Libro del metodo naturale (il capitolo X del Dao De Jing)

di Paolo Morelli

 

 

 

 

 

 

 

 

Quel che possiamo fare

fare che il corpo e lo spirito s’abbraccino in un solo complesso
e non possano separarsi
far che il respiro ti renda sí tenero e fresco
da poter somigliare un infante
mondato scarta da te le troppo profonde visioni
che possa non averne logorio
avendo cara la gente, governando lo stato
possa tu praticare il non-fare
nel disserrarsi e nel chiudersi della porta del cielo
possa tu essere femmina
comprendendo ogni cosa
possa esser tu come se non sapessi
nel produrre e nell’allevare
produrre e non possedere
produrre e non conservare
accrescere e non padroneggiare
è questa la virtú trascendentale

(da La regola celeste di Lao-Tze (Tao Tê ching). Prima traduzione integrale italiana dal testo cinese, con introduzione, trascrizione e commento a cura di Alberto Castellani. Biblioteca Sansoniana Straniera, Firenze 1954).
È un libro che ho rubato moltissimi anni fa, e ce l’ho ancora. Resta comunque una delle migliori tra la miriade di traduzioni che sono seguite del Capitolo X del libro di Lao Zi, il Tao Tê ching o Dao De Jing, come risulta dopo la riforma delle trascrizioni.
Per quasi quarant’anni ho messo l’occhio su quella strana lingua, cercando di approssimarmi ai minimi termini di quel pensiero.
Sarebbe troppo noioso raccontare il travaglio, anche solo per il titolo in questione, per cui ne do i ragguagli.
Per esempio non si capisce proprio perché, per i cinesi (dào dé) traduce con soddisfazione il “morali” delle Operette morali di Leopardi (,dove gli ultimi due caratteri sono piccolo+opera), ed invece per i traduttori occidentali nel titolo di Lao Zi o è non tradotto, rinunziando in tal modo ad ogni esportazione magari universale del concetto che resta cosí relegato alla solita peculiarità locale, ad astrusa cineseria, oppure se ne danno varie interpretazioni piú o meno letterali come Via e Virtú, con le maiuscole per carità, con le stesse fiacche finalità esotizzanti.
Un’ottima interpretazione per dào () ce la offre il sinologo svizzero Jean François Billeter nel mirabile Lezioni sul Zhuang Zi, per il quale piú o meno significa il funzionamento delle cose al mondo, insomma solo e tanto come funzionano le cose in natura, in cui è certo che la Natura è la Legge, l’ordine naturale del tutto. Per quanto riguarda () essa vale virtú, ma è per noi parola ormai rococò, e poi qui solo come riverbero, sebbene non secondario, vale per “morale”, cosí il senso appare piú esteso a qualcosa di intrinseco come un’efficacia potenziale, come per le virtú salutari delle piante o come si chiamavano virtú le minestre della Scuola Medica Salernitana. Ed è stato anche tradotto infatti come potenza o potenziale.
Ma a monte di tutto ci si potrebbe chiedere perché per affrontare la monumentale e al contempo pacchiana paralisi logica in cui ci ritroviamo, talmente invasiva e subdola che a stento ci accorgiamo della sua genesi nel fatto che il pensiero non trova più il modo di rinnovarsi nell’esperienza, perché, insomma, andare a cercare sollievo o risposte in quei remoti e astrusi personaggi e libri.
L’approccio della filosofia occidentale è, da tanto di quel tempo, solo e soltanto progressivo: da causa ad effetto e cosí di seguito in ordine immutabile. Prima la causa poi l’effetto. Il modello è diacronico, mai sincronico quindi, ad esempio, perlomeno inadatto oramai a ciò che ci impone il mutamento percettivo e cognitivo in atto dovuto alle estensioni tecnologiche. Proprio non riusciamo a concepire la possibile simultaneità della causa con l’effetto, o addirittura l’anteriorità dell’effetto. Tale la forma mentis, in maniera incisiva e esclusiva da almeno quattrocento anni, tanto per tagliare il tempo con l’accetta. Eppure la vita non funziona in questo modo, non lo ha mai fatto e tantomeno al giorno d’oggi.
Perché, ciò che ci può regalare la visione dell’altro emisfero del nostro mondo, quello destro, è che essendo tutta la realtà lo stesso epifenomeno in cui tutte le esistenze sono interconnesse indissolubilmente, da qui viene l’impermanenza e il dinamismo del reale che, secondo quel pensiero, se accettati sono un punto di forza fortunato, se misconosciuti o rifiutati certezza di magra o atroce sconfitta.
