Lagioia e il male

ph. Mimmo Jodice – Roma, 2006

di Lorenzo Ciarrocchi

Una città dove il sangue dei ratti cola sulle biglietterie del Colosseo; dove la mancanza di un sindaco trova una risposta asimmetrica nella presenza di due papi; dove le dinamiche cittadine sembrano rispecchiare il caos totale di una città coperta da una coltre di fascino e spazzatura; una metropoli che, per usare Rilke, «esala un fetore di patatine fritte e angoscia»: questa è Roma, conditio sine qua non della vicenda narrata da Lagioia in La città dei vivi (Einaudi, 2020), l’omicidio di Luca Varani avvenuto nel marzo 2016. Un romanzo che non si ferma al reportage di una vicenda di cronaca nera ma che elabora un’intensa riflessione sul rapporto collettivamente represso nei confronti del male.

Tutti temiamo di vestire i panni della vittima. Viviamo nell’incubo di venire derubati, ingannati, aggrediti, calpestati. È più difficile avere paura del contrario. Preghiamo Dio o il destino di non farci trovare per strada un assassino. Ma quale ostacolo emotivo dobbiamo superare per immaginare di poter essere noi, un giorno, a vestire i panni del carnefice?

In La città dei vivi il male viene riportato alla sua condizione razionale; la figura del mostro immaginata come un’esistenza concreta, distante, altra, viene costantemente frantumata e redistribuita. Questa frantumazione avviene nei momenti in cui l’essere umano si aggrega in non-luoghi, in eterotopie dove, percependo di essere parte della massa, chi si sente attaccato dal mostro coglie l’occasione per sottolinearne la propria distanza. La ricchezza di informazioni del romanzo mostra infatti, oltre agli aspetti più tecnici dell’indagine, anche la vox populi della vicenda:

«Se chiedessi la pena di morte per questi maledetti mostri, la cosiddetta intellighenzia mi darebbe addosso. Bene, fatelo tutti, perché io questa volta la pena di morte la vorrei. Fortissimamente la vorrei». (Rita dalla Chiesa)
Luca Varani ucciso da gay pervertiti.
Froci demmerda #lucavarani
Chi usa gli strumenti del demonio si illude di acquisire poteri che altri non hanno.
Maledetti, esseri spregevoli, seguaci di Satana.

Quando si tratta di analizzare le reazioni sui social a fatti di cronaca nera dove lo sciacallaggio dei media e il feticismo per il macabro hanno la meglio, è fin troppo facile vedere quanto sia immediata l’inversione dei ruoli tra vittime e carnefici, dove l’irrazionalità della massa, almeno a parole, non farebbe fatica a macchiarsi del sangue dell’assassino. Tuttavia, la profondità del ragionamento di Lagioia trascende la portata della reazione “a caldo” evidenziando ogni nervo scoperto della vicenda, e rendendo chiunque inevitabilmente partecipe. È qui che, dopo la frantumazione del male, si innesta la sua redistribuzione.

«Facile la discesa all’Averno», così Virgilio introduce la quarta parte del romanzo. Lo stesso Lagioia, interrompendo la narrazione dei fatti dell’omicidio Varani, confessa quale sia stata la sua vicenda personale che lo ha legato così fortemente al caso che sta seguendo; un accadimento della sua gioventù, apparentemente marginale, che non ha nulla a che vedere con l’efferatezza del caso Varani: ma proprio qui si sofferma lo scrittore, chiarendo come spesso la discesa verso l’abisso possa essere un semplice inciampo che, approfittando di complessi personali e situazioni irrisolte, fa rotolare in maniera incontrollata nella perdita più totale di sé. Una volta sprofondati, dove maggiore è la repressione più pericolosa sarà la reazione. La risalita avviene solo tramite delle «sregolatezze» e il segno indelebile che queste lasciano sulla nostra pelle: tuttavia, esiste chi la tragedia riesce solamente a sfiorarla e chi invece, mancante di appigli a cui aggrapparsi, abituato al buio, si trova a esserne protagonista, come Manuel Foffo e Marco Prato. Traumi e abissi che esplodono con estrema violenza dopo essere stati sublimati per anni, e che prescindono dalla condizione sociale di ciascun individuo, la cui trasversalità caratterizza tutta la vicenda. Tre classi sociali diverse, tre contesti familiari diversi e tre rapporti con la propria identità sessuale diversi. Un solo comun denominatore: vuoti affettivi. Mancanze familiari nascoste per anni che trovano il loro sfogo in una vicenda che viene assimilata a un omicidio rituale. Nessuno di quelli che si sono approcciati al caso Varani ne è uscito indifferente: poche vicende come queste, se approfondite, portano a galla una parte di noi che chiunque vorrebbe soffocare ma che si è costretti ad accettare e che non appartiene a una componente irrazionale e incomprensibile. Il male viene perciò restituito da Lagioia a ciascuno di noi rendendoci partecipi dell’orrore supremo, l’omicidio efferato, la cui indecifrabilità affonda le sue radici in un passato di cui tutti facciamo parte, di cui tutti riconosciamo il segno, la scheggia del male frantumato.

