Forze brutali di compensazione. “L’anniversario” di Andrea Bajani

 

L’Anniversario di Andrea Bajani è il libro vincitore del Premio Strega 2025. Andrea Bajani è stato parte della redazione di Nazione Indiana e ci fa piacere festeggiarlo da qui.

 

di Lisa Ginzburg

Il romanzo, dice Andrea Bajani nel doloroso e bellissimo L’anniversario (Feltrinelli 2025, vincitore della ultima edizione del Premio Strega) possiede una “forza brutale di compensazione”. Ovvero, l’immaginazione arriva in soccorso là dove vi sono lacune della memoria, cavità vuote del trauma di una ferita che la scrittura potrà suturare sempre solo in parte. Come un grande occhio che tutto vede e tutto registra, il Romanzo, quasi fosse personaggio esso stesso, è allora dispositivo immaginifico che fa da contrappeso “in levare” a una storia altrimenti troppo vera, e troppo intessuta di sofferenza, per poter essere narrata.  Il racconto di Bajani, la cui lettura colpisce dritto al cuore per come lo stile è scabro, nitido e lucido se pure usato per esprimere sentimenti molto intensi e duri da scandagliare, non è “autofiction”, ma qualcosa di più profondo, di più affilato e coinvolgente. Non “autofiction”, bensì memoria cui viene in soccorso il Romanzo, quando quella esiti o incespichi perché addentratasi a rivisitare lampi di ricordo che non è in grado di sostenere.

La vicenda, triste in modo straziante, è quella dell’addio di un figlio ai suoi genitori, la sua definitiva partenza dalla casa di famiglia dopo quarant’anni di un inferno domestico che è stato concentrazionario, per come le dinamiche tossiche, nel loro ripetersi e acuirsi, sono risultate coercitive negli effetti. Il legame disfunzionale tra i genitori si è cementato in una dinamica impossibile a scardinarsi. Il padre tiranneggia moglie e figli costringendo la consorte a una deriva fatta di violenza, possesso, mortificazione; e i figli, obbligati spettatori, loro anche sono oggetto delle feroci richieste di conferme di questo adulto imploso, che sempre oscilla tra vittimismo e furia, che di continuo procede sul filo dell’ambivalenza tra richiesta e dominio. Di contro, una madre che della propria abnegazione ha fatto una forma di non esistenza, di non vita. Una donna che pur di non essere vista, lei per pima non si guarda, preda di una distrazione distruttiva. Qualcuno il cui autosabotaggio è rinuncia a stare nel mondo, una rinuncia che passa per una sorta di incrollabile sfiducia, un grado tale di disillusione da quasi toglierle umanità. Per desolazione, e per troppo subire, questa madre non ha paura di nulla, e ciò la rende capace di una cieca forma di determinazione, buia come buio e sventurato è lo stallo del nucleo famigliare nell’isolamento e il malamore.

Dei due, padre e madre, non ci sono descrizioni fisiche, non fosse per un polpaccio troppo sottile della madre che da bambina ha avuto la poliomielite. Eppure vediamo tutto, prima e dopo le violenze domestiche, attraverso l’oggetto di un telefono arrivato in casa troppo tardi e le cui intermittenze dell’accesso alla linea (decretate dal padre) dicono tutta la nevrosi di un ménage avvelenato e velenoso. Anche, vediamo tutto (di nuovo senza disporre di descrizioni) di una geografia italiana che è paesaggio di una rotta migratoria anomala, da Roma al Piemonte spostandosi dalla grande città a frazioni di paesi sotto alle Alpi, via via più romiti, abitati dal “silenzio della disperazione”. Bajani ci accompagna con maturità di narratore, rendendo l’invivibile visibile e dicibile. Accade così che una materia narrativa estremamente densa e difficile trovi ritmo in un tono pacatissimo. È la calma la cifra di un distacco che solo lo stacco temporale e un tenace lavoro interiore hanno potuto generare. I dieci anni di silenzio con i genitori e la sorella, dieci anni di strappo dalla radice, come si trattasse di un’orfanezza datasi da solo per troppo avere patito e subìto le malapiante di stessa radice, Bajani li celebra con questo libro/anniversario, autobiografico ma senza niente di ombelicale, dove racconta la sua storia ma senza indugiare in un eccesso di auto-indulgente sentimentalismo: mai. Parole misurate e precise, dolenti come fossero quelle di un lungo canto, di congedo e di sopravvivenza, ma anche di consolazione, quella che la letteratura può regalare se si fa esperienza. Leggere L’anniversario è davvero un’esperienza. Un attraversamento che ci tocca e ci trasforma.

 

Questa recensione è uscita su “Avvenire” il 24 gennaio 2025.

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Lisa Ginzburg ha scritto i romanzi Desiderava la bufera (Feltrinelli 2002), Per amore (Marsilio 2016, Au pays qui te ressemble, Verdier 2019), Cara pace (Ponte alle Grazie 2020, candidato al Premio Strega), le raccolte di racconti Colpi d'ala (Feltrinelli 2006, Premio Teramo 2007) e Spietati i mansueti (Gaffi 2016, Premio Renato Fucini 2017), i mémoir Malìa Bahia (Laterza 2007), Buongiorno mezzanotte, torno a casa (Italo Svevo 2017) e Pura invenzione. Dodici variazioni su Frankenstein di Mary Shelley (Marsilio 2018). Collabora con Avvenire.
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