Sempre per ricorrere ad agganci occidentali, se Liebniz attribuisce divinità alla materia, specularmente Spinoza investe di materia la divinità. Se nella monadologia ogni corpo è continuo all’altro e produce effetti in tutti gli altri corpi a seconda della distanza ma a qualsiasi distanza, in Spinoza invece, se ogni pensiero di Dio è dentro la materia, le cose materiali contengono la forza che le anima, sanno badare a se stesse insomma. Questo però non solo in senso spaziale (Spinoza non può credere a un luogo del divino dentro la materia), ma nel senso della dinamica che lega le cose materiali tra di loro: se una parte della sostanza corporea viene modificata, le altre non restano invariate; e se l’una non può restare nel suo stato senza l’altra, queste parti non sono separabili ma continue. E tutte le parti quindi le une alle altre si modificano all’infinito senza perdere sostanza, nella forma dell’omeostasi.
Per quel libro cinese è piú meno cosí, tranne che, essendo piú che altro gente a stampo pragmatico e volendo ingraziarsi con somma forza la fortuna per quanto possibile a uno che ha un corpo, una forma, essi, a differenza degli occidentali per i quali ogni avventura dello spirito ha un che di astratto, di rimandabile in base all’assunto che in fondo stiamo già bene come stiamo, a differenza insomma, per questi orientali se c’è un possibile strumento per capire questa totalità puramente logica che è la sostanza si tratta dell’equilibrio, ma dove trovarlo se non nell’assenza dinamica, ovverosia nel dato potenziale?
Tutto esiste solo nel cambiamento e a causa di esso, nella dinamica che lega le cose tra loro, quindi unica legge se vogliamo dirla cosí è quella della transitorietà e dell’impermanenza, frutto dell’interdipendenza e dell’interazione. Ma ciò che sottende al cambiamento, anzi alla dinamica del cambiamento, è il dato potenziale, al quale conviene imparare ad attenersi.
Detto cosí sembra arduo, invece arduo è sfidare la legge, e controproducente, perché il tale attenersi è l’unico modo che può autenticamente definirsi naturale, ma nel senso essenziale di efficace, di economico, di efficiente, non è il naturale come categoria primigenia altrimenti, pure qui, si fraintende (e, sia detto di concerto, a guardare proprio bene, ne dà interpretazione primordiale soprattutto chi ha scelto di non volerne saper niente poiché la natura crede di poterla controllare).
Una caratteristica evidente della natura è la sua propensione all’economicità, al risparmio e alla regolarità, ma anche e contemporaneamente alla sovrabbondanza, alla ridondanza, al “non si sa mai potrebbe servire”. Per l’antropologo e filosofo Ernesto De Martino: “La natura tende all’eterno ritorno perché è pigra, (…) dominata dalla ripetizione, e il tornare all’identico è il modo piú economico di divenire”.
Cosí il Reale cosiddetto è tale solo e soltanto allo stato potenziale. Codesto è il tanto sbandierato vuoto o nulla che sta al centro di tutto ciò che vive secondo quei cinesi, capito dagli accademici quando un trapano capisce del muro, ciò che muove tutto e gli dà vita pur essendo ancora inutile, e un esempio che fanno spesso è il vuoto al centro di una ruota. Per quanto riguarda poi l’altrettanto mal compreso non-fare, il wu wei (無爲) come fecondo metodo d’azione, è tutt’altro che quietismo, trattasi invece dell’attività che a questo compito ci adegua e ci addestra, o ci addestra e ci adegua, vedete voi.
Ergo, per traduzioni possibili di quel titolo che ho scaturito negli anni: Il libro della virtú naturale, della naturale efficacia, opportunità, del funzionamento, dell’agire, della possibilità naturale, della potenziale naturale, della potenza. Al limite Il libro della Ragione naturale e dei suoi effetti, anche se nessuno di questi regge l’impatto.
Ma se poi andiamo a ispezionare meglio e filologicamente l’ideogramma dào, vediamo che possiamo scomporlo nei radicali 首 qiú = testa + 止 zhĭ = piede, combinato con 行 xíng = percorrere, per cui, assieme a verrebbe: via corretta, via naturale, mostrare la via (ricordando en passant come dào abbia pure un significato non secondario del dire, l’esprimersi), metodo da seguire o, se vogliamo con nostra ascendenza greca, Ragione naturale e insieme modo di seguirla, o diaita.
Ma risolutiva arrivava a completare, e sempre attenendoci alle nostre ascendenze culturali al fine primario di naturalizzare lo straniero nella nostra lingua e tradizione mettendolo a suo agio per fare il meglio, di fare chiarezza insomma e permettere l’efficacia a quel pensiero, eccoci quindi alla piú perspicace tra le etimologie greche della parola metodo, la quale secondo autorevoli interpreti mette assieme il termine métis che vale grosso modo l’intelligenza intuitiva con l’òdos di cammino, vale a dire che tale intelligenza profonda si è poi messa in moto. Esattamente il dào insomma. A differenza del logos, ragione alta e astratta, la métis è frutto dell’esperienza volta a perseguire obiettivi concreti, riconnette con un controllo largo della mente, con una capacità penetrativa che permette di leggere istantaneamente le situazioni e anticiparne gli sviluppi. È l’intelligenza che preordina gli atti nel silenzio della mente, cosí a questo punto anche al possiamo affidare un messaggio ben piú ampio e sfumato, preciso per quanto si possa nel rendere l’intento della lingua del pensiero originale ma almeno pregnante, ed eccoci finalmente a qualcosa di credibile e utilizzabile anche dalle nostre parti, ossia: Il libro del metodo naturale.
