Carlo Selan. In fianco una vita

 

 

Ospito una selezione di poesie inedite di Carlo Selan (Udine, 1996), recentemente presentate in occasione dell’undicesima edizione di RicercaBo – Festival di Letteratura, Prosa e Poesia (Bologna, Palazzo D’Accursio, 30 novembre -1 dicembre 2019) grazie all’intervento di Sergio Rotino.

***

Sembra che ti stiano molto a cuore questioni epistemologiche. Un problema è l’incertezza dell’esistenza delle cose, che per esistere realmente hanno bisogno di essere ricordate, quasi incise, attraverso una continua rimodulazione verbale: è quanto accade spesso in Umana gloria.

Sì, è così. È tutto molto provvisorio in maniera forte, è così pregnante la parola «provvisorio» per me. È così tutto. Forse anche perché mi sembra di aver vissuto epoche diverse. Sono nato in un Friuli molto arcaico, arretratissimo; ho sentito molto la trasformazione della società, del paesaggio – che era tutto per me, allora. Molte volte sono andato via da diversi luoghi, ma lì è davvero cambiato tutto. Qualche anno dopo il terremoto si sono modificati il torrente, le case, la gente. Già gli uomini della generazione precedente la mia avevano i loro ricordi; ma io ne ho molti di più, perché ho filtrato i ricordi di mio padre, più tutta la mia vita, attraverso la cultura «libresca». L’idea del tempo storico viene quando hai un po’ di cultura; mia madre non ne aveva, né mio padre. Nella mia prospettiva tante cose non sono solo guardate (perché anche mio padre guardava le stelle), ma rimodulate da scienziati, da poeti. Poiché tutta l’esperienza umana è per definizione provvisoria, quel che si può fare è cercare di testimoniarne piccole parti.

(Tratto da un’intervista di Claudia Crocco a Mario Benedetti contenuta in Materiali di un’identità, Transeuropa, 2010)

 

I

«E la casa mi volava via nel prendere sonno.

Ero con mio fratello così distante dai nostri giochi

della palla, dell’aquilone, della canoa.

Era perché non poteva restare niente di tutto questo

che gli occhi facevano i matti. Sorpresi come uno stupido

a cui si dice «che cosa fai». […]»*

 

*Chi non capiva questi giorni o gli anni che capita

di domandarsi come passano e dove vanno,

si fa come un inventario per sentirsi con le mani,

ancora nevrosi e afasie, due appartamenti cambiati

e di come è stato bello anche crescere così.

 

Scrivere perché, come dire,

«un uomo guarda una casa, un ragazzo scrive di lui

che osserva una casa, un uomo entra nella casa

ma noi non c’eravamo, ce lo hanno solo raccontato».

 

Per come non sapevamo dire le persone

sembrava quasi non dicessimo niente,

sembrava, ecco, provavamo a spiegare

non ricordando mai ogni cosa.

 

Capivamo perché non si poteva restare.

 

Tu, invece, adesso dove sei? Hai conosciuto qualcuno?

E ora come va?

 

 

II

« […]

Il cielo gira verso Cividale, gira la bella luce

sulle manine che avevamo, che è stata la vita essere vivi

[così.»*

 

* Mi sei sembrata stanca, non so come dirti,

sfioravi soltanto e qui che si vive

mi sedevo un po’a lato nei marciapiedi

il cappotto usato, gli occhiali sporchi,

 

mi sei sembrata quando svegliarsi ancora

per il caldo a novembre, ancora soli, ancora ieri

e poi come guardarsi, il mio sguardo nel tuo,

e non volere partire. Non c’era un bisogno di pensare

queste poche cose e gli anni trascorsi,

capitava la casa nuova, l’appartamento,

non si sapeva spiegare.

 

Si stava come poco difesi

si diceva come quasi per scherzo

«è bello qui», «mi sembri invecchiato»

«forse dovrei bere di meno», «ricordati domani

di non fare troppo forte, ricordati,

se puoi prova a non svegliarmi».

 

III

 

«Sta solo fermo nella tosse.

