La fame non contempla la ragione
di Mariasole Ariot
Mi auguro di incontrare qualcuno
davanti a casa o invece spero: nessuno?
Antonio Porta
Quando cade la pioggia dalla bocca e si fa nero il nero, si accumulano le uova dell’insetto che apre e scortica il becco di tre parti, una cosa morta il bianco ragionato un petalo appassito per dolore, e chiama un’incisione già decisa, la mia riconoscenza che non chiede se non vede, che vede il divisibile progetto, quando il tempo è temporale, temporeggia sulla preda per la vista del soggetto maculato, un bosco che non cresce sulla testa
La meta è una metà non fecondata
E cade e cade il vero della sera come scempio indecoroso, la pelle non cambiata di settembre, avere cento dita sulla fronte che premono sugli occhi e sugli intenti, di madre padre un figlio, di foglie mai innaffiate il già appassito, e spezza la giuntura della notte con il giorno, se l’alba è quando torna l’interiora, rigonfia l’alluvione come un fango che si addensa e mi calpesto, la voglia siderale di un futuro e di un presente, l’aiuola che noi ci costruiamo come un volto, e volta la mia faccia come un giorno
Le pelle è questo urlare che mi sente
E gronda di grondaia la memoria delle tue parti interrotte, le sfere non mangiate del suo feto, un nitido fetore meridiano, ho il bianco della pillola incastrata nella gola che non scende, diventa l’autunnale del mio ventre stropicciato, tu vedi il mio sofferto se l’inverno ci dispera, se quando non si evade si accumula la gente, in questa è la mia assenza di una patria, la mia recrudescenza che mi spoglia, la foglia si è bucata come un corpo rimestato, dimentica lo spazio e il rampicante, dimentica lo stato delle cose, ricorda solo il gesto del terreno
Radicale è radice del mio fondo
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Grande intensità lirica, lavoro di scavo a un passo dalla luce.
Mi fa piacere rivedere la tua “lucina”, e leggerti!