Haskell Indian Nations University — Dall’oppressione all’opportunità

 

 

 

di Francesca Beretta

A 45 miglia a sud ovest di Kansas City c’è la Haskell Indian Nations University. Siamo a Lawrence, Kansas, nel cuore degli States e Haskell è un mondo a sé, così come buona parte del Midwest. Se pianifichi di visitarla, l’America, quella delle coste, dei grandi parchi, dei grattacieli luccicanti, di qui non ci passi. Eppure se la cerchi, l’America, quella profonda, quella delle pagine buie che non vuoi ascoltare, Haskell ti parla. Viene fondata nel 1884 come Indian Industrial Training School, una scuola di assimilazione, risultato della politica governamentale degli Stati Uniti che, oltre a quello umano, mette in atto un genocidio culturale strappando centinaia di migliaia di bambini e giovani nativi dalle loro terre e comunità ancestrali per integrarli nell’America mainstream, bianca e cristiana. “Kill the Indian, save the man” (“Uccidi l’indiano, salva l’uomo”), era il motto.
Oggi Haskell University è l’esatto opposto: è un luogo di memoria, guarigione e futuro. È l’unica università intertribale degli Stati Uniti. Qui, a studiare e insegnare, sono soltanto coloro che appartengono a comunità native federalmente riconosciute — incluse quelle dell’Alaska.
Vedo Travis per la prima volta durante il Powwow organizzato dal Lied Center, uno dei centri per le arti performative dell’adiacente University of Kansas, che ogni anno celebra i popoli nativi con danze, canti e cortometraggi. In uno di questi, Travis — direttore dell’Haskell Cultural Center & Museum — racconta la storia dell’Haskell Memorial Stadium, il primo stadio di football americano illuminato e interamente sovvenzionato dai popoli nativi, in particolare dalle tribù Quapaw e Osage, sparse in Oklahoma. Alla costruzione contribuirono anche alcuni studenti, che donarono la quota del biglietto ferroviario da Lawrence all’Oklahoma e tornarono a casa a piedi. Google Maps può dare un’idea della distanza percorsa. All’ingresso dello stadio si trova un arco commemorativo, finanziato da due donne Quapaw, in onore degli studenti di Haskell caduti durante la Prima Guerra Mondiale. «Un arco femminista», racconta Travis, in un’epoca in cui le donne avevano poca voce, e quelle native ancora meno. Oggi, come allora, lo stadio di Haskell fornisce elettricità al faraonico impianto di football della University of Kansas, precisa con orgoglio, mentre il team di Haskell è stato smantellato, segnando la fine di una lunga tradizione sportiva.
Decido di andare a trovare Travis in un giorno di aprile. Entro nel museo e gli dico che mi piacerebbe scrivere di Haskell. Certo, dice lui. Ma prima devo passare per il Bureau of Indian Education, a cui mando un’email con le domande per l’intervista e due righe sulla rivista a cui manderò il pezzo. Nazione indiana. Figures! Ci sta! Un paio di settimane dopo arriva il via libera e ritorno ad Haskell.

Travis, cosa vorresti che i lettori sapessero o comprendessero meglio riguardo ai popoli nativi americani?

Per prima cosa vorrei che tutti comprendessero che le comunità dei nativi americani sono una parte viva del mondo moderno e non sono solo quelle relegate a serie TV e film che le ritraggono vivendo in teepee (n.d.r. tende a forma di cono) e cacciando bisonti nelle grandi praterie. Questa è una narrativa tipica delle comunità delle Grandi Pianure, tra Sud Dakota, Oklahoma, Texas e la parte orientale del Colorado. [Menziono qualche film come Balla coi lupi e Windtalkers] No, non siamo tutti Lakota (Sioux), né Navajo (Diné). Anche negli Stati Uniti, quando si parla di comunità native, il pensiero corre spesso a questi due popoli, che però non rappresentano la maggior parte di noi. Io appartengo ai Cherokee del Delaware: i miei antenati vivevano sulla costa est, erano agricoltori e pescatori, cacciavano cervi e conigli. Oggi risiediamo in Oklahoma, a seguito del trasferimento forzato avvenuto nella metà del diciannovesimo secolo.

Quando è stato fondato l’Haskell Cultural Center and Museum?

Il museo è stato inaugurato nel 2002 con l’obiettivo di condividere il nostro passato, presente e futuro con i nostri studenti, la comunità e i numerosi visitatori internazionali che passano di qui. Quest’anno, ad esempio, ci ha fatto visita una studentessa proveniente dalla Corea del Sud, impegnata in una tesi di dottorato sulle boarding school per i popoli nativi. Grazie a un finanziamento ottenuto dalla sua università, ha trascorso tre giorni tra il nostro campus, la Kenneth Spencer Research Library della University of Kansas e i National Archives di Kansas City, dove sono conservati i documenti ufficiali di Haskell. Mi sono laureato qui otto anni fa e tra due anni anche i miei file di studente andranno lì. Ogni anno registriamo un incremento graduale nel numero di visitatori. Nel 2024 abbiamo accolto 3.910 visitatori, battendo ogni record, ma ci aspettiamo che quest’anno siano più numerosi. È molto importante per noi, ed è per questo che abbiamo una presenza online significativa, soprattutto sui social media, per far conoscere la nostra realtà.

Ci sono reperti o mostre specifiche nel museo che hanno un particolare significato emotivo o culturale?

L’evento più commovente dell’anno è senza dubbio l’Haskell History Exhibits, perché si concentra in particolare sui primi anni della scuola e su ciò che gli studenti sperimentavano in quel periodo. Tra i manufatti esposti ci sono, ad esempio, due paia di piccole manette, usate durante i lunghi viaggi in treno per trascinare con la forza i bambini all’istituto. Qui venivano spogliati di tutto: del loro nome, dei vestiti, dei capelli, e puniti per qualsiasi pratica linguistica, culturale o spirituale che richiamasse le loro origini. Arrivavano anche dall’Alaska, quando non era ancora uno Stato. È fondamentale ricordare che Haskell nasce come scuola di assimilazione. Tuttavia, grazie a decenni di duro lavoro e alla determinazione di insegnanti, personale e amministrazione, abbiamo superato quella missione originaria. Oggi siamo un’università quadriennale che offre istruzione gratuita a tutti i membri delle comunità native riconosciute a livello federale.

Durante l’ultimo Powwow, mi sono imbattuta in alcuni progetti documentaristici realizzati dagli studenti. In che modo la tecnologia viene utilizzata per connettersi con comunità più ampie al di fuori dell’università?

I progetti audiovisivi sono tra gli strumenti più potenti per catturare l’essenza dei tempi moderni e imprimere un’immagine duratura di chi siamo oggi. Abbiamo un paio di filmati che sono disponibili su YouTube, specialmente per quei visitatori che non possono raggiungerci o non hanno tempo di guardare l’intera mostra. Possono farlo da casa, attraverso il computer o il telefonino. Tra cent’anni sarà possibile vedere quello che stavamo facendo qui e com’era Haskell University, com’ero io fisicamente, che voce avevo, com’era parlare con me in questo momento, e penso che YouTube e i social media ci diano l’opportunità di raggiungere il mondo intero. So che non è realistico pensare che tutti possano venire a trovarci, ma condividendo video o altri contenuti che permettono alle persone di vederci, conoscerci e sapere che esistiamo, beh, questa è la cosa migliore dopo una visita di persona. Al momento sto lavorando alla traduzione del nostro tour audio in quante più lingue possibile, per renderlo accessibile a livello globale. In questo modo, chiunque potrà comprendere ciò che esponiamo, conoscere la nostra realtà e sentirsi parte di essa. Non abbiamo ancora una data precisa per il completamento del progetto, perché sto portando avanti tutto da solo, e il lavoro è piuttosto complesso.

Gli dico che per la traduzione in italiano ha un aiuto assicurato. Conclusa la chiacchierata con Travis faccio un tour del museo, all’entrata del quale campeggia la scritta From Oppression to Opportunity. The story of Haskell. Mi fermo davanti a quadri, postazioni interattive, manufatti, poesie, bandiere, costumi tradizionali, collezioni di documenti, vecchie lettere digitalizzate, fotografie e filmati. Come riportato nella guida per i visitatori, il museo di Haskell è uno spazio di memoria e sofferenza, ma anche di guarigione ed educazione. Un luogo che rende omaggio alla resilienza e alla forza delle comunità native che hanno vissuto il trauma della cancellazione culturale. E che oggi celebra la rinascita di lingue, culture e tradizioni che continuano a vivere e prosperare.

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ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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