Un po’prende le mani e le mette sul comodino

per bere il bicchiere di acqua comprata,

come tanti prati guardati senza dire niente,

tante cose fatte in tutti i giorni.

[…]»*

 

*È strano poi, anche le parole capitano,

succede che ad aprirsi il vuoto grande, la casa venduta,

dopo anni, dopo trovarsi, l’università,

succede che le cose finiscono, la vita un po’in fianco, sai

un po’distante, è non sapersi più capire.

Manca la voce anche, manca la voglia,

manca chi ti guarda aspettare la fila

alla cassa di quel supermercato,

il giorno dopo sapeva di pace finalmente, di pace

ancora. Come lavarsi le mani, stavolta,

con gesti lenti e raccolti, senza fretta,

sciacquarsi la faccia prendendo del tempo,

restare nel letto distesi in mutande

confusi, smarriti, non avere cosa dirsi.

 

IV

«Sto con gli ultimi anni di un uomo a cui voglio bene,

vorrei perdonargli di morire, cosa fare.

A sapere bene forse potrei dire:

anche per noi una visione intera

con uno specchio sopra, con un cielo.

Mi tengo al suo sguardo perduto

così particolare, così solo,

senza romanzi, con il campo che non è un mondo.

 

Non so andare avanti. […]»*

 

*Poi se ti sembra ti spiego e si parla poco

perché distrarsi e dire o riprendersi e guardare

«sto guidando, chiamalo tu», chiama mio padre.

Non si ricorda, siamo nati noi e non si ha memoria,

questa cosa che sembra, come dire, tu mi racconti

tuo nonno teneva sempre la radio aperta in casa

a Olomouc. Mi guardi? Mi vedi che ti sento parlare?

Qualcosa perdi e poi dici, si spiega e si lascia in fianco una vita,

ricordo sembravi con i capelli tagliati un po’corti di lato eri quasi

sembravi mostrando un sorriso.

 

NOTA AI TESTI

Prima ci sono state le tante e ripetute letture: Umana gloria e Materiali di un’identità di M. Benedetti, Frame Analysis di E. Goffman, La mémoire, l’histoire, l’oubli di P. Ricoeur, Sought poems di K. Silem Mohammad, Manifeste du Tiers-paysage di Gilles Clément, Rive di G. Frasca, Ficciones di J. L. Borges, After Lorca di J. Spicer, Esecuzioni di G. Nava. Poi, le cose fatte, i gesti guardati, il non sapere come dire tutto quanto.

Quattro dei componimenti di questa plaquette sono strutturati in modo tale da far dialogare due parti testuali differenti: una formata da stralci di poesie di Mario Benedetti contenute in Umana gloria (i versi con font 14 al centro della pagina), l’altra costituita da materiali scritti da me (font 11, inserita all’interno della pagina come in nota ai versi di Benedetti). Questa particolare forma grafica vorrebbe essere un tentativo di non porre al centro dell’attenzione del lettore il semplice fare esperienza di un determinato stare quotidiano, valorizzando invece i filtri culturali e intellettuali elaborati da altri (nel mio caso, Mario Benedetti) attraverso cui lo stesso fare esperienza di qualche cosa viene poi compreso, ricordato, capito e interpretato da chi lo vive. Spesso si è convinti di pensare ma invece si è solo depensanti, si è pensati dai concetti. È come scrive Benedetti: «Nella mia prospettiva tante cose non sono solo guardate (perché anche mio padre guardava le stelle), ma rimodulate da scienziati, da poeti».

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Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. E’ poeta, regista, curatore del progetto “Edizioni volatili” e redattore di “Nazione indiana”. Ha co-diretto insieme a Lucamatteo Rossi la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato "La consegna delle braci" (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli, Premio Bologna in Lettere) e "La specie storta" (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano Under 30). Ha preso parte al progetto “Civitonia” (NERO Editions). Per Argolibri, ha curato "La radice dell'inchiostro. Dialoghi sulla poesia". La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il direttore artistico della festa “I fumi della fornace”. È laureato al Trinity College di Dublino.
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