Il metodo naturale è il modo e la maniera per ognuno di noi di “coltivare la propria parte di natura”, vale a dire fuori dalle costrizioni e dalle supposte convenienze obbedire all’unica autorità che la nostra coscienza riconosce, poiché ne fa parte. Vale a dire l’addestramento in grado di riconciliarci, armonizzarci con il funzionamento delle cose al mondo, e il capitolo X qui proposto ci dice piú di altri il come-fare, che posizione prendere, il fattapposta, la base, l’essenziale per metterci nelle condizioni di sovvertire il pronostico che ci proclama al riguardo sconfitti.
È insomma il libro stesso che chiede, implora quasi di rendersi efficace, in questo sí peculiarmente cinese (se si può affermare che nell’antichità ogni mito o rito sia ispirato a modelli psicologici, per quei cinesi ciò è vero in maniera terribilmente pragmatica e concreta). Un manuale di sopravvivenza, come tutti i libri di quella scuola e come tutti i libri importanti da qualsiasi parte del mondo provengano, che siano di pensieri come questi o di narrazioni ci mostrano, essendo le situazioni in vita sempre piú o meno le stesse e con un numero di variabili numerose ma comunque finite da quando c’è l’aria, quali siano stati in passato i modelli attuati di comportamento e di reazione da utilizzare.
Se esiste una buona ragione per la quale è difficile definire il daoismo non è solo perchè sfugge alle definizioni ma perché i suoi modi di espressione variano a tal punto che non c’è griglia concettuale capace di racchiudere tutte le forme di pensiero e di azione che vengono comunemente fatte risalire al daoismo. Se c’è un’unità in esso è più interiore che esteriore, una comune fonte di ispirazione e di conoscenza che si esprime nei modi più diversi secondo le circostanze in cui si trova ad agire.
Cosí di seguito, a riprova dell’universale laicità del percorso, diremo che il tal pensiero, nel tempo quasi trimillenario del suo sviluppo ha preso derive anche molto influenti e popolari, alcune ad esempio a carattere metafisico, religioso o esoterico addirittura, e affinché ci torni utile può rendersi necessario recuperarne le intuizioni basilari sfrondandole dai sovrappesi culturali, anche e soprattutto della cultura dove si è conservato ma dove ha forse accumulato gravami e un certo declino storico. Si tratta di tesori, anzi in questo caso di un tesoro ben conservato, che forse è oggi meno sicuro nelle sue antiche patrie che in altri luoghi. Ed è questo andare al midollo, come tra loro usano dire, che ad esempio ci permette di spendere al riguardo la seppur vaga definizione di materialismo naturalista.
Infine, secondo l’eminente studioso e traduttore statunitense Thomas Cleary, la missione e la natura fondamentali del daoismo non sono cinesi. Si potrebbe dire che, al contrario di quanto si crede, il dào non è prodotto della civiltà cinese bensí è la civiltà cinese originariamente un prodotto del dào, ma proprio ed esattamente come lo si potrebbe dire per tutte le altre culture. Se a dào infatti sostituissimo Ragione Naturale avremmo una situazione assai favorevole per l’occidente e il resto del mondo tutto, visto che per quella tradizione di pensiero è condizione privilegiata e ottimale quella di essere daoista senza saperlo.

 

Libro del metodo naturale

Capitolo X

Quello che possiamo fare

Per esempio, far sí che intelligenza e destino si abbraccino,
e non si separino.
O accorgersi del fatto che respiriamo e adoperarlo,
perché può far capaci di agire come principianti.
E cosí smetterla di rimestare nel torbido
di idee troppo inutilmente complicate.
Nei rapporti con gli altri o se si hanno responsabilità
aspettarsi il meno possibile.
E nell’alternarsi di fortuna e sfortuna,
allenarsi a guardarle passare tutte e due.
E cosí, nel cercare di orientarsi fra le cose del mondo,
usare la quiete come senso d’orientamento.
Se ti riesce di combinare qualcosa coltivalo,
senza credere però di farlo tuo.
E, appena ti fabbrichi un pensiero,
non credere mai troppo a quello che ti passa per la testa.
È questo il metodo migliore di adoperare la vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“La tristezza dell’inchiostro”, calligrafia di Paolo Miorandi (la fotografia all’inizio è di Danilo Pierleoni)

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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