Les nouveaux réalistes: Anita Tania Giuga

Sopraffatta

di

Anita Tania Giuga

Non avere limiti stabiliti ed essere dipendenti dalla propria autodistruzione è, con tutta certezza, conseguenza di un’infanzia vissuta in un ambiente tossico. I tossici sono maestri nell’arte della manipolazione, lo sai. Vengo da una famiglia disfunzionale, sono abituata a spegnere l’interruttore e fare quello che va fatto. Se sei nel ruolo della vittima, intrappolata nella parte del martire, non hai nessuna responsabilità su quello che sta avvenendo intorno a te. Essere sobri, senza niente di estraneo nel corpo, è la cosa migliore di sempre: non c’è sindrome del giorno dopo, né colpa. E qual è la lezione migliore che sono stata chiamata a imparare? Accettare me stessa e amarmi per quello che sono.

La vita la puoi raccontare sulla base delle esperienze che hai fatto, che avresti voluto fare e che vorresti fare. Questo è tutto. Di base, sapere di piacere, sentire un uomo che dice ‘Ti amo’, mi innervosisce, mi provoca disagio e finisco per chiedermi quando andremo al sodo. Voglio fatti, non parole, non inganni. Sono una buona persona, do più di quanto non prenda, e credo di meritare una vita appagante, anche se questo dovesse significare cambiare ambiente e abitudini. Mi sono trovata a prendere decisioni sbagliate in un tempo sbagliato. A fare quadrare le cose a ogni costo o a metterci tutte le risorse per andare avanti. Ho imparato che se vuoi arrivare da qualche parte nella vita, devi presentarti nella maniera in cui lo farebbe un uomo d’affari: quasi inorganico. Rispetto, responsabilità e lealtà sono parole, non significano niente se qualcuno prima non ti ha insegnato come si fa ad attivarle.

Quando non hai avuto un padre stabile nella testa, che ti dicesse che eri e sarai, qualsiasi cosa accada, la persona più importante, la sua principessa, e nessuno ha il diritto di oltraggiarti, come puoi farlo con te stessa? Sai, ero preoccupata di essere bella, a posto, di avere un atteggiamento spirituale verso la vita, e anche se adesso vivo dove vivo, non tornerei mai a fare quello che facevo prima, preferirei morire. Sono stata rapita, violentata, mi hanno rubato il telefono, i soldi, mi hanno strappato il cibo dalle mani mentre camminavo. Ho dovuto affidare le mie carte di credito a un ex vicino di casa per non finire in guai più seri. Ci sono state settimane in cui piangevo ogni giorno. Una sera ero fatta. Stavo guidando in una zona desolata e mi sono addormentata al volante. La cosa incredibile è che l’incidente ha fatto ribaltare l’automobile e lo scontro è avvenuto con un tipo che si è addormentato a sua volta al volante. Mentre ero morta ho visto mio nonno, che ha avuto un infarto un paio d’anni fa, e suo padre, che avevo conosciuto solo in foto, mi hanno detto che non era ancora arrivato il mio momento; devo compiere qualche missione prima di andare.

Il punto è che non mi ero accorta di niente, così ho chiesto al ragazzo di rimettermi in macchina, ed è stato lui a dirmi che mi ero ribaltata e a chiamare l’ambulanza intanto che lo guardavo ancora sotto choc. Sai, sarà durata in tutto dieci o quindici minuti, c’era la presenza di una ragazzina che stava in compagnia di altre due persone. Il giorno dopo, il notiziario ha parlato di un pirata della strada che aveva travolto qualcosa, senza fermarsi. E quel qualcosa era una quattordicenne insieme a un bambino. Sono passati tutti e due dall’altra parte. Ho capito il senso di questa esperienza quando in Messico ho fumato il veleno di rospo; tutte le fibre del mio essere urlavano e guarivano, risucchiate in un vortice di consapevolezza collettiva. Ho capito le mie vite precedenti, gli errori, il fatto di generare karma con le proprie azioni. Ho capito che senza principio non ci può essere fine. Mi sono vista come una fiamma priva di forma, libera dall’ansia, dalla preoccupazione, dall’abbattimento.