Presenza necessaria che percorre silenziosamente tutto il romanzo è la città che fa da sfondo alla vicenda: la Roma del 2016, intossicata dai rifiuti ed eternamente contraddittoria; la città del cinismo, dove nessuno è destinato a lasciare il segno. Monumenti eterni dell’antichità che, oltre a essere un terreno di lotta per ratti e gabbiani, fungono da monito per i viventi: l’unica cosa eterna è la transitorietà.

Ci sono le città dei vivi, popolate da morti. E poi ci sono le città dei morti, le uniche dove la vita abbia ancora un senso.

Una città che crea dipendenza per la sua mancanza d’ordine, per il suo afflato vitale che si traduce in una costante precarietà. Lagioia ne elenca i posti e dialoga con essi, chiedendosi se ne sia ancora degno e descrivendo come la parte più remota della borgata possa incrociarsi e guardarsi in faccia con la parte più benestante della città, dove tutto crolla da sempre ma tutto rimane al suo posto.

 

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

La pietra di scandalo della modernità. Octavio Paz e la poesia

di Neil Novello
"Leggere è una pratica nemica della dispersione; leggere è un esercizio mentale e morale di concentrazione che ci porta in mondi sconosciuti che a poco a poco si rivelano la nostra patria più antica e più vera: è da lì che veniamo. Leggere è scoprire strade insospettate verso noi stessi: è riconoscersi."

Le censure e le tracce. Su “Critica dell’inespresso” di Marco Gatto

di Nicola De Rosa
La produzione di molti autori osservati da Gatto è animata da un’urgenza cruciale per chi agiva in una fase, anch’essa, di grande conflittualità ideologica: approfondire, a partire dalla polarizzazione marxiana fra struttura e sovrastruttura...

Ali per essere libere: “Una terra per restare” di Jadd Hilal

di Daniele Ruini
Il romanzo di Jadd Hilal, mettendo al centro i sentimenti di personaggi che sono stati costretti a partire, ci sollecita invece a metterci nei panni degli altri e ad aprirci alle ragioni dei popoli oppressi

Mots-clés__Scacchisti

di Nadia Liberati
«Vedi,» disse «secondo lo psicanalista Reuben Fine, che fu per lungo tempo uno dei più grandi giocatori del mondo, esistono due specie antitetiche di scacchisti. Da una parte c'è l'eroe, che non ha altra religione, altra ragione d'essere, che non siano gli scacchi

Ultime luci a Palermo, la storia della principessa Beatrice Tasca di Cutò

di Valeria Nicoletti
Ruggero Cappuccio ha avuto il privilegio di leggere i diari della principessa di Lampedusa, madre di Giuseppe Tomasi, donna poliedrica, appassionata, indomita, e ci regala un ritratto intenso, dove l’invenzione letteraria si fa tensione desiderante che completa, e amplifica, i fatti storici

L’esplosione dei testi

di Marco Viscardi
Forse era tutto un gioco di liberazione: davvero la partita era liberare figure e creature. Farle uscire dai libri, consentire loro di invadere spazi indifesi. Non stupisce che in una biblioteca ci siano ben due mostre ispirate ai libri, ma quello che colpisce è il carattere ‘eversivo’ delle due esibizioni
ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: