.

    • Ciao Andrea, innanzitutto grazie per i complimenti! Cerco di farla breve: sono molto interessato da modalità compositive come quella di Reznikoff – lavorare su testi già esistenti, rielaborandoli in modo più o meno esteso – e io stesso anni fa pubblicai un volumetto composto in maniera simile, a partire dalle sentenze dei tribunali militari italiani della prima guerra mondiale (Renata forse se ne ricorderà; ne aveva anche pubblicata qualcuna proprio qui su NI: https://www.nazioneindiana.com/2013/01/11/esecuzioni/ ). Non conoscevo però Reznikoff. Qualche mese fa mi sono imbattuto in un’intervista ad Andrea Raos in cui cita esempi di scrittura a partire da documenti legali storici, tra cui Holocaust e Testimony. Così l’ho contattato per chiedergli altre informazioni in quest’ambito e discuterne, e nel frattempo mi sono procurato il testo. Forse per …affinità compositiva, mi è venuto naturale pensare a una traduzione. Poi è stato decisivo Andrea per convincermi a farlo, ed eccoci qua :) (non ho ancora tradotto tutto, ovviamente. E’ un libro enorme). Quanto alla biografia, ne ho trovate solo diverse brevi online, più varie notizie sparse in testi critici su Testimony e sulla sua opera; ma non so se esiste un vero e proprio libro biografico su di lui. Certo è che in vita fu poeta poco o nulla considerato (pare che lo stesso Zukofski non lo amasse particolarmente, nonostante il movimento oggettivista prendesse spunto proprio da Reznikoff), e pubblicò in proprio molte delle sue opere. 

      • Bene, Giuseppe, intanto, e parlo anche a nome di Raos, in questa tua idea di tradurre “Testimony”, anche solo in forma parziale, avrai da parte nostra sostegno morale, accudimento psicologico, fratellanza letteraria, e se ami bere, troveremo occasioni per allietarti prima o poi, affinché la tua opera prosegua folle e determinata, con i giusti additivi…
        Per il resto, provero’ anch’io a mettermi sulle tracce di materiale biografico.

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