Quando ero più giovane, ero considerata la più bella qui. Ma sai una cosa? Non mi sono mai data il tempo di riconoscerlo. A dicembre anche Vinni è passato oltre. Ha chiuso la porta e ha lasciato fuori il cane. Un cane da caccia di quelli piccoli, con il pelo ispido, che scorreggiano e uccidono qualsiasi cosa si muova. Vinni diceva che era un angelo con le abitudini di un killer e la sua fedeltà agli umani era più di quanto essi meritassero. Sono stata una delle ultime persone a trascorrere del tempo con Vinnie, più o meno. Mi aveva accompagnato in ospedale per i controlli annuali. Avevamo cominciato a risentirci a ottobre, dopo il suo incidente, spiegando male quattro anni di silenzio. Parlavamo quasi tutti i giorni. Per ragioni difficili da capire, sono molto scossa. L’ho sognato, leggo tutto quello che riguarda questi ultimi maledetti giorni. Ero andata in viaggio, quindi le comunicazioni si erano bruscamente interrotte. Ti dispiace se te ne parlo? I tuoi consigli mi sono stati d’aiuto. I giorni con lui sono stati difficili, pieni di scuse, di monologhi, di rabbia improvvisa, di invettive ma anche di dolcezza, in qualche maniera. Non penso di potere aggiungere altro. Le cose vanno come devono andare. Questo clima mi riporta a un mio benefattore. Mi aveva pagato una pensione, trovato una macchina usata e un lavoro pomeridiano, una via di riscatto che non ho percorso. Ero impaziente. Ho ricominciato a farmi con il vicodin, a girare di notte, dormire di mattina, svegliarmi a pomeriggio inoltrato, fino a quando non ho perso il lavoro. Il resto te lo risparmio.

Le donne che ho incontrato dicevano di volere cambiare ma non le ho mai viste accettare una qualche possibilità di trasformazione. Restare intrappolati dalla strada per alcuni è l’inferno, l’unica forma di libertà, oppure, come immaginerai, una splendida fuga quando non hai altra scelta. Ogni cosa su questa terra vuole il suo tempo, non c’è cibo cotto in fretta che faccia bene alla salute. Non sto incolpando la famiglia per le mie scelte, almeno non completamente: se ho fatto quello che ho fatto, se fra due possibilità ho scelto la più facile, è stata una mia decisione. Oggi sono più onesta con me stessa, mi avresti vista indossare il costume delle circostanze avverse e pretendere per questo la tua approvazione e il tuo affetto incondizionato, anche per le azioni commesse a causa del lasciapassare che, le grandi aspettative riposte sul mio futuro, mi avevano obbligato ad assecondare. Una specie di mistica onnipotenza. Per vent’anni non ho mai pianto. Ero talmente ossessionata dall’idea di perfezione e mi vergognavo così tanto delle mie dipendenze, da cadere a un livello più basso ogni volta che perdevo l’integrità d’insieme alla quale ero stata educata. La camera degli errori non era contemplata e ribellarmi significava essere colpevole; ed essere colpevole voleva dire scendere un gradino infimo verso la perfezione dell’imperfezione. Il silenzio ha avuto un impatto disastroso: ha definito la mia vita. Dici che so è quindi posso cambiare, che sono diversa. Sapere e sapere come fare non sono la stessa cosa. Mio fratello entrava nella mia stanza quando avevo tredici anni. La parte peggiore però non è questa. Credo tu non sia pronta a sentire che uno strato di me lo aspettava e, in tutto questo tempo, ho vissuto la scissione, la separazione, come autodistruttiva funzionale. Ti è capitato che un collega di tuo padre avesse la possibilità di rimanere solo con te al mare? Il resto puoi immaginarlo. Credi davvero di capire cosa significa essere un oggetto inanimato?

Quando hai ricevuto quelle attenzioni e la stessa scena, la situazione così profondamente incisa nella tua memoria, ritorna da grande, la tua mente è spaventata e non funziona alla stessa maniera di come funziona per gli altri. Ho avuto paura della solitudine, uno spavento paralizzante che mi ha fatto dire di ‘sì’ quando l’unica risposta sarebbe stata scappare. Chi mi circondava, chi mi ha cresciuta, scommetteva che sarei finita male. Malata di HIV o senza tetto, in ogni caso vittima delle circostanze. Una vittima inerme nelle mani di altre vittime. Credimi, non è mia intenzione incolpare la società, né il cinismo della gente che mi opprimeva già a partire dalla scuola. È liberatorio massacrare il debole e scegliere di accompagnare il ragazzo d’oro nella sua scalata verso il successo, o la reginetta della festa all’incoronazione. Se ti avessi incontrata a quel tempo saresti stata l’amica che ti contiene, avresti portato pace e sono certa che non mi avresti giudicata. Ci sono giorni che non mi muovo dal letto, non guardo il telefono, non scrivo messaggi, non accendo la televisione. Ho troppo caldo sotto le coperte e troppo freddo se apro la finestra. Ho passato l’adolescenza guardando film su eroine sbandate, che finivano male e venivano beatificate per questo. Non potevo che fare la stessa cosa, non credi? Se puoi avere tutto quello che vuoi che importa da quale parte arrivano i soldi per ottenerlo? Di tanto in tanto la reginetta muore di overdose e il Golden boy vende le foto del suo corpo da qualche parte sul web. Sai, sono cosciente di essere una persona spezzata e di avere bisogno di aiuto. Ci ho provato.

Credo, nel fondo della coscienza, di meritare la merda per la quale sono passata. Per gli incidenti, le frodi, i furti, le molestie. Allo stesso modo, vedo nei tuoi occhi che hai dei dubbi. Queste ombre ti permettono di guardare il mio naufragio da una distanza di sicurezza. Non fraintendermi, so per certo che è un movimento impercettibile. Eppure ti attraversa e ti fa sentire in salvo e orgogliosa di te stessa. Avevo un piano. Molly, la vicina di casa diceva a mia madre che ero intelligente, graziosa, e avrei fatto fortuna, mia madre rispondeva che nessuno può guardare più lontano del proprio giardino. E il nostro era un giardino pieno di rottami. Avevo un piano, dicevo. A trent’anni avrei già avuto una casa mia, un figlio e un lavoro da assistente. Non riuscivo a visualizzare il tipo di marito, i suoi vestiti, l’odore, o lo sport che avrebbe guardato in TV con gli amici. Vedevo le mie mani curate, il guardaroba, ero certa che il boss mi avrebbe scelta per gli incontri di rappresentanza e avrei studiato il francese e lo spagnolo, anche il cinese se fosse stato necessario. Ma quello che ti dico ora è una copia deforme del reale, degli ostacoli che vedevo davanti a me insieme alla difficoltà necessaria a superarli. Avrei potuto diventare una benefattrice, invece sono caduta mille volte nell’autocommiserazione. Non vorrei che pensassi che mi sento vittima delle circostanze, ho capito di essere le circostanze, proprio per certe forme di interpretazione della realtà.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

articoli correlati

Post in translation: Vair Palefroi

di Giulia Carnevali
Giulia Carnevali, finissima studiosa ha lavorato al Vair Palefroi, dedicandosi a una nuova  traduzione e commento con la supervisione del Prof. Alvaro Barbieri dell'Università di Padova. (effeffe)

Les nouveaux réalistes: Cristina Pasqua

di Cristina Pasqua
Certe volte, io e Cesare, uscivamo in corridoio, tiravamo giù gli strapuntini e ci sedevamo lì, non erano neanche tanto distanti uno dall’altro, si poteva chiacchierare, il naso puntato su tutto quello che ci scorreva davanti.

Quando finirà la notte?

di Francesco Forlani
"Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce."

Radio Days: Mirco Salvadori

di Mirco Salvadori
Le parole dicono molte cose se le sai usare. Sono le parole usate da Mariana Branca che risplendono nel fulgore psicoattivo di ‘SUUNS’, il suo nuovo viaggio letterario che si è aggiudicato il posto d’onore come miglior racconto lungo, nella Dodicesima Edizione del Premio Letterario ZENO,

Les nouveaux réalistes: Marco Peluso

di Marco Peluso
In facoltà imposi agli studenti di prendere posto secondo le mie disposizioni, una scelta a cui nessuno osò opporsi, intimoriti dal mio sguardo ferino segnato dalle occhiaie, le labbra tremule e l’aria sfatta.

Post in translation: Shakespeare

di Massimiliano Palmese
Una festa di parole, di sensi e suoni, questo è stata da subito la poesia per me. E oggi, dopo aver scritto versi per molti anni, è ancora in una festa di parole che mi sono ritrovato traducendo i 154 Sonetti di William Shakespeare. Questa bibbia dell’amore. Questo vangelo in 154 atti.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: