E i vecchi del mattatoio dicevano che tutto doveva continuare come prima
di Nadia Agustoni
fiori d’acqua sui vetri
— qui nella pioggia —
con la nostra vita
guardata.
in un tempo fermo è terra pura questa notte
un bruciare di uccelli piccoli in un canto
la bellezza che viene anche per noi
per un’ombra a nascondere il mondo.
il sole dei corpi ci raccoglie interi
i corpi sanno l’incerto, lo scarto,
lo sguardo disabitato
la figura dei fuggitivi
“Una volta che abbiamo mostrato che tutti i problemi cosiddetti personali sono invece problemi tra classi sociali, resta comunque aperta la questione della soggettività di ogni donna —non del ‘mito’ ma di ciascuna di noi. E, a questo punto, dobbiamo dire che una nuova possibilità di definizione personale e soggettiva, per chiunque, la si può trovare solo oltre le categorie di sesso (donna e uomo)”.*
quelli che chiamati lei e lui
non si voltano
perché vivono
un’altra vita
“D’altronde, il pensiero dominante è piuttosto restio a guardarsi dentro per tentare di comprendere ciò che lo revoca in dubbio”.*
*Monique Wittig – il corsivo è tratto dai suoi saggi critici
abitando quello che ci libera
“né donne né uomini”
spostarci dai margini
a noi stessi:
allora una vita
è la tenerezza
per ognuno:
un abbraccio.
nessun segreto, nessuna paura, non provate a spiegarci. c’è una realtà non prevista dal dominio.
abbiamo respiro e primavera.
datemi febbraio, un prato, la dolcezza della brina, il più chiaro mattino
nelle fabbriche una luce leggera sui volti
ci porta nel silenzio: viviamo coi morti
con la loro speranza per noi.
____
È questo un estratto da Avrei voluto da giovane solo vivere, il nuovo libro di Nadia Agustoni (Aragno 2024). Si tratta dei testi che compongono la seconda sezione, con l’epigrafe a firma di Mercè Rodoreda usata qui come titolo del post.
Come spesso accade in Agustoni, a una frase che espone la crudeltà ottusa dei forti si oppone la semplicità dell’inerme, in una sequenza in cui un noi sul punto di estinguersi si appella alla contemplazione filosofica per trovare una forma di salvezza. Per trovarvi, prima ancora, una forma, contro la dissipazione delle omologazioni forzate. La libertà di essere e la libertà di fare non sono astrazioni in un mondo dove ‘ormai tutto è possibile’: solo a chi ha tutto, tutto è possibile. La libertà ha una realtà tangibile nell’uguaglianza, materiale e simbolica. Si tratta di una posizione lontana da populismi e vittimismi, che tenta la via non della retorica rivendicativa ma della ricostruzione di sè dal nulla ontologico in cui si è stati sospinti, privati di fondamento.
A questo lavoro di ricomposizione, del trovare uno sguardo e una casa che ospitino la propria totalità, partecipa Monique Wittig, la teorica francese che con le sue riflessioni ha contribuito a intrecciare in modo radicale lotta di classe, pensiero lesbico e liberazione femminista. Tra le sue idee centrali c’è quella dell’inconsistenza del ‘sesso’ come sistema naturale da cui discenderebbe l’oppressione: è invece tutta la categoria ‘sesso’ a venire creata dall’oppressione politica, non il contrario. Se non ci fosse alcun ‘sesso’, alcuna ripartizione, alcuna sessualità dominante, dunque? Nella mente solo spazio, nella vita “la tenerezza”.
Con due citazioni da Wittig (a cui tutta la raccolta è dedicata) Agustoni chiosa sull’aspirazione all’interezza del soggetto lirico, fatto di coloro che non possono rispondere agli appelli canonici perché “vivono / un’altra vita”. Forse è la vita di chi è inter-, fluidə o queer, ma in questo contesto non sono certo le definizioni che contano. Forse è la vita della poesia, “una realtà non prevista dal dominio”. Non vi è chissà quale solennità: entrano “nelle fabbriche” nell’ultimo testo di questa parte; eppure hanno con sè un segno di elezione.
(rm)