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Leggende lucane e street art

di Mimmo Cecere

Nell’ultimo decennio, la street art è passata da atto vandalico, da perseguire e reprimere, a strumento di riqualificazione urbana. Ad ospitarla non sono solo le periferie delle grandi città, ma anche i piccoli centri che all’arte di strada offrono i loro muri per uscire dall’isolamento e dall’emarginazione. Il massimo esponente di questa forma d’arte che smuove le coscienze, meraviglia e affascina è Bansky. L’artista di Bristol ha scelto l’anonimato per garantirsi la libertà di agire senza condizionamenti. Tuttavia, oggi, gli street artist non operano solo illegalmente ma sono sempre più spesso ricercati e invitati da associazioni, istituzioni e privati.

A Stigliano, ad esempio, paese di circa 4.000 abitanti, appollaiato ai piedi del monte Serra e avamposto della montagna materana, si è da poco concluso il IV Festival di street art. La rassegna è stata promossa dall’associazione “AppARTEngo”, dal Comune di Stigliano in collaborazione con l’associazione “Stigliano Eventi”, la “Casa del Volontariato”, il patrocinio della Regione Basilicata e il sostegno della multinazionale di vernici “Caparol Italia”. L’edizione 2020 – diretta da Alessandro Suzzi – ha visto la partecipazione di una dozzina di artisti: Nicola Alessandrini, Bifido, Alessandra Carloni, Andrea Gandini, Daniele Geniale, Gods in love, Hitnes, Ironmould, Leticia Mandragora, NemO’s e Piskv.

In questa parte dell’Italia interna, dislocata sulle prime propaggini dell’Appennino Lucano, da più decenni l’esodo migratorio non sembra dare tregua. In sessant’anni Stigliano ha perso più del 60% dei suoi abitanti, passando dai 10.000 residenti del 1961 ai 3.900 attuali. Se nel passato si emigrava soprattutto per cercare lavoro, oggi si lascia il paese anche per stare accanto ai figli e ai nipoti. Questa nuova forma di “migrazione affettiva” coinvolge soprattutto i genitori anziani, i quali emigrano dopo la pensione per stare accanto ai loro cari. Torino, Milano, Gallarate, Bologna, Parma, Firenze, Roma sono le mete più frequenti. Per frenare l’emorragia demografica, un gruppo di giovani dell’Associazione AppARTEngo ha ideato, quattro anni fa, un Festival di street art, vagheggiando i seguenti obiettivi:

«arginare lo spopolamento, uscire dall’isolamento sociale e culturale; trasformare il paese in un museo a cielo aperto; far conoscere una comunità di montagna; creare, con l’arte, un attrattore turistico». «Un turismo – sottolinea il Direttore della kermesse – che da migratorio diventi stanziale. Non solo attraverso l’attività del festival ma unitamente ad altre iniziative da sviluppare nel corso dell’anno». L’Arte, infatti, da sola non può bastare se non è supportata da un’adeguata programmazione culturale, cura degli edifici e delle strade. Per far diventare la street art un vero attrattore culturale, le opere devono essere di qualità e non frutto di dilettanti. Attualmente non è emersa una precisa tematica intorno a cui sviluppare una narrazione. «Agli artisti – precisa il Direttore Suzzi – non viene dato un tema specifico, ma un invito a riflettere su un aspetto culturale, tradizionale o sociale riguardante il paese, come ad esempio lo spopolamento o le frane».

La maggior parte degli invitati nell’edizione 2020 ha realizzato opere interessanti per forma, colore, stile e significati sottesi. Tra i diversi interventi uno ha sollecitato la nostra curiosità, non perché sia il più interessante, ma perché l’autore ha saputo far rivivere un aspetto di una leggenda locale che tanta paura incuteva ai ragazzi della mia generazione, nelle notti d’inverno.

L’opera, dal titolo Thriller, è stata realizzata dallo street artist Piskv su una doppia parete a pochi metri dalla “Fontana dei tre cannoni”, alla periferia ovest del paese. L’artista di origine pugliese ha eseguito il dipinto in pochi giorni. Piskv ha 27 anni. La stessa età che aveva il portoghese Alexandre Farto, in arte, Vhils, quando realizzò il “Volto di un contadino sul mare” sugli 8 silos del molo di Catania. L’opera di street art più grande al mondo (2400 mq).

Piskv, ispirandosi ad una leggenda locale, molto radicata nella memoria collettiva, ha rappresentato la terrificante metamorfosi dei Pimpinari, o “lupi mannari”: individui nati la vigilia di Natale e per questo affetti da licantropia. In realtà, all’origine di quella che è una grave patologia psichiatrica, le diverse tradizioni europee hanno elaborato specifiche narrazioni folcloriche. Nelle notti di plenilunio, allo scoccare della mezzanotte, una lenta metamorfosi stravolgeva il corpo di questi disgraziati, trasformandoli in uomini-lupo. I loro ululati cupi e disperati laceravano la quiete notturna, terrorizzando gli abitanti del paese. Chiunque, di notte, entrava in contatto con un Pimpinaro aveva un solo modo per sfuggirgli: raggiungere una scalinata e superare il terzo gradino. I pimpinari, camminando all’indietro, faticavano a salire i gradini. Mentre si aggiravano per i vicoli del paese lanciavano sassi alle loro spalle, facendoli sibilare nell’aria. Per guarire da questa tragica e terrificante malattia era necessario pungere con uno spillo il corpo dello sventurato, facendogli uscire almeno tre gocce di sangue. Soltanto in questo modo il pimpinaro poteva riacquistare la normalità perduta.

Nel realizzare la sua opera, Piskv ha emulato il linguaggio cinematografico, creando su una doppia parete a L un’opera figurativa, quasi tridimensionale, dal forte impatto emotivo. La scena riprodotta sulle due pareti sembra un frame tratto da un film thriller ambientato negli anni Trenta. L’artista ha scelto una location periferica e semidisabitata rispetto al centro urbano. Un luogo di passaggio obbligato per chi desidera attingere acqua alla fontana dei “Tre cannoni”. Piskv non sapeva che a pochi metri dal dipinto che stava realizzando c’era stato molti decenni prima un efferato omicidio. Una donna negli anni Trenta era stata uccisa dal marito con 19 coltellate. Quel tragico episodio aveva per decenni scosso la comunità. Chiunque di sera si recava alla fontana ad attingere acqua, affidava ai segni di croce il compito di tenere lontani gli spiriti dei defunti, morti per violenza.

Il giovane artista pugliese ha trasformato la leggenda locale in una suggestiva rappresentazione “noir”. Sulla parete di destra, lunga una dozzina di metri e alta poco meno di cinque, compare una vecchia auto degli anni quaranta, ferma sul bordo della strada. Un uomo ricurvo, dall’aria guardinga e aggressiva, esce dall’abitacolo impugnando un coltello. Un altro uomo siede alla guida, pronto a ripartire. È notte fonda e i fari della vettura, squarciando il buio con il loro potente cono di luce, illuminano un omone ricurvo che avanza innanzi all’auto. L’uomo sta subendo la sua mensile metamorfosi nella notte di plenilunio. Le luci dei fari, intercettando il suo corpo, mostrano gli effetti della mostruosa mutazione in atto. Un gigantesco uomo-lupo, dalla silhouette nera come la pece, fa la sua comparsa sulla parete.

Piskv non rispetta l’unità di tempo e azione ma, grazie al linguaggio dell’arte, fa sì che  la mutazione si fissi sulla parete prima che sia realmente completata. L’opera, in questo modo, assume una carica visionaria cara al regista Herzog. Nel concepire il murales, l’artista ha strizzato un occhio alle ombre cinesi e l’altro al linguaggio del cinema. L’immagine del lupo che compare sulla parete, prima che sia completata la metamorfosi dell’uomo, è un atto di magia che solo l’arte può determinare. Il tema dell’uomo afflitto dal “mal di luna” – diffuso in molte aree del Mezzogiorno – è stato affrontato dai Fratelli Taviani nel secondo episodio del film Kaos (1984), ispirato ad una novella di Pirandello.

Infine, ad accentuare la suggestione di terrore, espressa dall’opera, contribuisce la vegetazione in cima alla parete di destra. I tronchi illuminati dai fari sono stati pensati da Piskv come connessione alla boscaglia soprastante che prospera al di sopra del muro. Quando soffia il Ponente o la Tramontana (Voria), lo stormire cupo e fragoroso del fogliame crea un effetto sonoro che fa aumentare il panico in chi, di notte, si reca solo alla fontana. Con la sua opera, l’artista ha fatto riemergere dall’oblio una leggenda locale che da decenni sembrava scomparsa dai racconti degli anziani.

La fotografia riproduce l’opera di Piskv di cui si tratta nell’articolo

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2 Commenti

  1. La tela è troppo poco. Alla sua arte
    necessita uno sfondo plateale, un pubblico
    distratto indaffarato da azzannare: non l’aria
    stantia di un museo, non l’accademia
    di qualche galleria.
    La strada, sì, la strada! Il muro
    sbrecciato del parco cittadino,
    la parete color ocra del vecchio municipio,
    o in alto, molto in alto, un grattacielo funereo
    incombente su minuscoli impiegati
    costretti alla stupida obbedienza, al mensile
    ricatto stipendiato: lì bisogna rovesciare
    vernice, lì turbare le coscienze ipnotizzate,
    lì offrire orrida bellezza!
    Che il gesto sia gratuito, pubblico,
    anonimo, totale.

    Alida Airaghi, Elegie del risveglio, “Artisti”

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