Il dolore secondo Matteo
Gianni Biondillo intervista Veronica Raimo
Veronica Raimo, Il dolore secondo Matteo, Minimum fax, 2022
È un universo surreale, fatto di freak, quello che racconti nel tuo romanzo, o forse è il mondo che è così, pieno di personaggi estremi, quindi sei un’autrice realista?
No, non definirei proprio realista “Il dolore secondo Matteo”, forse potrei parlare di un realismo grottesco, se non è una contraddizione in termini.
A cosa devi la scelta di un protagonista come Matteo, anaffettivo, urticante, antipatico: si è presentato a te, epifanico, o l’hai costruito con dovizia?
Temo che i miei personaggi siano molto spesso non simpatici, o meglio non “empatici”. Non ho mai cercato l’empatia nella scrittura, ma in effetti Matteo è un po’ estremo in questo. L’ispirazione è venuta osservando un ragazzo che lavorava per l’agenzia di pompe funebri il giorno del funerale di mio nonno. Era un bel ragazzo, quindi lo guardavo. Ero devastata dal dolore per la morte di mio nonno a cui ero molto legata, eppure in quel momento commemorativo mi ero fissata su di lui. Quindi ho provato a immaginare la vita di un uomo che si ritrova ad assorbire giornalmente il dolore degli altri, diventando il centro di connessioni emotive non desiderate e finendo per restarne del tutto immune.
Il sesso nel tuo romanzo è costantemente presente e allo stesso tempo scostante. Non una liberazione, ma una prigionia. Sbaglio?
Sì, il sesso ha qualcosa di molto claustrofobico e codificato nel libro, persino il desiderio in sé finisce in questa trappola, così come la definizione di un codice amoroso, i rituali del corteggiamento. Questo è un tratto che mi porto dietro, decostruire l’enfasi di certe retoriche, o l’illusione della spontaneità.
Sono passati 15 anni (ormai 18, l’intervista è del 2022) dalla prima pubblicazione di Il dolore secondo Matteo. Com’è rileggerti? Quanto ti senti ancora vicina a questo libro?
È un libro che oggi non riscriverei probabilmente, ma ogni libro appartiene al momento in cui è stato scritto. Non lo rinnego, tutt’altro, ma ci vedo dentro anche una forma di rabbia che ha in sé qualcosa della giovinezza. Non so se è stato un bene o un male perderla, comunque non c’è più, almeno non in quella forma. Anche stilisticamente vedo delle distanze dalla mia scrittura di oggi, una certa ricerca per l’effetto che può tradire delle ingenuità. Ma ci sento dentro anche la spudoratezza e la l’immediatezza di un esordio, probabilmente mi facevo meno domande di oggi. Ad esempio, non mi sono posta nessun problema rispetto alla scorrettezza politica del linguaggio usato dalla voce narrante.
Una curiosità: il numero di cellulare esiste? Io ho avuto la tentazione di chiamarlo.
Non lo so, io non ho mai provato a chiamarlo!
(pubbicato su Cooperazione nel 2022, appunto, ma non ricordo il numero e il mese)