Fotoromanzo urbano

Sofia Mangini, Campus Bocconi, Sanaa, 2019.

di Gianni Biondillo

Sai cosa? Lo farei, davvero. Forse è colpa del mio innamoramento giovanile per Pier Paolo Pasolini, quel suo mettere nelle parole, nelle immagini, corpi e luoghi, come fossero i secondi l’estensione dei primi. Mi ricordo ancora le parole di una sua poesia, dove dice come abbia ancora nella carne l’adolescenza “che si affezione, più che alla vita stessa, / ai luoghi, dove la vita si svolge!” Oppure forse è colpa di quel film, hai presente? Caro Diario, di Nanni Moretti. Il primo episodio, dove scorrazza per Roma a bordo della sua Vespa e ad un certo punto lo dice, quello che abbiamo pensato tutti, almeno una volta (o quanto meno tutti quelli che hanno l’adolescenza affezionata ai luoghi prima ancora che alla vita). Alza gli occhi e la sua voce fuori campo, il suo pensiero a nostra disposizione, dice: “Che bello sarebbe un film fatto solo di case”. Così, con banale semplicità.

Sofia Mangini, Torre Velasca, Studio BBPR, 1957.

O chissà, la colpa potrebbe essere di Paolo Bacilieri, del suo tratto così preciso, della sua mano ferma. C’è quel fumetto, fuori formato, quasi una miniatura medievale, s’intitola “Tramezzino” e in teoria dovrebbe raccontare una piccola storia d’amore. Ma chi se la ricorda? Sono le tavole, le architetture di Milano, i capolavori di Caccia Dominioni o dei BBPR che ti restano addosso.

Insomma, come dirtelo? Forse non è colpa di nessuno, inutile cercare scuse, ma ti confesso che c’è una cosa che mi piacerebbe davvero fare: un fotoromanzo “fatto solo di case”. Hai presente? Chissà se esistono ancora i fotoromanzi. Mia madre li leggeva. Credo che molti di quella generazione abbiano imparato a leggere, ad emanciparsi, grazie ai fotoromanzi. Letteratura popolare, femminile, povera. Eppure così immediata, così involontariamente poetica. Sì, mi piacerebbe raccontare una storia fatta di luoghi, usando gli edifici non più come sfondi ma come protagonisti.

Sofia Mangini, 5+1 AA, Iulm 6, 2014.
Sofia Mangini, Fondazione Feltrinelli, Herzog & de Meuron, 2016.

Ovviamente sarebbe una storia ambientata nella mia città, Milano. E ovviamente sarebbe una storia romantica. Ma niente persone. Racconterei di un amore astratto, fatto di forme concrete che però, chissà come, si smaterializzano, come nuvole appoggiate a terra. O di case che si arroccano, l’una sull’altra, fino a formare un corpo solo, una specie di fortilizio meccanico a difesa dal caos della metropoli. E racconterei della città che sale – come diceva Boccioni – che non si ferma mai, infinito cantiere, proprio come quello del suo monumento più famoso, il Duomo. Di balconi esposti sul vuoto, di ascensori e di scale che si aggrappano alle facciate, di percorsi aerei, vertiginosi, avventurosi. E dei colori. Lo so, tu stai pensando alle infinite tonalità di grigio, alla modestia, alla moderazione tutta borromaica (fin dal loro motto: Humilitas). Alla città borghese, che vuole darsi un tono non urlato.

Housing at Gallaratese, Carlo Aymonino, Aldo Rossi, 1970.

Elegante. Che però, facci caso!, poi non ce la fa, che si contraddice, sparge raggi di sole, campiture luminose, gialli limoni come uno sberleffo a così tanta seriosità. Vorrei raccontare di una città fatta di anime eccentriche, che, per dirla con Scerbanenco, “ammazzano al sabato”, perché il resto della settimana hanno da lavorare; ma quando si divertono chi li ferma più? Grigia all’apparenza, ma dall’ironia tagliente: è una città che ha case tagliate come fette di salame, grattacieli che sembrano materassi, torri che assomigliano ad ananas o a castelli, capace di esplodere in mille colori, come in un carnevale senza fine.

E l’amore?, mi chiedi. L’amore è il mio, come è ovvio. Di quello parlerei nel mio fotoromanzo. Di quando, ragazzino, ho smesso di tenere lo sguardo a terra, sempre preso dalle mie faccende, per accorgermi del cielo nel quale si stagliavano i frammenti di questa città. Sì, il cielo. Quello raccontato così bene dal Gran Lombardo, Alessandro Manzoni: “Quel Cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace”.  Quanto mi piacerebbe un fotoromanzo così. Ci vorrebbe però un fotografo, o una fotografa, qualcuno capace di dare forma a questo mio desiderio piccino. Chissà se esiste. O forse c’è? O forse sei proprio tu, Sofia?

Sofia Mangini, Group M Headquarters, Cino Zucchi Architetti, 2011.

(precedentemente pubblicato su Abitare, maggio 2021, le fotografie sono, come è ovvio, della bravissima Sofia Mangini. Andate a vedere il suo sito.)

 

 

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2 Commenti

  1. bel pezzo, Gianni, anch’io amo molto guardare le case di Milano. Qualche anno fa sono andato in giro a fotografarne un po’ e ho fatto un piccolo album. Mica bello come quello di Sofia, per carità!

  2. Lo leggerei molto volentieri. E vorrei anche un romanzo delle case di Milano che cambiano, di quelle che spuntano e di quelle che cambiano faccia e così fanno cambiare faccia ai quartieri, e alla città e alla sua gente.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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