Lettre à un voyou. In memoria di Samuel P. le prof d’histoire

di
effeffe
Caro Samuel,
cosa è successo in questo nostro mondo di così grave e impercettibile al punto di non essercene resi conto? In un attimo ti han tirato giù dalla cattedra cambiandoti il nome da professore a voyou, delinquente. Così quelli hanno detto. E ti hanno perfino cambiato la faccia sulle prime pagine della prima ora dei giornali confondendola, nella fretta, con quella di un collega, Michel, professore di storia della stessa scuola. Eppure ti assicuro che qui, in tutta questa vicenda di certo non sei tu ad aver perso la faccia.

Tu sai meglio di chiunque altro quanto sia importante in questo nostro mestiere metterci la faccia. Apporre un volto all’idea, un nome, un cognome, come quello che i tuoi ragazzi scrivono in alto a sinistra della loro copia del compito in classe, è un atto di fiducia verso un interlocutore, un gruppo, una collettività, una classe. Perché se dai un nome e una faccia all’idea significa che non c’è pericolo, il tempo della dialettica, del confronto possibile è ancora nel campo dell’umano.
La parola è tutto, tu questo lo sai, ma non ancora niente se non ci metti una faccia e il nome, la faccia e il nome giusti, però.
Una, eletta di un tale partito, ha dichiarato che in fondo te l’eri cercata. Come t’è venuto in mente, come se non bastasse a qualche giorno dalle vacanze, di parlare di cose così in classe. Avresti dovuto sentire i consigli della Madame e rinunciare al progetto. Far esprimere dei tredicenni su questioni capitali come la libertà d’espressione! educarli a dibattere, argomentare, contrastare, sostenere idee con la parola! Ma come diavolo t’è venuto in mente, dicono loro.

La risposta in questo flusso di parole confuse e contraddittorie, è sgorgata dalla voce cristallina di uno dei ragazzi della tua scuola, che dice ”

“Il faut continuer à apprendre […] sinon les terroristes ils ont gagnés.”. Lo dice con una presa di parola e una franchezza trasparente che questo deve essere insegnato e imparato, come una priorità, a ragionare su qualsiasi cosa senza temere un giudizio o peggio ancora una sentenza di morte.Questi sono i frutti della libertà d’espressione che è quella che lo storico e maestro Marc Bloch pretendeva, “la libertà senza aggettivi”.
In “Una storia semplice” di Leonardo Scascia c’è un passaggio proprio su questo tema centrale del “ragionare”, reso immortale nella versione cinematografica da Gian Maria Volonté.
Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore.

«Con quale piacere la rivedo, dopo tanti anni!». 

«Tanti: e mi pesano» convenne il professore. 

«Ma che dice? Lei non è mutato per nulla, nell’aspetto».

«Lei sì» disse il professore con la solita franchezza. 

«Questo maledetto lavoro… Ma perché mi da del lei?». 

«Come allora» disse il professore.

«Ma ormai…». 

«No». 

«Ma si ricorda di me?». 

«Certo che mi ricordo». 

«Posso permettermi di farle una domanda?… Poi gliene farò altre, di altra natura… Nei componimenti d’italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?». 

«Perché aveva copiato da un autore più intelligente». 

Il magistrato scoppiò a ridere. 

«L’italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica…». 

«L’italiano non è l’italiano: è il ragionare» disse il professore. «Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto».

La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.
Caro Samuel, come tanti nostri colleghi in queste ore non mi sono dato pace, non ho trovato risposte. Ho letto articoli, ascoltato trasmissioni televisive e radiofoniche a te dedicate ma una pace, tregua, al mio ragionare sulla tua morte, non l’ho trovata. Pensa che ancor prima di scriverti questa lettera ho chiesto a un amico disegnatore, Giancarlo Covino, di immaginare un disegno per accompagnarla. È un’immagine chiara e allo stesso tempo piena di dolcezza. Perché, come insegna l’arte della guerra, non bisogna mai andare sul campo scelto dal nemico.
Ho ragionato con dolcezza al fatto che si dovrà cominciare da ora, tutti, a preparare una sequenza da proporre ai ragazzi per ogni materia, perché ogni materia, il francese, la fisica, la storia, l’italiano non sono il francese, la fisica, la storia, l’italiano, ma arte del ragionare. Prepararci a fondo, senza paura, con gioia e senza concedere un millimetro di campo al nemico, alle sue passioni tristi, sul tema della libertà senza aggettivi. In modo da essere pronti tra sette anni, quando tuo figlio entrerà al collège, ad offrirgli quegli stessi strumenti che per vocazione e con coraggio tu sei riuscito a porgere ai tuoi ragazzi.

Ora vado in Place de la République. Ho appuntamento con Andrea Inglese perché insieme vogliamo rendere omaggio alla tua vita. Aujourd’hui

Blackboard with chalk and eraser
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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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